DOSSIER  SAN  PIO  X
Le informazioni e i documenti sul riavvicinamento,
voluto e intrapreso dal Santo Padre,
tra la Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale San Pio X
 
 

Lo sviluppo nei rapporti fra la Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale San Pio X

(Aggiornamento a luglio 2002)









Dopo un lungo periodo di silenzio ufficiale, il Card. Castrillon Hoyos, Prefetto della Congregazione per il Clero, in data 5 aprile 2002, ha scritto a Mons. Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità San Pio X, per sollecitare la ripresa dei colloquii al fine di giungere al piú presto alla definizione della posizione giuridica della Fraternità nella piena comunione con la Santa Sede.
Questa lettera, di cui si è saputo solo da recente, segue di solo un mese circa la pubblicazione del testo del Decreto di erezione dell’Amministrazione Apostolica San Giovanni Maria Vianney, a Campos, in Brasile; e ne rappresenta la logica continuazione, come del resto fa notare lo stesso Cardinale.
La promessa di una Amministrazione Apostolica Personale con giurisdizione mondiale, fatta da Roma alla Fraternità San Pio X, trova nella erezione dell’Amministrazione Apostolica di Campos una prima conferma, quasi a dimostrare la buona volontà della Santa Sede e a fugare le perplessità e la sfiducia della Fraternità.

Nel periodo di tempo che va dalla primavera del 2001 a quella del 2002 vi sono state diverse prese di posizione da parte di molti esponenti della Fraternità, Vescovi compresi, tutte volte a far comprendere i motivi della sfiducia nei confronti di Roma, dopo che Roma aveva rifiutato di accogliere la richiesta della Fraternità stessa circa la liberalizzazione della S. Messa tradizionale.

In questa sua lettera del 5 aprile 2002, lunga piú di dieci pagine, il Cardinale Castrillon Hoyos ripresenta la cronologia dei colloquii, apportando alcune precisazioni, ed esamina, in termini molto critici, le diverse dichiarazioni venute dalla Fraternità. Ciò nonostante invita ancora Mons. Fellay a riprendere i colloquii e a condurre in porto la trattativa per il bene della Fraternità e della Chiesa. Fra l’altro, e in maniera palesemente rilevante, egli si richiama all’esperienza di Campos, proponendola come premessa esemplare per la definizione dell’accordo tra Roma e la Fraternità.

Per quanto riguarda le posizioni espresse dalla Fraternità non è certo compito nostro valutare i rimproveri mossi dal Cardinale, anzi, in attesa di conoscere la risposta ufficiale di Mons. Fellay, pubblichiamo a parte il testo della “Lettera agli amici e benefattori” che Mons. Fellay ha inviato il 7 giugno scorso, nella quale si riferisce anche alla lettera del Cardinale.

Da parte nostra, invece, ci sembra opportuno far notare due elementi molto importanti che scaturiscono da questa lettera.

Innanzi tutto non v’è dubbio che da parte di Roma si sia stabilita una apertura inimmaginabile fino a qualche anno fa, basti pensare alla dolorosa e sconcertante vicenda della Fraternità San Pietro. In quella occasione il mondo della Tradizione subí un pesante attacco, per certi aspetti piú pericoloso di quelli subiti in questi trent’anni.
Nel 2000, lo stesso Cardinale Castrillon, che aveva definito l’azione contro la maggioranza dei sacerdoti della Fraternità San Pietro, si fa promotore di una iniziativa di riconciliazione nei confronti della Fraternità San Pio X, e si muove con una velocità inusitata per i Dicasteri vaticani; velocità che raggiunge il suo culmine nella definizione dell’Amministrazione Apostolica di Campos.

Mettendo a confronto le due vicende, c’è qualche cosa che non convince, comunque si vogliano valutare i fatti. 
È innegabile, però, che, a fronte dell’apertura clamorosa e pubblica dei colloquii con la Fraternità San Pio X e al cospetto della nascita dell’Amministrazione Apostolica di Campos che ottiene il diritto di usare esclusivamente l’intera Liturgia di San Pio V, Roma abbia dimostrato di aver operato una svolta storica, che al di là di ogni sviluppo segnerà un punto fermo difficilmente eludibile.
Con queste decisioni, la Santa Sede ha sancito ufficialmente che non esiste piú alcuna esclusione nei confronti della liturgia tradizionale, che essa è ancora la liturgia della Chiesa Cattolica Romana, che la sua abrogazione non è mai avvenuta e, soprattutto, che essa può essere usata in esclusiva dai sacerdoti e dai fedeli senza l’obbligo di dover seguire anche la liturgia rinnovata, e, soprattutto per i sacerdoti, senza l’obbligo della cosiddetta “concelebrazione”, imposta fino a due anni fa alla Fraternità San Pietro e agli Istituti dell’Ecclesia Dei con le conseguenze disastrose che si conoscono.
Una svolta storica, certamente, anche se si deve precisare che si tratta di una svolta tutta da verificare, soprattutto per quanto attiene agli effetti pratici che ne seguiranno.
Eppure la Fraternità San Pio X continua a non fidarsi di Roma, anzi, continua a sottolineare le profonde differenze teologiche che separano la Chiesa conciliare dalla Chiesa di sempre. Si vedano, come ultime, le diverse dichiarazioni fatte dai Vescovi della Fraternità a proposito dello sconcertante convegno panreligioso di Assisi del gennaio scorso (vedi).
Stranamente, su questo punto, il Cardinale Castrillon non avanza alcun rimprovero a Mons. Fellay, chissà perché. Egli invece si sofferma a lungo sulla questione del primato di Pietro, dell’autorità papale e della sottomissione al Soglio Pontificio.
Si può quasi dire che, al di là dei rimproveri mossi dal Cardinale circa le diverse espressioni di sfiducia della Fraternità nei confronti di Roma, sfiducia che il Cardinale sente quasi come una offesa personale, il suo maggior richiamo si muove intorno alla questione dell’ubbidienza e della sottomissione al Papa.

E qui sorge il secondo elemento di cui dicevamo.

Il Cardinale si richiama, giustamente, al Concilio Vaticano I e, in particolare, alla Costituzione Dogmatica Pastor Aeternus, con la quale il Concilio definí i termini del primato e della infallibilità papale.

Sembra opportuno ricordare che il Concilio Vaticano I si è svolto nel 1869, felicemente regnante il beato Pio IX. Ci sembra logico osservare, quindi, che quando ci si richiama a questo Concilio si finisca con l’avere in mente l’intero magistero di quel periodo, sia per la inevitabilità delle associazioni logiche, sia perché quel magistero fu come un grido di dolore provocato dal grande attacco che il mondo occidentale condusse contro la Fede e la Chiesa: fuori e dentro di Essa.
Nel clima di restaurazione che seguí la nefasta euforia rivoluzionaria e napoleonica, il Concilio Vaticano I venne convocato dal beato Pio IX allo scopo di «rimediare alle straordinarie tribolazioni della Chiesa», ed uno dei suoi scopi, non realizzati per la sospensione del Concilio stesso, consisteva nella definizione della condanna del razionalismo e di tutto quello che di antireligioso e anticattolico era scaturito dalla rivoluzione francese
Comunque il Concilio ribadí che «La Chiesa, inoltre, che, assieme con l’ufficio apostolico di insegnare, ha ricevuto il mandato di custodire il deposito della Fede, ha anche da Dio il diritto e il dovere di proscrivere la falsa scienza» (Costituzione dogmatica Dei Filius, Cap. IV, § 4); e confermò che: «La dottrina della fede, infatti, che Dio ha rivelato, non è stata offerta all’intelligenza umana come un sistema filosofico perché la perfezionasse, ma è stata affidata alla Chiesa, Sposa di Cristo, come un divino deposito, perché la custodisse fedelmente e la dichiarasse infallibile.»  (Costituzione dogmatica Dei Filius, Cap. IV, § 6).

L’esigenza di «rimediare alle straordinarie tribolazioni della Chiesa» portò il beato Pio IX e i suoi successori a definire, in piena continuità e coerenza col Magistero perenne della Chiesa, un insegnamento complessivo di condanna degli errori modernisti che, dopo aver invaso il mondo “laico”, si introducevano nel seno stesso della Chiesa: dal razionalismo all’indifferentismo, dal falso ecumenismo allo sconvolgimento della liturgia, dalla libertà religiosa alla distorta collegialità episcopale.

Ora, quando si volge lo sguardo al Soglio di Pietro è inevitabile che l’occhio del fedele cerchi, insieme alla primazia papale, tutti gli altri elementi che dovrebbero costituire quella sorta di “bussola infallibile” per la pratica della fede; e nessuno può negare che da questo punto di vista vi siano oggi non pochi problemi.
Peraltro, per piú di trent’anni si è venuta affermando una particolare e nuova tendenza nel rapporto tra dottrina e pratica della fede: nella pastorale, nella liturgia, nello stesso Magistero hanno finito col prevalere gli elementi pragmatici. Piú che le certezze dottrinali hanno potuto le esperienze quotidiane, le esigenze locali e temporali, le valutazioni personali di Pastori e sacerdoti. 
In questo contesto la primazia papale è divenuta un fattore accessorio o, quantomeno, secondario.
Nessuno può negare che il Magistero papale e le direttive della Curia di Roma diventano sempre piú evanescenti via via che ci si allontani da “Piazza San Pietro”. Basti per tutti l’esempio del relativo rispetto e della discutibile deferenza portate nei confronti dell’Ostia consacrata, sia al momento della consacrazione, sia e soprattutto al momento della distribuzione, nonostante le prescrizioni liturgiche e le disposizioni vaticane.

Ora, quando il Cardinale richiama la necessità della piena comunione, della ubbidienza e della sottomissione al Soglio di Pietro, ci si aspetterebbe che alla base delle sue giuste osservazioni vi fosse, nel seno della Chiesa, una incontestabile e diffusa pratica di tali elementi: purtroppo, invece, la pratica odierna trascura alquanto questi stessi elementi, anzi, talvolta li ignora del tutto; e, cosa ancora piú stupefacente, con l’assenso tacito dello stesso Soglio Pontificio.
In realtà, sia che la Santa Sede condivida anche solo tacitamente, sia che non riprenda e non condanni gli errori e le deviazioni, lo stato di fatto è tale che l’autorità pontificia è ormai ridotta ai minimi termini. 
È questo stato di cose che permette a molti autorevoli “teologi” e Pastori di avanzare le piú improprie e dirompenti proposte: dalla “ridefinizione” del primato papale al “riesame” del celibato ecclesiastico, dalla “riconsiderazione” della esclusione del sacerdozio femminile alla “rivalutazione” del concetto di peccato e dei peccati stessi.
Il Soglio di Pietro è da tempo che non svolge piú la funzione di “riconferma dei fratelli”, anzi, è da troppo tempo che sono i “fratelli” a suggerire a Pietro quali debbano essere le linee guida della dottrina e della morale, della liturgia e della predicazione. E addirittura, sulla spinta della pratica attuazione del Concilio Vaticano II, è lo stesso Soglio di Pietro che guarda con compiacimento ai suggerimenti che vengono neanche dai “fratelli”, ma dagli infedeli.

Accade, tuttavia, che quando la Gerarchia si rivolge ai cattolici fedeli alla Tradizione, ricordi con forza la necessità della sottomissione al Soglio di Pietro o, a seconda dei casi, della sottomissione al proprio Pastore. 
Sembra proprio che si realizzi una perversa manipolazione della realtà: se i fedeli alla Tradizione sono veramente tali debbono essere i primi a praticare gli insegnamenti del Magistero, e se questa loro posizione di fedeltà alla Tradizione è veramente dettata dalla difficoltà di conciliare la dottrina e la liturgia tradizionali con la dottrina e la liturgia moderne essi debbono essere i primi a seguire la dottrina e la liturgia moderne per dovere di obbedienza nei confronti del Magistero.
Logica vuole che questa proposizione sia sconnessa e incoerente, eppure essa esprime la realtà di fronte alla quale sono quotidianamente posti i cattolici fedeli alla Tradizione dai loro Pastori e dallo stesso Papa. 
La realtà che ripropone lo stesso Cardinale Castrillon in questa sua lettera a Mons. Fellay.

Se si considerano con attenzione gli elementi di controversia che hanno portato ai contrasti tra Roma e la Fraternità San Pio X, ci si rende conto che i richiami del Card. Castrillon coincidono esattamente con i richiami mossi dalla Fraternità: non si segue fedelmente il Magistero della Santa Chiesa. E chiunque può constatare che a partire dal Concilio Vaticano II, negli studi teologici, nelle dichiarazioni dei Prelati, nella conduzione delle Diocesi, non solo si è disatteso l’insegnamento del Magistero, anche quello stesso richiamato dal Card. Castrillon, ma ci si è convinti che esso “dovesse” essere disatteso: perché superato e inidoneo per la nuova pastorale. 
Non la Fraternità San Pio X lo ha disatteso, ma la Gerarchia e i Vescovi: esattamente ciò che la Fraternità rimprovera a Roma.

In un passo della sua lettera, il Card. Castrillon dice:

«In circostanze particolarmente difficili, non solo nelle persecuzioni, la Chiesa prevede l’eventualità dello “stato di necessità”. Ma questi stati di necessità sono sempre sottoposti al criterio del giudizio della suprema autorità ecclesiastica e delle misure che essa adotta di conseguenza; essi non possono essere rivendicati, contro o al di fuori di questa autorità suprema, da parte di forze sia pure del tutto ortodosse, mosse da una volontà di riforma e ben intenzionate. La vostra concezione e la vostra interpretazione di questi “stati di necessità” non è conforme alla fede nella indefettibilità della Chiesa, e infatti essa non è mai stata condivisa dall’episcopato mondiale con a Capo il Papa.»
Il Cardinale ha ragione, in linea di principio, ma se l’oggetto del contendere è costituito proprio dal fatto che in seno alla Chiesa, Roma compresa, si disattende il Magistero sia per le iniziative di alcuni sia per convincimento generalizzato, e se gli “stati di necessità” sono costituiti proprio da questa intricata situazione, non è possibile riconoscere, da un lato, questa realtà e il conseguente assenso di Roma e, dall’altro, sostenere che questa stessa realtà sia al tempo stesso “conforme alla fede nella indefettibilità della Chiesa”. È come se si volesse sostenere che il Magistero è disatteso e, ciò nonostante, il disattenderlo è conforme al Magistero.
Ci sembra proprio che una concezione del genere, al di là della possibile esasperazione del concetto, non possa reggersi in alcun modo; e a nulla valgono i richiami al consenso “dell’episcopato mondiale con a Capo il Papa”, poiché, dal momento che è proprio l’episcopato mondiale a disattendere il Magistero non ci si potrà certo aspettare da esso il riconoscimento della correttezza delle critiche mosse dalla Fraternità San Pio X.

Riportiamo a parte alcune “piccole novità” riguardanti la “cura pastorale” dei nostri Pastori nei confronti della “sensibilità  dei cattolici fedeli alla Tradizione”. 
“Piccole novità” che sicuramente non aiutano a fugare la sfiducia del mondo della Tradizione nei confronti della Gerarchia.


Riportiamo, nella sezione "documenti"

- Lettera del Cardinale Castrillon Hoyos a Mons. Fellay, del 5 aprile 2002

- Lettera agli Amici e ai Benefattori, di Mons. Fellay, del giugno 2002
 




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- Nostra presentazione  - Presentazione e commento di aprile 2001

- Lo stato dei colloqui fra la Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale San Pio X

Nostro aggiornamento e commento del luglio 2001


- Lo stato dei colloqui fra la Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale San Pio X

Nostro aggiornamento e commento del gennaio 2002


- Documenti che compongono il dossier



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