Ricezione del Concilio Vaticano II e del post-concilio

Quale dev'essere la posizione del credente
di fronte al Vaticano II e alle sue applicazioni ?

(settembre 2009)
 

Domanda

Cari amici,
[…]

Io ho 35 anni: sono nata e cresciuta, quindi, nell'epoca post-conciliare, senza avere modo di ricordare “come stessero le cose prima”. Nonostante ciò, ho sempre avvertito un certo disagio per molte derive di pensiero e di prassi che hanno caratterizzato – e tuttora caratterizzano – la pastorale rivolta ai fedeli e, pertanto, mi sono mossa alla costante ricerca della Verità e di una sempre maggiore fedeltà ad essa.

Di qui nascono i miei dubbi:

Quale dev'essere la posizione del credente di fronte al Vaticano II e, soprattutto, alle sue applicazioni, sovente non corrette, ma che sono diventate stile della Chiesa contemporanea? Se la prassi liturgica dominante è quella attuale, il fedele deve rifuggirla, con il rischio di sentirsi bollare come “integralista” o, peggio, come “malato”?

Gesù ha detto ai suoi Apostoli: “Chi ascolta voi, ascolta me”. Come porsi allora nei confronti dei pronunciamenti e delle indicazioni degli uomini di Chiesa, alla luce della massiccia influenza del pensiero modernista? Il mio dilemma risiede proprio in questo: per “essere nella Chiesa” occorre essere in sintonia con essa, con quanto essa propone e compie; ma se pensiero e azione dominanti non sono in sintonia con Gesù Cristo e con l'autentica Tradizione, come occorre comportarsi?

Spero di essere riuscita a spiegarmi bene, sia pure in modo sintetico, e di non averVi recato disturbo con il mio scritto.

Mi sarebbe molto utile avere una Vostra opinione e, magari, anche qualche indicazione bibliografica o di altro materiale presente su Internet, per poter approfondire.

Grazie per l'attenzione, un cordiale saluto.


Risposta


Gent. Sig.ra…,

Rispondiamo volentieri alle sue domande: è quello che facciamo regolarmente, da tanti anni, anche se nel nostro sito presentiamo, anonimamente, solo le risposte che pensiamo possano essere d’aiuto a molti. La invitiamo a leggerle, se lo ritiene.

A proposito di testi, ultimamente è stato ristampato il libro Iota unum, del compianto Prof. Romano Amerio, di cui potrà leggere il tenore e l’importanza sul nostro sito (http://www.unavox.it/ArtDiversi/div099_Caso_Amerio.html) e che, volendo, possiamo inviarLe noi stessi al costo di 25,00 Euri compresa la spedizione (http://www.unavox.it/Segnalazioni_Rete/Iota-unum.html).
Per altre informazioni potrà consultare il nostro sito, ove troverà le indicazioni di testi, articoli nostri, articoli diversi e molti collegamenti che rimandano a siti diversi che appartengono al variegato mondo tradizionale italiano e straniero.

Veniamo alle sue domande.

Il Concilio Vaticano II è un Concilio della Chiesa cattolica e i suoi documenti vanno recepiti dal fedele con il rispetto e l’aderenza che essi richiedono per la loro stessa natura. Possiamo fare l’esempio dell’omelia del celebrante nel corso della S. Messa domenicale. In quel particolare momento il celebrante svolge la funzione di maestro che parla a nome della Chiesa e sulla base degli insegnamenti di Cristo. Non può che essere ascoltato e seguito con rispetto e deferenza.
Questa la teoria, a prescindere dall’aspetto strettamente canonico, per il quale Le possiamo suggerire un altro testo, uscito da poco e di cui potrà vedere nel nostro sito (http://www.unavox.it/Segnalazioni_Rete/Un_discorso_da_fare.html), testo che, volendo possiamo inviarLe anche noi, al costo di 10,00 Euri.

La pratica, invece, richiede qualche considerazione che meglio corrisponde alle sue domande.

Il Concilio Vaticano II è un concilio anomalo, poiché è l’unico della Chiesa a non essere vincolante per i fedeli.
Fin dalla sua convocazione e poi alla sua apertura, col discorso di Giovanni XXIII (http://www.unavox.it/doc25_GXXIII_apertura.htm), è stato stabilito che esso non avrebbe affrontato questioni di dottrina, per i quali rimandava al Concilio di Trento e al Vaticano I (e implicitamente a tutti gli altri), ma avrebbe affrontato la questione cosiddetta “pastorale“, cioè il modo con cui si dovessero presentare i dettami della Fede.
Questa auto limitazione del Vaticano II lo colloca in una posizione originale rispetto alla bimillenaria prassi magisteriale della Chiesa, ponendo i fedeli nella condizione di non dovergli prestare l’assenso di fede (veda: http://www.unavox.it/doc85.htm).

A questo si aggiunga che questo concilio si svolse in una strana maniera.
La prima cosa che deliberarono i Padri conciliari fu il rigetto di tutti gli schemi preparatori appositamente approntati dalla Santa Sede e dal Papa. Per iniziativa dei vescovi tedeschi gli schemi vennero rifatti tutti ed è sulla base dei nuovi schemi che si svolse la discussione e si giunse alle deliberazioni. Questo elemento rivelò una chiara volontà assemblearista che intendeva affermare la supremazia dei vescovi sul Papa, trasformando quest’ultimo in mero rappresentante del potere esecutivo che mette in atto quanto deliberato dal potere legislativo, i vescovi (veda: http://www.unavox.it/doc89.htm).

I documenti del Vaticano II non contengono alcuna formula vincolante per i fedeli, alcuna definizione di fede, alcun distinguo circa ciò che è giusto credere e ciò che è giusto rigettare.
Questa sua caratteristica impone al fedele l’assenso a tutto ciò che è coerente con l’insegnamento definito nei secoli e il dissenso da tutto ciò che manca di questa coerenza.
D’altronde, la Chiesa non potrebbe insegnare oggi qualcosa di diverso o di contrario a ciò che ha sempre insegnato, per il semplice motivo che il suo dovere è quello di mantenere e trasmettere il depositum fidei per perseguire quanto imposto dalla sua legge suprema: la salus animarum. Da parte sua, il fedele ha il dovere di conformarsi a quanto insegnato e prescritto dalla Chiesa e il diritto di ricevere la sana dottrina per la salvezza della sua anima.

Il concetto di depositum fidei è fondato sulla verità di fede che la Rivelazione, tutta intera, si è chiusa con l’ultimo Apostolo. Da allora la Chiesa conserva e trasmette ciò che ha insegnato il Signore Gesù tramite i suoi Apostoli, sia sulla base dei Vangeli, sia sulla base della tradizione apostolica. L’insieme di tutto questo è la Tradizione. L’assistenza dello Spirito Santo aiuta la Chiesa a conservare e a trasmettere quanto Essa ha ricevuto, considerato che non della Chiesa di per sé si tratta, visto che Essa è Santa e indefettibile, ma degli uomini di Chiesa che, in quanto uomini, sono inevitabilmente suscettibili di errore.

Questi due piani devono essere sempre tenuti presenti per comprendere l’estrema importanza della trasmissione della Tradizione, come dice la stessa parola. Non può darsi che i successori degli Apostoli, Papa compreso, trasmettano qualcosa di diverso da quanto hanno ricevuto, poiché il loro carisma è di farsi veicoli della Verità, né interpreti, né innovatori.

Ciò non toglie che, in relazione alla comprensione dei fedeli, la Chiesa possa o debba adeguare le forme di questa trasmissione. Questo si rende addirittura indispensabile sulla base della sua stessa “cattolicità”. L’universalità della Chiesa impone che Essa si esprima in maniera sempre comprensibile in relazione allo spazio, i luoghi della predicazione e della pratica della fede, e al tempo, le epoche. Questo si chiama “adattamento”, cioè adeguamento dell’espressione delle verità di fede, le quali, per loro natura, sono invece immutabili, com’è immutabile Dio che ne è il principio. Mai tale adattamento può sorgere dall’esigenza dei fedeli, e meno che mai dalle esigenze del mondo, poiché è la stessa trasmissione della Verità che impone che gli uomini di ogni luogo e di ogni tempo possano comprenderla, Verità che, immutabile nella sua essenza, contiene in nuce tutte le possibili variazioni espressive.
È quello che si è sempre verificato nella vita della Chiesa, basti pensare alla diversità delle lingue, fin dall’inizio con l’aramaico, il greco e il latino, e a quella delle liturgie, per tutte l’orientale e l’occidentale. Ma, né la diversità delle lingue, né quella delle liturgie hanno mai implicato che si derogasse dai capisaldi della fede. Lo si può recitare in varie lingue, lo si può cantare in vari toni, ma il Credo è solo uno, senza il quale non si è discepoli di Cristo.

Questo Concilio Vaticano II, che non volle e non poteva insegnare nulla di nuovo, è stato quindi applicato.

La stesura dei documenti, sulla base delle diverse istanze dei Padri conciliari, ha portato a delle formulazioni prolisse e ricche di spazi interpretabili. Spesso scorrendoli si coglie qua un’affermazione e là un ammorbidimento della stessa; qua una raccomandazione, là una sollecitazione a derogare dalla prima. Una sorta di diffusa ambiguità che per un verso accontentava questo e quel gruppo di Padri, e per l’altro permetteva agli stessi di leggere i testi a seconda del proprio intendimento.
Occorre tenere presente che nel corso del concilio si scontrarono due opposte istanze, una che intendeva proseguire lungo la linea tracciata dai Papi, da Pio IX a San Pio X e a Pio XII, e un’altra che intendeva inaugurare una nuova stagione della Chiesa, accantonando gli insegnamenti degli ultimi papi e mirando alla formulazione di insegnamenti nuovi, più vicini alla mentalità del tempo.

Non bisogna dimenticare che il concilio si svolse dal 1962 al 1965, gli anni ’60, anni turbolenti e immaginifici, anni che vissero l’utopia della cosiddetta “immaginazione al potere”, anni di architettato sovvertimento di quel poco che era rimasto della famiglia, dell’autorità e della morale.
Non è che tanti vescovi non fossero giunti in concilio con le loro idee innovative, in morale, pastorale e dottrina, ma certo che l’atmosfera del tempo, aleggiante in tutto l’Occidente, permise l’esplodere di questa tendenza, che finì con l’imporsi all’intero consesso.

L’applicazione dei documenti conciliari si mosse sull’onda di tale tendenza e produsse dei frutti che non tutti i Padri del concilio avevano immaginato. Basta citare il caso clamoroso della liturgia, per la quale il concilio non aveva indicato l’accantonamento della liturgia tradizionale, ma il suo mantenimento con una serie di adattamenti. In realtà si produsse una liturgia ex novo giungendo perfino, non tanto all’accantonamento della precedente, ma alla sua proibizione. Vennero cambiati tutti i libri liturgici con il lavoro svolto da una commissione composta esclusivamente da innovatori, perfino con la consulenza di alcuni protestanti, e questa novità assoluta e inaudita venne proposta falsamente come rispondente ai dettati del concilio. Per la falsità dell’assunto basta leggere la Sacrosanctum Concilium e provare a trovare in essa quanto prodotto dalla riforma: le uniche cose che si troveranno sono una serie di richiami generici accompagnati da poche raccomandazioni precise circa il mantenimento del latino e del gregoriano, per esempio, peraltro semplicemente ignorate. Quest’esempio della liturgia è probante ed illuminante soprattutto dopo le formali dichiarazioni di Benedetto XVI che ha ricordato che la liturgia tradizionale non potrebbe essere abrogata perché si tratta di un “uso immemorabile” della Santa Chiesa risalente agli Apostoli.
Illuminante soprattutto ove si pensi che quello che ha affermato il Santo Padre era a perfetta conoscenza di tutti i vescovi e dei Papi che hanno regnato negli ultimi 40 anni, eppure per 40 anni è stato sempre predicato e praticato che la liturgia di sempre poteva abrogarsi ed era stata abrogata.

Queste le premesse per poter capire come debba comportarsi il fedele di fronte alle novità degli ultimi 40 anni e alle conseguenti e inevitabili storture ed abusi che ne sono seguiti.

Il fedele è tenuto a credere e a conformarsi a quanto si è sempre creduto nella Chiesa da tutti e dappertutto, ed è esentato dal dare anche solo ossequio a quanto contrasta con questo, pena la perdita o la corruzione della fede. Abbiamo il dovere di obbedire alla Chiesa perché obbediamo così a Cristo, ma se gli uomini di Chiesa ci propongono delle concezioni e delle pratiche che contrastano con la Chiesa di sempre o che comunque determinano una rottura, se non un sovvertimento, con quanto hanno creduto e praticato i nostri padri, il nostro dovere è di non seguirli, poiché l’obbedienza a Cristo è l’istanza prima dell’esser cristiani.

E il Papa ? Non dobbiamo conformarci a ciò che comanda il Papa, dato che si tratta del Vicario di Cristo ?

Indubbiamente! Ma, senza entrare in complicate e inestricabili disquisizioni canoniche e teologiche, dobbiamo chiederci: potrebbe un papa insegnare legittimamente qualcosa di diverso da quello che ha sempre insegnato la Chiesa?
No! È l’unica risposta cristianamente possibile.

E se accade anche solo parzialmente che una cosa del genere si verifichi ?
È evidente che quel papa non parla la lingua della Chiesa e, pertanto, il suo insegnamento non è vincolante per i fedeli.
Esempio: Paolo VI impose la nuova liturgia in nome del concilio e prescrisse l’accantonamento della vecchia, sotto pena di incorrere nell’accusa di disobbedienza. Ha sbagliato. Benedetto XVI ha corretto le erronee obbligazioni di Paolo VI, annullandole di fatto. I fedeli che si sono opposti a Paolo VI, disubbidendogli, avevano tutto il diritto di farlo e oggi questo diritto è riconosciuto dallo stesso Pontefice regnante.
Questo aiuta a precisare che Paolo VI, pur rimanendo il Vicario di Cristo, sbagliava e faceva prevalere nel suo ministero le sue istanze umane e intellettuali a scapito delle istanze divine e di fede. Non fu l’unico e neanche il primo, come non sarà neanche l’ultimo, egli rimarrà uno dei papi della Santa Chiesa che hanno sbagliato, per eccesso di umanità, senza che con questo venga minimamente intaccata la supremazia magisteriale e giurisdizionale del Sommo Pontefice, che appartiene alla Chiesa e non a Giovanni Battista Montini.

Lei dice bene, cara signora, circa il rischio di “sentirsi bollati come integralisti”, e la prima cosa che possiamo dirLe è che questo non è un rischio, ma una realtà che per tanti anni hanno sperimentato sulla propria pelle centinaia di migliaia di fedeli.
Certo, si tratta di cosa difficile da accettare con tranquillità, e tuttavia ineluttabile. Cosa che ancora perdura, nonostante il Papa, e anzi si amplia, con i casi come il suo che rivelano come nuovi fedeli finiscano col seguire quel percorso ecclesiale che quelli come noi seguono da diversi anni.

Per quanto siano pesanti da sopportare, le etichettature e gli ostracismi, non è la prima volta nella vita della Chiesa che tanti fedeli siano costretti a vivere la fede con sacrificio, e se poi tale sacrificio si rivela foriero di buoni frutti che potranno gustare anche i fratelli che prima criticavano, come non pensare all’antico adagio che ricorda che le vie della Provvidenza sono imperscrutabili?

In realtà la stessa etichettatura di “integralista” dev’essere valutata considerando due punti di vista diversi. Il punto di vista “comune”, che è del mondo che non intende più riconoscere Dio e le Sue leggi, e il punto di vista “proprio”, che è del fedele e del credente in genere.
In base al primo, professare il proprio credo integralmente è inaccettabile, poiché si pongono limiti e regole alla libertà umana.
In base al secondo, il proprio credo non può che essere professato integralmente, poiché diversamente si realizzerebbe una falsa professione di fede: non si può credere sotto cauzione: questo sì perché mi piace, questo no perché non mi piace, quest’altro così così per non dispiacere l’uomo o il mondo.

E, badi, questo ragionamento vale non solo relativamente alla religione cattolica. Anche in base al semplice buonsenso, qualsiasi credente, che sia in buona fede e in buona salute mentale, non può che credere integralmente in ciò che crede, trattandosi appunto di Dio.
È così anche nella vita ordinaria, quella di tutti i giorni: buon senso vuole che se uno crede in una qualche cosa, vi creda integralmente, poiché se vi credesse con i ma e con i distinguo, di fatto non crederebbe: verrebbe semplicemente indicato come incoerente e inaffidabile.

Il mondo moderno, però, intriso di ipocrisia e di falsità, per il credo religioso ha inventato il problema del “politicamente corretto” per impedire l’applicazione e il riconoscimento di questo buonsenso, pena la taccia di “integralista”. Un sottile, capzioso giuoco di parole, in base al quale ciò che per un credente è una cosa scontata: “l’essere integralmente credente”, gli viene rimproverato come fosse un pericoloso difetto.
E chi, se non quel furbo di Satana, poteva escogitare un machiavello così, per confondere e perdere, se possibile, i veri credenti?

Certo che siamo integralisti, anzi, non potremmo che essere integralisti, poiché sta critto: « chi non è con me è contro di me ».
E l’Apostolo ha ricordato: « Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell'anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo. Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto questi falsi profeti, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. Costoro sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da ciò noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell'errore. (I Lettera di Giovanni, 4, 1-6) ».

Per ciò che riguarda la sua seconda domanda, in gran parte abbiamo risposto prima.
Aggiungiamo solo che l’essere “in sintonia con la Chiesa, con quanto essa propone e compie” non dev’essere inteso in senso contingente, che semmai, in una situazione ordinata, è solo una conseguenza, ma dev’essere inteso in senso a-spaziale e a-temporale: la sintonia o meglio la perfetta adesione va rivolta alla Chiesa Una, Santa, Cattolica ed Apostolica, che, come dice San Giovanni nella lettera citata prima, non sempre coincide con la Chiesa che abbiamo sotto gli occhi, massimamente in questi tempi corrotti: « Figlioli, questa è l'ultima ora. Come avete udito che deve venire l'anticristo, di fatto ora molti anticristi sono apparsi. Da questo conosciamo che è l'ultima ora. Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri. (I Lettera di Giovanni, 2, 18-19) ».

Nessun timore, quindi, ove si prenda atto che non è possibile praticare alcuna “sintonia” con quanto oggi la Chiesa propone e compie, proprio perché ci si deve sforzare di rimanere in “sintonia con Cristo e con l’autentica Tradizione”.
Questo non deve far sorgere il dubbio che, così facendo, ci si ponga, oggi, “fuori dalla Chiesa”, al contrario: oggi, più che mai, la Chiesa ha bisogno di coloro che sembrano porsi “fuori dalla Chiesa” per amore della Chiesa e di Cristo.
Lo stesso Signore Gesù non esitò a rigettare colui che aveva scelto come “pietra”, fondamento della Sua Chiesa: « Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai”. Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”. (Mt, 16, 21-23) ».
E si tratta dello stesso Pietro a cui poco prima Gesù aveva detto: « “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt, 16, 17-19) ».
Pietro è quello scelto e designato dal Signore, ma a volte in lui prevale la debolezza umana, pensa e agisce “secondo gli uomini”, come dice il Signore, ed allora il Signore stesso lo allontana da Sé, pur avendolo già capito e perdonato fin dall’inizio, come nel momento del rinnegamento, perché il Signore sapeva già, fin dall’inizio, che Pietro si sarebbe amaramente pentito, come in effetti è accaduto. Diversamente non l’avrebbe scelto come pietra della Sua Chiesa.

La situazione che viviamo è una situazione eccezionale ove vige uno stato di necessità che costringe i fedeli che vogliono rimanere fedeli alla Tradizione a “resistere” ai dettami degli attuali uomini di Chiesa, siano essi preti o vescovi o perfino papi. E resistono, certo, per fedeltà alla Tradizione e per la salvezza della propria anima, ma anche per il bene della Chiesa e di tutti i fedeli. Non è un caso che fin dal Concilio Vaticano II questa “resistenza” ai rappresentanti dell’autorità si manifestò spontaneamente e diffusamente nell’intera Chiesa, sia pure in percentuale minoritaria. E non è un caso che tale “resistenza” ai rappresentanti dell’autorità non abbia perso forza e consistenza in questi 40 anni, anzi si sia sempre rinnovata ed ampliata. E non è ancora un caso che molte obiezioni di pochi, ieri, siano diventate le obiezioni di molti, oggi.

In ultima analisi, tutto è nelle mani di Dio e noi non possiamo conoscere i piani di Dio, ma una cosa sappiamo con certezza: a noi spetta fare il nostro dovere di stato, secondo i talenti che ci ha assegnato il Signore fin dall’inizio e secondo quanto la Chiesa ha insegnato da sempre, fatto il nostro dovere, sia pure nei limiti delle nostre manchevolezze e dei nostri errori umani, abbiamo fatto tutto ciò che era possibile, al resto penserà il Signore.

Speriamo di aver risposto alle sue domande, ma se vi fossero delle incomprensioni o degli ulteriori interrogativi, Le assicuriamo che restiamo sempre a sua disposizione.

Cordiali e fraterni saluti in nomine Domini
IMUV



settembre 2009



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