Sermone di Padre Jean, OFMCap.
dei Cappuccini di Morgon, Francia

26 gennaio 2014 – Terza Domenica dopo l’Epifania



Pubblicato sul sito francese Un eveque s'est leveé

Il sermone in formato pdf


Impaginazione e neretti sono nostri


In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo

Miei cari amici, questo sermone comincerà a partire da questa spiegazione o meglio da questa invocazione della parola di Dio tratta, non dal Vangelo di oggi, ma dall’epistola di San Paolo ai Romani: «Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti.» [Rm. 12, 18].
Se possibile, dice San Paolo. Perché questa notte, all’ufficio del Mattutino, a Morgon, abbiamo letto un’altra epistola di San Paolo, quella ai Galati. Abbiamo iniziato, e durante la settimana, al mattutino, a metà notte, leggeremo tutta l’epistola ai Galati. E al primo capitolo dell’epistola ai Galati, San paolo dice: se qualcuno ha un altro Vangelo, sia anátema!. Non è più lo stesso linguaggio. Qui non è possibile essere in pace con qualcuno che ha un’altra dottrina, un altro Vangelo.

Allora, permettetemi di partire da questa parola di Dio, per provare ad applicarla alla situazione attuale, ad oggi.
Quando noi predichiamo, ci dobbiamo preoccupare di spiegarvi la parola di Dio, la volontà di Dio, la verità, e poi anche di applicarla ai bisogni presenti, ai bisogni delle vostre anime. E la maggior parte di voi, io penso, è al corrente che da alcune settimane vi sono dei gravi avvenimenti che scuotono il nostro mondo della Tradizione. Per coloro che non fossero molto al corrente, io riassumo brevemente.
Un certo numero di sacerdoti, e anche delle comunità amiche, hanno lasciato la Fraternità; quindi hanno preso le distanze dalle autorità della Fraternità. E allora, voi siete in diritto di chiedervi: E voi a Morgon, che fate? Che pensate di questo?

Io ho chiesto al Padre Guardiano se oggi potevo predicare su questo argomento. Non per prendere le parti dell’uno o dell’altro, ancora una volta “Se possibile, vivete in pace con tutti”. Sabato e Domenica scorsi ero con Padre Fidèle-Marie ad Avignone, in un centro di Messa della Fraternità, e abbiamo svolto un buon ministero, abbiamo predicato, confessato, ed è andato tutto molto bene. E tra qualche settimana devo andare ad Avrillé a predicare, anzi a tenere delle sessioni di teologia mariana per una settimana, per i Padri di Avrillé. “Se possibile, vivete in pace con tutti”. Ecco.

E allora, ho chiesto al Padre Guardiano e lui mi ha dato il permesso, certo, di spiegarvi perché vi è questa divisione. Io credo che la cosa importante da capire sia proprio questa. Perché questa divisione visibile, tangibile, perfino dolorosa in qualche modo, è effettivamente qualcosa di evidente. Essa è il risultato di una divisione molto più profonda, più grave, di cui vorrei parlarvi: è una divisione sui principii. Questo è molto importante, miei cari fedeli, e voi lo capite. Non è una questione di persone, è una questione di principii. Se uscendo da questa chiesa, voi avrete colto questo, io penso di aver compiuto la mia missione.
È questo che ho spiegato al Padre Guardiano, ed è questo che cercherò di farvi capire. E all’uscita, voi troverete delle fotocopie di un testo che ho composto a suo tempo e quindi non è firmato, ma vi confermo che è stato redatto da me. Il Padre Guardiano mi ha permesso di darvelo, perché abbiate anche quello che io non posso dire in un sermone. Questo sermone rischia già di essere più lungo del solito e io non posso entrare nei particolari. Voi avete allora questo testo, potete prenderlo. Vi sono in tutto una cinquantina di fotocopie e penso che ve ne siano a sufficienza per tutti. Voi potete fotocopiarlo e diffonderlo se volete, me ne assumo io la responsabilità.

Il piano di questo sermone, se è un sermone, sarà molto semplice,
Per prima cosa vi mostrerò che è molto importante che noi si sia uomini di principii.
Nella seconda parte cercherò di spiegarvi che se noi è da una cinquantina d’anni che ci troviamo a resistere, a combattere per la fede, per la Tradizione, è perché siamo uomini di principii, e i nostri pionieri sono stati uomini di principii.
In terzo luogo, cercherò di applicare tutto questo alla situazione attuale. Oggi, il problema nella Tradizione, è un problema di principii.

Allora, primo punto. Noi dobbiamo essere uomini di principii. E mi baserò sugli insegnamenti dei Papi.
Abbiamo il Papa Pio IX che nel 1871 ricevette a Roma dei Francesi. E disse loro: «In Francia, a partire dalla Rivoluzione, ciò che impedisce che voi godiate della benedizione di Dio sul vostro paese, è il fatto che avete alterato i principii.» Ecco cosa disse il Papa Pio IX, voi avete alterato i principii.
Poi, il santo Papa Pio X, nella sua enciclica Pascendi, ci dice, e non fa che riprendere San Tommaso d’Aquino, quindi si tratta di dottrina della Chiesa, della pura dottrina tradizionale della Chiesa, ci dice: «quando si altera, quando si devia anche solo per poco da un principio, le conseguenze sono enormi!». È un poco come col tiro a bersaglio, se si devia anche solo di un millimetro, a duecento metri si manca il bersaglio per più di un metro.
Poi, il Papa Pio XII, anch’egli ricevendo dei Francesi. Noi siamo i più vicini. Il Papa Pio XII disse loro: «La Francia si risolleverà solo quando i cattolici saranno uomini di principii, uomini di dottrina, uomini preparati». Ecco cosa diceva il Papa Pio XII alla vigilia del Concilio a dei cattolici francesi: «È necessario che siate uomini di principii».

E mi fermo qui con le citazioni dei Papi, perché voglio citarvi anche quel grande vescovo che fu il cardinale Pie, che ha fatto tutto un sermone per spiegare ai suoi diocesani che la Chiesa è stata sempre intransigente sui principii e tollerante nella pratica, con le persone. Mentre il mondo, i liberali, fanno al contrario, sono tolleranti sui principii: pensate ciò che volete, avete il diritto di pensare ciò che volete; e sono intolleranti nella pratica. Ecco cosa spiegava il cardinale Pie.
E Mons. Freppel diceva: quando si abbandonano i principii, è la rovina.
E questi vescovi, questi grandi vescovi che sono vissuti nel secolo dopo la Rivoluzione, ci dicono, ed è vero, che tutte le rivoluzioni non sono fatte dalle persone, sono battaglie di principii.
Ed è vero, e noi ne vediamo facilmente l’applicazione.

Dunque, teniamolo a mente, miei cari fratelli, noi dobbiamo essere uomini di principii. Ce lo dicono i Papi, ce lo dice la Chiesa. Se noi siamo uomini interessati, se noi facciamo flettere i principii, che stanno al di sopra di noi, a favore dei nostri interessi, noi andiamo dritti alla catastrofe, non facciamo più la volontà di Dio.
I principii non sono dogmi di fede, certamente, ma se non li si rispetta essi si vendicano. Questo è un principio non di questo o di quel paese, dell’Inghilterra o della Francia, un principio che serve a tutti per guidare correttamente sulle strade, anche se in Inghilterra si guida a sinistra e in Francia destra, perché il principio è sempre lo stesso. E quando non si volesse rispettare questo principio, si finirebbe con la catastrofe. Non c’è bisogno di farvi uno spiegone, è nell’ordine della natura. Non si tratta di un dogma di fede, non è scritto nei concilii, ma è un principio. Se non si rispetta questo principio, si causa un accidenti, si va alla catastrofe.

Allora, oggi, secondo punto, voglio mostravi che nella Tradizione, la resistenza che pratichiamo, nostro malgrado e in qualche modo a malincuore, nei confronti della gerarchia, dei Papa, dei vescovi, è una questione di principii.
Noi non siamo contro il Papa, non siamo contro i vescovi. Al contrario, si prega per loro. Ma noi siamo contro i loro falsi principii. Certo.
E vi faccio un esempio che voi comprenderete subito.
Il concilio Vaticano I aveva posto un principio: sulla terra tutto è ordinato alla gloria di Dio. Un principio che è anche un dogma, che si trova nella Sacra Scrittura. Sancendo questo, il Vaticano I non ha inventato niente. Non c’era stato un concilio che l’avesse detto prima del Vaticano I. Ma il Vaticano I non ha fatto altro che ricordare un principio che è ineluttabile: tutto qui in basso è stato creato da Dio per la Sua gloria.
Il Vaticano II ha posto un altro principio: sulla terra tutto è ordinato all’uomo. Questo lo si trova a chiare lettere nel Vaticano II. È stato posto un altro principio. E i nostri vecchi, Mons. Lefebvre, Padre Calmel, Padre Eugène, non hanno accettato questo nuovo principio.
E voi, cari fedeli, e mi rivolgo soprattutto ai più anziani tra voi, voi anche non l’avete accettato, e nella pratica perché questa nuova religione che ordina tutto all’uomo, ha girato gli altari. Voi siete rimasti sorpresi un giorno che, arrivati nelle vostre chiese, avete trovato l’altare rovesciato. E vi siete detti: ma il sacrificio è offerto a Dio, non è un pranzo tra di noi. Ed è stato il vostro buon senso, se non il vostro senso cattolico, che, senza conoscere il principio, se n’è subito accorto.
E se mi è permesso parlare della mia famiglia, io conservo dei buoni ricordi: era la fine del Concilio, mio padre non voleva più andare a Messa nella parrocchia perché l’altare era stato girato nell’altro senso; e andava in una parrocchia più lontana dove c’era un vecchio parroco che celebrava la Messa come sempre.
E potrei continuare così.
I nostri vecchi, i nostri pionieri, quelli grazie ai quali noi abbiamo iniziato la buona battaglia per la fede, noi abbiamo avuto la grazia di averli. E noi abbiamo continuato, grazie a mio padre, grazie a Mons. Lefebvre, senza i quali non saremmo dove siamo. Ed essi furono uomini di principii. Non hanno voluto transigere.
A Mons. Lefebvre, e voi lo sapete, io credo, si è cercato ad ogni costo di fargli celebrare almeno una volta nella sua vita la nuova Messa. Ci fu a Flavigny un prete gesuita, inviato da Roma con un Messale di Paolo VI sottobraccio, che supplicava Monsignore: «Ma celebriamo la Messa una volta, Monsignore, una volta
Monsignore era un uomo di principii: «No. Visto che questa Messa è malvagia, io non voglio celebrarla, nemmeno una volta
E questo malgrado questo buon gesuita fosse inviato da Papa Paolo VI in persona, malgrado le carte che aveva, malgrado lo supplicasse quasi in ginocchio per concelebrare con lui. E Mons. Lefebvre, non come uomo di principii, ma come un uomo interessato, avrebbe potuto dire: “Ma si, questo aggiusterà le cose, essi saranno più gentili. Vada per una volta. Non lo vede nessuno. In una piccola cappella, all’oratorio Lacordaire. E poi basta, e poi con questo le cose si aggiusteranno”.
Altro esempio che mi viene in mente. Io non ricordo più il nome di questo Papa, ma quando il re d’Inghilterra volle divorziare per risposarsi, il Papa gli disse:
« - Ma non è possibile. Non puoi divorziare.
« - Se non lo fa, io lascio la Chiesa romana.
« - No, no, non è possibile, io non ne ho il diritto e non posso farlo. È un principio che è al di sopra di me. Tu sei sposato, sei sposato ed io non posso; ti sei sposato davanti a Dio, sei sposato.
Risultato. Il re d’Inghilterra si è separato, e c’è stato uno scisma. Si potrebbe dire: beh!, se il Papa avesse detto sì, le cose si sarebbero sistemate, l’Inghilterra sarebbe rimasta cattolica e sarebbe stato tutto molto meglio. No! Questo è un falso calcolo; è un calcolo d’interesse. È un calcolo d’interesse.
Ecco, è così che è giusto: si devono rispettare i principii. Com’è nella Sacra Scrittura, così come dice San Paolo. Non si ha il diritto di fare un male con la speranza di un bene. Non si ha il diritto di tradire un principio voluto da Dio, per fare un interesse passeggero o particolare che va contro il bene comune. E si potrebbe continuare con altri esempii.
Ma, cari fratelli, io non voglio dilungarmi oltre su questo secondo punto, posso riassumerlo se volete. I nostri vecchi sono rimasti fedeli ai loro principii ed è grazie a loro che siamo qui, che si porta avanti la buona battaglia.

E adesso, terzo punto, l’applicazione ad oggi. Ad oggi, Domenica, fine gennaio. Ebbene, cosa accade? Io voglio parlarvene ancora in pace, cioè senza acrimonia, senza zelo amaro, ma per farvi comprendere dove sta il problema, da dove nasce la divisione. Essa è negli animi. Essa non è una faccenda dei preti o delle comunità che non sono più con noi, che sono fuori, ecc. La divisione è negli animi all’interno del nostro mondo della Tradizione. Ecco, nei priorati, nei conventi. Sì, essa è negli animi; che vale a dire che ci sono di quelli che professano il principio che si è mantenuto per anni e anni, che ci ha consegnato Mons. Lefebvre; e poi ci sono di quelli che non ammettono più questo principio, che dicono che questo principio non vale più, non è più buono. Ecco dov’è il problema.

E allora, qual è questo principio? Io penso che la gran parte di voi l’abbia capito: è il principio che non si può firmare un accordo pratico o canonico con le autorità romane, se non si è d’accordo innanzi tutto sulla dottrina, se non professiamo le stesse verità.
E questo è un principio cattolico; e all’uscita troverete le fotocopie; potrete leggervele tranquillamente a casa, cioè potrete leggere l’argomentazione che vi ho svolto per dimostrare che tale principio è fondato sulla Sacra Scrittura, è fondato sui Padri della Chiesa, è fondato sulla pratica della Chiesa.

La pratica della Chiesa, e io insisto su questo, è l’attitudine dei Papi fino a Pio XII, per esempio di fronte agli Ortodossi. Quando gli Ortodossi, dopo il grande scisma del IX secolo con Fozio, cercarono di discutere con Roma per tornare ad unirsi, per fare un accordo pratico, canonico, per essere uniti alla gerarchia romana, ebbene, la cosa è sempre sfociata sulle questioni di dottrina. Sempre: il primato del Papa, in particolare, e il Filioque nel Credo. E quando vi sono stati degli accordi, i cosiddetti uniati per esempio in Grecia o in Russia, e ci sono state certe comunità ortodosse che si sono riunite alla Chiesa romana e sono ridiventate cattoliche, ebbene, Roma non ha mai transatto sulla dottrina. Mai. Invece nella pratica, nella liturgia, nessun problema. Sul matrimonio dei loro preti, nessun problema. Quello che era tradizionale per loro, rimaneva. Un piccolo esempio, con gli uniati dell’Ucraina, con i Ruteni, si era nel XVII secolo, Roma diceva: dovete accettare la dottrina del Filioque, che cioè lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, e non dovete più dire che è un’eresia. E gli uniati, cioè quelli che si sarebbero uniti, si sono detti d’accordo. Hanno accettato quella dottrina, hanno rivisto la questione e si sono resi conto che era conforme alla Tradizione, che era quello che la Chiesa aveva sempre insegnato, e sono stati d’accordo sul Filioque. A quel punto Roma ha detto: non si esige che lo cantiate nel Credo, perché non l’avete mai fatto, neanche nei primi secoli.
Vedete? Roma disse che non avrebbe preteso che lo cantassero nel Credo; disse solo che dovevano essere d’accordo sulla dottrina, e lasciò che non lo cantassero nel Credo.
D’altronde, la piccola storia, un secolo dopo essi chiesero di cantarlo nel Credo. Vedete?
La fermezza di Roma sulla dottrina. La dottrina innanzi tutto. È indispensabile che si sia d’accordo sulla dottrina, poi, nelle questioni pratiche, nella liturgia, nessun problema, in qualche modo si aggiusterà, ma sulla fede non si transige. Su questo si è intolleranti. Completamente, e se ne è fieri. È la fede, è ciò che ci appartiene. È un deposito che si è ricevuto, è al sopra di noi. Non si ha il diritto di toccarlo, anche si è il Papa.

Allora, il nostro problema attuale.
Per anni, Mons. Lefebvre, fino alle consacrazioni, ha cercato di discutere con Roma; dal ’75, l’anno della condanna ingiusta e nulla di Roma contro la Fraternità San Pio X, fino all’88. Quando Roma lo chiamava, Mons. Lefebvre andava sempre, e discuteva di fede, prima di tutto di dottrina. Poi esplorava il livello pratico; che ci fosse un mezzo per aggiustare le cose.
Così vi era sempre in giuoco l’aspetto della dottrina e della pratica. E allora, a volte, Mons. Lefebvre faceva delle dichiarazioni piuttosto rivolte all’aspetto pratico: lasciateci fare l’esperienza della Tradizione; chiediamo solo questo, che ci lascino fare l’esperienza della Tradizione, e poi si vedrà. Perché era un uomo di Chiesa, e voleva sempre, aveva sempre la volontà di essere in comunione per quanto possibile con la gerarchia, con la Chiesa. E dopo, si rese conto che si era spinto troppo lontano, lo disse lui stesso, lo riconobbe: mi sono spinto troppo lontano; era il 5 maggio, quando firmò il protocollo. E si era spinto troppo lontano perché aveva transatto sulla dottrina; aveva messo avanti la pratica. Lo riconobbe, lo dichiarò sul n° 66 di Fideliter. Chi ancora ce l’ha a casa può leggerlo. E in questo numero di Fideliter, che è di dicembre 1988. In copertina è scritto: «Ad una ripresa dei colloqui, io porrò le mie condizioni». Ecco ciò che disse Mons. Lefebvre dopo le consacrazioni e che ha sempre tenuto fermo fino alla morte, e questo è quello che vincola.

Quali sono queste condizioni?
Si possono leggere su questo numero di Fideliter, e voi le conoscete: «Io arriverò a Roma con le encicliche dei Papi e dirò loro: siete d’accordo con queste encicliche? Con la Quas Primas sulla Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo? Con la Mortalium Animos sul falso ecumenismo? ecc. ecc. Siete d’accordo con la dottrina dei vostri predecessori?».
E la seconda cosa molto importante che aggiunge Mons. Lefebvre: «Siete pronti a rivedere il Vaticano II sulla base di queste encicliche?». Perché il Vaticano II dice il contrario della Mortalium Animos e dice il contrario della Quas Primas e di altre, per esempio le encicliche sul liberalismo di Gregorio XVI. «Siete d’accordo, non solo sulla dottrina dei vostri predecessori, ma anche sul cambiamento, sul far ritornare il Vaticano II ai sani principii».
Ecco le condizioni che pose Mons. Lefebvre. Io non invento niente. Leggete il n° 66 di Fideliter, leggetelo attentamente. Potete procurarvelo. Vi si possono dare delle fotocopie, se volete.
E in altre dichiarazioni, Mons. Lefebvre, a Flavigny per esempio, ci dà un compendio di questa dichiarazione: «A Roma, essi hanno detronizzato Nostro Signore Gesù Cristo, non ci si può intendere se prima non lo reintronizzano».
Se prima non dicono di nuovo che Nostro Signore deve regnare sulla società.

E allora, miei cari fratelli, teniamo presente che Mons. Lefebvre, dopo le consacrazioni e fino alla sua morte ha sempre tenuto fermo questo principio. «Io porrò le mie condizioni: la dottrina, le encicliche dei Papi. Siete d’accordo o no? Se non siete d’accordo, inutile dialogare.» È scritto nel n° 66 di Fideliter: inutile discutere. Inutile.
Se non si è d’accordo sulla dottrina, inutile parlare oltre su delle questioni pratiche. Ecco ciò che Mons. Lefebvre ci ha lasciato, fino alla sua morte.
E il nostro movimento per la Tradizione è sempre stato perfettamente unito fin quando si è tenuto fermo questo principio. Per anni e anni questo principio è stato mantenuto. E voi leggerete, sulle fotocopie che trovate all’uscita dalla Messa, le dichiarazioni di cinque vescovi, di Mons. Lefebvre e dei quattro vescovi che ha consacrato, che difendono questo principio. Chiaro e netto.
Mons. Fellay, nel 2008, in una Lettera agli amici e benefattori dell’ottobre 2008, che è unita a quella del distretto di Francia, lo dice a chiare lettere, dice che questo principio è di ordine naturale. È come guidare sulla strada. Ecco, è così, e ci condiziona. E una cosa naturale. Bisogna essere d’accordo sulla dottrina, prima di passare a degli accomodamenti pratici.

E sfortunatamente, da qualche tempo, si può dire da dopo la fine dei colloqui romani, cioè dall’autunno del 2011, a poco a poco, noi vediamo, siamo obbligati a constatare che le autorità della Fraternità hanno abbandonato questo principio.
Lo dico senza acrimonia. Lo dico senza zelo amaro. Lo dico pacificamente. E sono pronto ad assumermene la responsabilità, e loro non possono contestarlo perché  questo è di dominio pubblico.
Questo è cominciato prima con Mons. Fellay, che diceva che questo principio può avere delle eccezioni. Egli ha tenuto una conferenza in Canada e ha detto: per esempio, con gli Ortodossi si facevano delle discussioni, si facevano degli accomodamenti sulla questione del matrimonio, ecc. Il divorzio in certi casi. Mons. Fellay ha detto: questo principio non si applica, vi sono delle eccezioni, si può transigere. Ma quando si guardi bene a queste questioni con gli Ortodossi riguardo al matrimonio, si vede che non è una questione di fede! È una questione di disciplina. Cosa del tutto diversa.
Poi Mons. de Galarreta, in una conferenza a Villepreux, il 13 ottobre 2012, ha detto: Queste questioni di pratica, di dottrina, si mischia tutto, e poi l’importante è vedere se si può fare un accordo, dopo noi continueremo la buona battaglia all’interno, saremo la punta di diamante all’interno, ecco si combatterà all’interno.
E poi, molto recentemente, Mons. Tissier de Mallerais, in una conferenza che ha tenuta a giugno a Tolone, ha detto, e me l’ha confermato per iscritto, ho avuto uno scambio epistolare con lui, che Mons. Lefebvre ha sempre cercato un accordo pratico. E io chi ho scritto dicendo che prima delle consacrazioni è vero, ci sono delle parole, delle citazioni di Mons. Lefebvre che dimostrano che a volte egli era meno fermo su questo principio. Ma dopo le consacrazioni egli è stato sempre molto chiaro, e io ho ricordato a Mons. Tissier nella mia lettera, che nel n° 66 di Fideliter Mons. Lefebvre dice: io porrò le mie condizioni ecc. E Mons. Tissier de Mallerais mi ha risposto, personalmente, ho la lettera datata 11 settembre 2013: «L’ha detto, ma non l’avrebbe fatto.».

Allora, io dico ancora una volta che non sono contro nessuno: non sono contro Mons. Fellay, non sono contro Mons. de Galarreta, non sono contro Mons. Tissier. Io prego per loro. Sono dei vescovi, e uno di loro mi ha conferito gli Ordini, e ancora una volta, se possibile vorrei restare in pace con tutti. Ma ciò che vi dico è di dominio pubblico, essi hanno parlato pubblicamente: in Canada, a Villepreux e a Tolone. È risaputo. Non dico delle cose nascoste. Io cerco di farvi capire qual è il problema in questo momento. Vi è una divisione negli animi. Questo principio che è stato mantenuto per anni, e dietro al quale noi ci siamo tutti ritrovati, ebbene, questo principio oggi è abbandonato.

Nel 2006 la Fraternità ha tenuto un Capitolo generale, nel quale ha riaffermato solennemente questo principio. Nel 2012, essa lo ha abbandonato. Essa ha posto sei condizioni. Se gli altri sono d’accordo sulle sei condizioni, a quel punto: accordo canonico, accordo pratico. E nel giugno 2012, scrivendo a Papa Benedetto XVI, Mons. Fellay gli ha detto: ecco adesso la via che si è scelta, si lasciano da parte i problemi dottrinali, che non sono ancora risolti dopo i colloqui, e si fa prima un accordo pratico, poi si vedrà per gli accordi dottrinali.
Ecco com’è. E in questa lettera, Mons. Fellay dice a Benedetto XVI: «Io ho intenzione veramente di continuare su questa strada». Lo precisa, lo dice chiaramente, è sua intenzione.
E nel luglio, un mese dopo, il 2 luglio, si tiene una riunione dei Superiori religiosi a Parigi, con due vescovi: Mons. Fellay e Mons. de Galarreta. E un padre domenicano si alza e dice: «Ma, Monsignore non bisogna ritornare al principio del Capitolo del 2006?» E Mons. Fellay risponde: No, no, questo principio no, no, non è chiaro, non è sicuro. Mentre invece quattro anni prima affermava: è di ordine naturale. Cioè qualcosa di intangibile. Non vi sono eccezioni possibili nell’ordine naturale. Questa è cosa riconosciuta, è così, è la natura.

Dunque voi vedete, miei cari fratelli, dove sta il problema.
È quello che io ho voluto, ho cercato di farvi capire, senza provare a prendere partito, senza attaccare nessuno, anche se ho fatto dei nomi. E io vi ho detto delle cose che sono note a tutti.
Adesso io vi lascio pregare, vi lascio riflettere su queste cose, perché ciascuno di noi, in coscienza, possa dire: qual è la volontà di Dio in questa questione?
Questa è la cosa più importante. Qual è la volontà di Dio in questa questione? E non fare pressione sugli uni o sugli altri dicendo: Quelli hanno torto, ecc. Basta. Anatema a questi preti di una parte e dell’altra.
Se possibile, restiamo in pace, stiamo in pace con tutti. Fintanto che è possibile, ed è ancora possibile. Perché non c’è ancora l’accordo ufficiale. Siamo ancora ad una battaglia sui principii. E questo è molto importante, è la prima cosa. È per questo che voi avete a disposizione queste fotocopie all’uscita dalla Messa, e che io vi invito a leggere, a comprendere.
Tutte le rivoluzioni si sono svolte su dei principii. Ce l’hanno detto i nostri vecchi, ed è necessario inculcarlo nei nostri cuori. È necessario che questa questione sui principii venga compresa bene, e poi noi potremo seguire la nostra coscienza, perché per ciascuno di noi sacerdoti è un grave problema di coscienza.
Mons. de Galarreta l’aveva detto alla riunione del 7 ottobre 2011 ad Albano: Se si abbandona questo principio, vi sarà un grave problema di coscienza per noi sacerdoti. Lo aveva detto, alla riunione, aveva avvertito.
E sfortunatamente è proprio questo che vediamo adesso.
Queste «partenze», tra virgolette, ci sono perché dei sacerdoti hanno un grave problema di coscienza, ed essi non sono i soli, anch’io ce l’ho. Cosa devo fare in questo momento? Cos’è che devo fare in questo momento?
Allora, preghiamo, ci si invita a pregare molto in questo momento. Io penso che questo faccia parte, certamente, delle nostre intenzioni di preghiera. Ebbene, siamo fedeli a quello che ci hanno lasciato i nostri vecchi. A questi principii che sono, io ne sono convinto, che vengono da Dio, che sono la volontà di Dio nella crisi attuale, nei nostri rapporti con Roma.

La condanna del libro di Don Pirvet viene da questo; dal fatto che egli difende questo principio, non bisogna cercare altrove. Perché il libro di Don Pirvet oggi è proibito venderlo nei priorati? Noi a Morgon lo continuiamo a vendere. Ebbene, è perché egli difende il principio che si è mantenuto per 25 anni e che adesso è stato abbandonato. È per questo.
Quindi, voi capite bene che se comprendete questo, capirete molte delle cose pratiche, concrete.

Allora, miei cari fratelli, io spero di avervi parlato secondo Dio. Spero di non causare turbamento in alcuna anima, vorrei invece che vi albergasse la pace. Io penso che se noi siamo sicuri, convinti della volontà di Dio, possiamo solo essere in pace, anche quando ci si trova nelle situazioni peggiori. Pensiamo alla Santa Vergine ai piedi della Croce. Stabat Mater. Ella era lì tranquilla. Stabat. Ella stava in piedi. Non era raggomitolata, non era tremante. Non era in preda al panico. E tuttavia suo Figlio subiva una tortura tremenda. Un cuore di madre e un cuore immacolato. Cos’è che non ha dovuto soffrire! Ella era nella pace.

Dunque, noi soffriamo  sicuramente tutti, miei cari fratelli, di questa situazione. Tutti! Nella Tradizione. Ma chiediamo alla Santissima Vergine, di rimanere tranquilli, com’era Lei ai piedi della Croce, e poi di mantenere gli occhi su Dio, sulla volontà di Dio. Perché Lei era tranquilla? Perché Lei sapeva che quella era la volontà di Dio, che suo Figlio morisse in quelle condizioni, e questo bastava perché Lei fosse tranquilla.

Chiediamo questa grazia alla Madonna e per quanto possibile restiamo in pace con tutti.

In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.




marzo  2014

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