I novissimi:

l’anima umana e l’aldilà


parte dodicesima

Il Cielo

seconda sezione

La natura della beatitudine eterna



di Don Curzio Nitoglia





Psiche: personificazione dell'anima


L’OGGETTO DELLA BEATITUDINE

Bisogna studiare innanzitutto l’oggetto capace di renderci pienamente felici o beati.

La Beatitudine oggettiva o oggettivamente considerata è il Bene sommo capace di rendere beato il soggetto razionale: uomo o angelo. Cfr. S. Th., I, q. 26.

San Tommaso d’Aquino definisce l’oggetto della Beatitudine eterna: «Il Bene perfetto, che dà il riposo e soddisfa pienamente il desiderio dell’essere ragionevole» (S. Th., I-II, q. 2, a. 8).
Poi aggiunge: «Solo il Bene increato e infinito può soddisfare pienamente il desiderio di una creatura razionale, che con l’intelletto concepisce il bene universale».

Ora, il bene è l’oggetto della volontà e si trova nelle cose buone; perciò, il desiderio naturale della volontà si porta verso il bene reale e non verso l’idea astratta del bene; la volontà non può trovare la vera Beatitudine in nessun bene finito e creato, ma soltanto nel Bene sommo.

Insomma, l’uomo non può trovare la vera e perfetta Felicità, che desidera naturalmente, in nessun bene finito (piaceri, ricchezze, onori …), perché l’intelligenza, costatandone il limite, concepisce un Bene superiore e ci porta a desiderarlo.

Infatti, la nostra volontà illuminata dall’intelligenza è di una profondità senza misura, che soltanto Dio può colmare, essendo infinito e Lui stesso senza misura.

Inoltre, occorre distinguere la Beatitudine soprannaturale e la beatitudine naturale.


BEATITUDINE NATURALE E SOPRANNATURALE

La beatitudine naturale consiste nella conoscenza e nell’amore naturale di Dio, alle quali si giunge con le sole facoltà naturali. Insomma, una conoscenza naturale di Dio a partire dalle creature, senza mescolanza di errori e con un amore razionale di Dio autore della natura, amore non di figlio ma di un servo verso il migliore dei padroni.

La Beatitudine soprannaturale, di cui parliamo adesso, sorpassa le forze naturali, senza misura. Essa consiste in una partecipazione reale e finita della Beatitudine stessa di Dio, come dice il Vangelo: «Intra in Gaudium Domini tui / Prendi parte alla mia stessa Beatitudine» (Mt., XXV, 21).

Insomma, noi siamo chiamati, per dono gratuito di Dio, a conoscerLo come Lui stesso si conosce e ad amarLo come Lui stesso si ama. Veramente la profondità della nostra volontà è tale che solo Dio visto faccia a faccia può colmarla.

Duns Scoto e san Bonaventura ripongono la Beatitudine in un atto di volontà, cioè nell’amore; invece san Tommaso d’Aquino la ripone principalmente nell’intelletto (Visione), cui tiene dietro la volontà o amore beatificante.


LA BEATITUDINE FORMALE

Dopo aver visto l’oggetto della Beatitudine eterna e Beatitudine materiale, ora dobbiamo vedere la Beatitudine formale.  

In questo senso la Beatitudine è la felicità del soggetto intellettuale (uomo o angelo) che gode del Bene sommo.

La Beatitudine formale dei giusti consiste in un’unione vitale con Dio per mezzo delle sue facoltà superiori: intelletto e volontà; ossia nella Visione beatifica e nell’Amore che ne consegue: Amore beatifico.

Secondo l’Angelico la Beatitudine consiste formalmente nel possesso di Dio (S. Th., I-II, q. 3, a. 4). Ora, i santi del cielo posseggono Dio per mezzo della Visione beatifica, mentre l’Amore beatifico segue questo possesso. Infatti, esso presuppone la presenza di Dio visto faccia a faccia. L’amore si porta verso il fine ancora assente quando lo si desidera; mentre, quando ci si riposa nel fine già presente se ne gioisce e lo si possiede. Questo possesso gaudioso suppone il possesso di Dio tramite la Visione immediata o faccia a faccia. L’Amore non è il possesso, ma viene sia prima sia dopo di esso.

L’Aquinate spiega: «La volontà tende a un fine assente col desiderio; mentre vi si riposa e gioisce di esso quando è presente. Perciò, il desiderio del fine non è il suo conseguimento. Il diletto, proviene alla volontà per la presenza del bene. Perciò, è per un atto d’intelligenza (Visione) che Dio si fa presente a noi e, allora, la volontà colma di gioia si riposa nel fine conseguito» (S. Th., I-II, q. 3, a. 4).

L’intelletto, per l’intuizione beatifica, riceve in sé l’oggetto e, in un certo qual modo, fa una sola cosa con l’oggetto conosciuto; mentre la volontà resta al di fuori di quest’oggetto ricevuto dall’intelletto e fatto proprio.

La Beatitudine formale, dunque, consiste nella visione immediata di Dio e ha la sua consumazione ultima nell’amore che deriva dalla Visione dell’infinita Bontà di Dio.

La Beatitudine celeste sarà la consumazione ultima dell’unione trasformante, quando - dopo la morte - l’anima giustificata e deificata si fonde con Dio. In Paradiso, questa fusione tra Dio e l’anima santa si fa per mezzo della Visione beatifica e dell’amore; tuttavia, l’anima, che è finita e creata, resta sempre infinitamente inferiore a Dio. Infatti, Dio solo è l’Essere per essenza; mentre, noi siamo “coloro, che non sono” per rapporto a Lui, che è l’Essere stesso sussistente.

Nello stato presente, per l’uomo, la Beatitudine è la Visione beatifica; cioè Dio visto intuitivamente nella sua Essenza, faccia a faccia come Lui stesso si vede.

La Beatitudine compete innanzitutto a Dio, in sommo grado; infatti, oggettivamente Egli è il sommo Bene; mentre, soggettivamente Egli si conosce e si ama infinitamente e, perciò, è infinitamente Beato.  Cfr. P. PARENTE, Il primato dell’amore e san Tommaso d’Aquino, in Atti della Pontificia Accademia Romana San Tommaso d’Aquino, Roma, 1945, p. 197 ss.


Nella prossima puntata vedremo l’eccellenza della visione beatifica.  


NATURA DELLA VISIONE BEATIFICA

Qui possiamo iniziare a dire che la Visione beatifica consiste nella contemplazione immediata, intuitiva dell’Essenza divina, di cui l’intelletto umano è reso capace tramite il Lume della gloria.

La Santa Scrittura enunzia chiarissimamente questa verità: «Ora, su questa terra vediamo Dio per riflesso nel mistero; allora Lo vedremo faccia a faccia. Ora conosco in parte, allora conoscerò come sono conosciuto da Dio» (I Cor., XIII, 2). Da questo versetto paolino risulta che la Visione beatifica è una partecipazione della Scienza di Dio. Anche san Giovanni afferma questa dottrina quando scrive: «Noi Lo vedremo [Dio] come Egli è» (I Ep., III, 2).

Questa Visione non è possibile nell’ordine naturale, ma nell’ordine soprannaturale non ripugna, perché l’oggetto della conoscenza umana è l’essere; ora, Dio come Essere per sé sussistente e trascendente non è estraneo all’oggetto della conoscenza umana; però, l’intelletto umano deve essere elevato, per potenza divina, sino ad attingere all’Essenza di Dio. Tuttavia, l’intelletto umano - per la sua limitatezza naturale, essendo creato e finito - non potrà conoscere tutta l’Essenza divina che è infinita.

Insomma, i santi del Cielo vedono Dio “Totum sed non totaliter”. Tale dottrina sulla Visione beatifica la troviamo rivelata nella S. Scrittura e definita dalla Chiesa nella Costituzione dogmatica Benedictus Deus di Papa Benedetto XII (DB, 530), nel Concilio di Vienne (DB, 475) e Fiorentino (DB, 693).

Si legga san TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I, q. 12; A. PIOLANTI, De Novissimis, Marietti, Roma, 1943, pp. 79 ss.; R. GARRIGOU-LAGRANGE, L’altra vita e le profondità dell’anima, Brescia, Morcelliana, 1947, pp. 160 ss.  


continua




 
novembre 2023
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