Conferenza di Don Pinaud
della Fraternità San Pio X
dopo la sua sospensione a divinis del 28 ottobre 2013

Gironde, Francia, 15 febbraio 2014


Pubblicata in francese nel sito La Sapinière




Don Nicolas Pinaud è un sacerdote del Distretto di Francia della FSSPX 


impaginazione e neretti sono nostri

Il documento in formato pdf

Signore e Signori,

è un piacere salutarvi tutti e ritrovare alcuni di voi, è anche un onore trovarsi in presenza di fedeli lucidi e coraggiosi.

In una conferenza che ha tenuto alla fine di gennaio, Don de Cacqueray si chiedeva:
«non è stata messa su internet perché una conferenza orale non ha la precisione di uno scritto e poi vi sono circostanze che non consentono di avere una visione chiara delle cose e quindi le considerazioni espresse acquistano un aspetto definitivo solo col senno di poi».

Io non voglio mettere in dubbio la sincerità di questa riserva, ma non posso impedirmi di chiedermi perché ciò che egli ha detto ai fedeli di Mantes-la-Jolie in quel 26 gennaio, dovesse riguardare solo i fedeli di quella cappella, visto che forniva loro delle informazioni molto interessanti riguardanti gli impegni di Mons. Fellay – informazioni derivate da una lunga conversazione telefonica.

Una conferenza diffusa su internet non diventa un testo scritto… conservando il suo stile orale, non è difficile ricondurla nel suo contesto, mentre è invece è molto più difficile farlo quand’essa è diffusa per iscritto.
Peraltro, è preferibile ascoltare l’audio di questa conferenza del Superiore del Distretto, piuttosto che leggerne il testo… le numerosissime esitazioni in una esposizione sempre fortemente sostenuta dal condizionale, con numerosi “se”, danno veramente l’impressione che Don de Cacqueray si sforzi di convincere se stesso di ciò che dice, cioè provi a mentire a se stesso o quanto meno a rassicurarsi.
Io non vorrei arrecargli danno, ma dopo tutto quello che ha detto in passato, è impossibile non constatare oggi in lui una mancanza.
«Le fette che gli erano cadute dagli occhi», per usare la sua stessa espressione, hanno di nuovo ripreso ad impedirgli la vista…
mi dà l’impressione di un topo catturato da un gatto che si diverte…

Personalmente, io non frequento molto internet, ma non è eccessivo affermare che internet è un mezzo che ci ha preservato dall’ignoranza che certuni volevano e vogliono ancora imporci.

A Couloutre, il 21 aprile 2012, Don de Cacqueray ci aveva letto confidenzialmente, a me a Don Schaeffer, la lettera dei tre vescovi  - come l’avesse avuta, non saprei dirlo. Ma non vi nascondo il mio sollievo quando seppi che questo documento era accessibile su internet.
Chi ha osato compiere quell’atto, in un comunicato della Casa Generalizia è stato accusato di mancanza grave.
Io non so se la Casa Generalizia è qualificata per emettere un tale giudizio. In ogni caso, Don Schaeffer si compiaceva nel dire: «o felix culpa!» - felice colpa!

Tante messe in guardia contro i siti internet assomigliano ad un invito alla stupidità e all’ignoranza… e questo da parte di persone che usano abbondantemente internet, senza escludere i sacerdoti.
Se vi è del rischio e del pericolo nell’uso di internet, questo viene piuttosto da parte dei forum, perché sui forum chiunque può esprimere qualunque cosa senza avere la minima competenza per trattare gli argomenti affrontati, e può dare alle sue opinioni, talvolta del tutto false, una diffusione planetaria.
Ma bisogna riconoscere che, nella situazione che ci preoccupa, la gran parte dei documenti utili da conoscere ci sono stati resi accessibili solo grazie a internet e io mi congratulo con le persone che dedicano ragionevolmente del tempo alla diffusione di documenti serii che ci illuminano sulla nostra situazione.
Usiamo dunque questo mezzo, senza abusarne, e andiamo a cercare l’informazione là dove si trova, e utilizziamola con discernimento.

In occasione degli ultimi avvenimenti che sono accaduti nella Fraternità San Pio X, uno di voi mi ha chiesto, a fine gennaio, se  sarebbe stato possibile venirvi a dire qualche parola. Io lo faccio volentieri.

Dopo il mio esilio nella Siberia austriaca, la mia residenza sorvegliata per otto mesi, i miei interrogatorii, la mia udienza e la mia condanna, forse sono diventato, mio malgrado, un animale che suscita curiosità. Io avrei fatto a meno di una simile pubblicità, credetemi, ma poiché Menzingen ci tiene, io non mi faccio indietro.

Quali sono questi avvenimenti?
In ordine cronologico:
8 novembre 2013 – la pubblicazione di una sentenza che conclude un processo annunciato da otto mesi: nientemeno che una sospensione a divinis!

12 dicembre 2013 – una lettera di Mons. Fellay che comunica a Don Pivert l’interdizione alla diffusione del numero speciale di Combat de la Foi Catholique, intitolato “Nos rapports avec Rome”. Questa lettera accompagna uno studio di 14 pagine «che sostiene il mio giudizio su questo libro».

Natale 2013 – un ritiro predicato a Flavigny ai Frati del Distretto di Francia, dal Primo Assistente della Fraternità – le note del quale, che sono state diffuse, suscitano una comprensibile emozione; senza esagerazione, si può dire che si tratta di uno scandalo grave che chiede spiegazione e riparazione… forse anche un processo, perché no! Il moltiplicarli non è forse il mezzo migliore per perfezionare la macchina giudiziaria, che non sembra sia ancora del tutto a posto?

Primi gennaio 2014 – violazione della corrispondenza privata di Don Salenave e sua espulsione dal Distretto svizzero – suo incontro con Mons. Fellay, Domenica 5 gennaio.
Questa attività delittuosa è finita col diventare una cosa comune nella Fraternità.

16 gennaio 2014 – pubblicazione da parte di Mons. Fellay di una critica alla critica contenuta nel libro di Don Pervet o di una correzione di questa critica!

19 gennaio 2014 – diffusione di un “Messaggio ai fedeli”, firmato da abbastanza sacerdoti e religiosi da attirare l’attenzione di Don de Cacqueray, che farà una conferenza a Mantes-la-Jolie, il 26 gennaio, per condannare quest’atto e accusare i firmatarii di peccato di precipitazione. – Questo Messaggio ai fedeli dev’essere letto col suo complemento del Padre Bruno: “Perché ho firmato il Messaggio ai fedeli”. E converrebbe aggiungere anche il sermone che Padre Jean – dei Cappuccini di Morgon – pronunciato ad Ambérieux col permesso del suo Superiore, sempre Domenica 26 gennaio.

Tutta una serie di avvenimenti legati tra loro da una medesima causa che non è difficile cogliere.

Per cominciare, vi dirò poche parole sullo svolgimento del mio processo e sulla mia condanna, oggetto principale di questa riunione, e, se il tempo lo consente, poche parole sugli avvenimenti seguenti.

Il 28 ottobre scorso, al termine di un processo che è durato otto mesi, Don Wuilloud ha firmato la sentenza che mi infligge una sospensione a divinis, per una durata indeterminata… È una delle più gravi sanzioni che la Chiesa infligge ad un sacerdote – in pratica, mi è stato interdetto assolutamente e totalmente l’esercizio di ogni ministero sacerdotale, in pubblico come in privato – alla fine mi resta solo la recita del breviario e la possibilità di indossare la talare.
Evidentemente, per meritare una tale punizione, voi avete il diritto di pensare che io abbia peccato molto gravemente. Non ci possono essere dubbi.
Cosa mai avrà potuto fare per scendere così in basso?

E ancora grazie che Mons. Fellay non abbia scelto Don Gleize come giudice, perché quest’ultimo avrebbe dichiarato in una conferenza sulla sovversione, da lui fatta recentemente:
«Si è fatto il processo a Don Pinaud con ogni mansuetudine, quasi con debolezza, voi non conoscete il dossier! Io che l’ho letto sarei stato più severo…».

Queste parole, se sono le sue, mi stupiscono – non sapevo che questo timido confratello fosse così feroce… a meno che anche lui sia diventato un «utile idiota» al servizio di una causa che lo disonora…
Dico «utile idiota» perché questo è l’appellativo che egli attribuisce a Don Salenave in questa stessa conferenza, nella quale si è parlato «di agenti della sovversione, coscienti e complici, che agiscono nell’ombra. Essi reclutano le anime ingenue. Quelli che si mostrano sono spesso degli ‘utili idioti’. Ad esempio: Don Salenave…»
Grazie per lui!

Parlare così non mi sembra molto onesto, perché io so che Don Salenave, quando dirigeva il sito antimodernisme.info, e anche altri confratelli hanno chiesto dei consigli a Don Gleize… e lui non sembrava considerare sovversive le loro domande… non vorrei rivelare delle risposte date da lui… peraltro, è forse a causa di queste risposte che il nome di Don Gleize figura nell’interrogatorio che ha dovuto subire Don Salenave prima di comparire davanti ai suoi giudici.

Per quanto mi riguarda, io non ho mai avuto contatti con Don Gleize, ma lui avrebbe preso visione del mio dossier – non so come – e mi avrebbe giudicato e mi avrebbe condannato ancora più severamente che con la sospensione a divinis… vi lascio immaginare cosa avrà mai potuto leggere in quel dossier, e soprattutto vi lascio immaginare ciò che si sarebbe inventato come punizione: io non vedo altro che la pena di morte, che probabilmente avrebbe eseguito lui stesso!
D’altronde, è lui stesso che in quella conferenza ricorda «che nel Medio Evo la Chiesa aveva le sue prigioni, si potevano neutralizzare i sovversivi. Si è bruciato Jean Hus.»

Ancora una volta bisogna riconoscere che me la sono cavata bene.
Signor teologo della Fraternità, avrà mica perso la testa?

Egli ha letto il dossier, ma anche voi, signore e signori, ormai potete farlo e quindi farvene un’idea.
Attenzione, per vostra corretta informazione, non si tratta di un consiglio di Don de Cacqueray o di altri, devo anzi avvertirvi che un comunicato firmato da lui è stato inviato l’11 febbraio a tutte le case del Distretto, per annunciare che aveva telefonato all’autore del libro, Don Pivert, per proibirne la pubblicazione. Constatando che la vendita aveva reso vana la sua interdizione «inutile dire – continua - che questo libro non può essere venduto e diffuso sui banchetti dei priorati e non dev’esserne consigliata la lettura… Se si pensa che è con questo genere di iniziative intempestive che si aiuterà la Fraternità nelle difficili circostanze che attraversa, ci si sbaglia. Io vi invito alla preghiera e alla penitenza.»

Se non ci fosse stato un processo, le cose sarebbero potuto andare diversamente, ma quando si fa un processo bisogna assumersene le conseguenze.
E poi, Don Cacqueray, mi permetta di rivolgerle la domanda seguente:
«Che cosa rappresenta per Lei la reputazione di uno dei suoi confratelli che è stato suo subalterno per moltissimo tempo?».
E mi permetta anche di ricordarle il consiglio che mi diede l’11 giugno scorso: «Faccia attenzione, essi sono capaci di distruggere definitivamente la sua reputazione»… di che parlava?
Don Beauvais pensava di non restare passivo all’annuncio della mia condanna, ha parlato con Lei per farle sapere che voleva fare qualcosa… c’è bisogno di ricordare quello che Lei gli ha detto? … e in ogni caso Lei sembra essere ritornato a Menzingen, un’ennesima volta!
Quanto all’invito alla preghiera e alla penitenza, questa è una formula che non costa niente, è sempre la benvenuta, ma non è il rimedio appropriato per riparare alle menzogne e alle ingiustizie.
Si ricordi di questo passo di Padre Calmel:
«Questi falsi spirituali, che hanno tradito i doveri dell’onore e della giustizia, hanno ucciso nei loro cuori la possibilità della vera contemplazione; sono sprofondati in una preghiera di menzogna. […] la carità per il prossimo non può prescindere dal senso dell’onore. Così, non difendere gli inferiori loro affidati, abbandonarli, lasciarli calunniare, schiacciare, esiliare, quando si è il loro legittimo capo, abbandonarli e abbandonarli con parole pie, in una parola, comportarsi come un vile, significa chiaramente mancare all’onore e alla giustizia, ma significa anche mancare gravemente alla carità. Il capo che ha l’abitudine di agire così, evita forse a se stesso difficoltà e noie, ma commette l’iniquità. Poi mi si potrà dire che è uno di preghiera, e io vi rispondo che è soprattutto un pio ipocrita. Egli disconosce uno dei primi doveri della vita attiva, che è l’amare molto per praticare la giustizia, anche a sue spese.» (P. Calmel, Itinéraires n° 76, La contemplazione dei santi).

Torniamo a Don Gleize.
Don de Cacqueray ci dirà forse che il suo parere aiuta la Fraternità, ma comunque sia questo professore di Ecône non esita a darlo.
Io vi faccio conoscere adesso il parere privato di un altro confratello che, dopo aver letto lo stesso dossier, ha indirizzato la seguente lettera ai membri del Consiglio e ai Vescovi, il 17 novembre 2013: si tratta di un confratello con 6/7 anni di sacerdozio, ed è forse importante precisare che io, per così dire, non lo conosco.
Questa lettera è stata indirizzata ai tre Vescovi, ai due Assistenti, a Don de 17 novembreCacqueray, ai tre membri del tribunale e al condannato.

Monsignore,
nella sua qualità di vescovo della Tradizione, caricato dell’enorme fardello di essere per i fedeli scombussolati in questi tempi di crisi, un faro e una guida sicura, io le scrivo per esprimerle le mie proteste e farla partecipe del mio dolore nell’attuale situazione.

Io protesto con tutte le mie forze contro la sentenza che è stata emessa contro Don Pinaud. In questo momento, la notizia corre e si diffonde a macchia d’olio: Don Pinaud, al termine di otto mesi di procedura (otto mesi!), è stato sospeso dall’esercizio di ogni potere di ordine e di giurisdizione, e questo senza limiti di tempo. “Chi tace acconsente”, si dice, e io non vorrei avallare col mio silenzio una tale condanna.
In questa sentenza, ad una prima lettura, il ridicolo fa a gara col grottesco.
Ci si ricordi che Mons. Lefebvre è stato dichiarato sospeso a divinis – senza dubbio ingiustamente – per un atto che, quantomeno, aveva il suo peso sul piano canonico, poiché si trattava di ordinazioni sacerdotali fatte contro il parere espresso dalle autorità romane. Qui noi vediamo la stessa sentenza brandita per aver corretto qualche errore d’ortografia e approvato in privato la redazione di un documento giudicato sovversivo.
Ma è soprattutto la lettura del precetto penale che manifesta che il fondo del problema non è stato affrontato. Il caso di Don Pinaud è stato collegato a quello di Don Rioult, come un vagone alla locomotiva, ed è stato giudicato analizzando le azioni compiute, senza mai prendere in considerazione le ragioni di tali azioni. È così che, a suo tempo, gli ufficiali romani giudicarono Mons. Lefebvre, giudicando gli atti e omettendo scientemente le circostanze che l’avevano portato ad agire. Com’è possibile che si sia inflitta ad un confratello la sentenza più pesante che ci sia per un sacerdote – visto che gli è stata interdetta anche la Messa – senza aver voluto considerare le ragioni della sua azione? Da quanto in qua si giudica un atto senza esaminare le circostanze che lo accompagnano e in particolare le ragioni che l’hanno motivato?

Tuttavia, alla fine, al numero sei, è richiamata la ragione di fondo, ma solo come indice di pertinacia: «Non solo – si legge in sostanza – Don Pinaud ha approvato una lettera che fomenta la divisione, ma per di più persiste nelle ragioni che l’hanno condotto ad agire», ragioni che sono semplicemente menzionate, ma non sono mai state esaminate. Si considerano al microscopio gli articoli del codice e si evita il fondo del problema, come quelli che scansato il moscerino inghiottono il cammello. Come può la nostra Fraternità legittimare un tal modo di procedere?
Io protesto contro questo giudizio che è un’offesa alla giustizia, e supplico Vostra Eccellenza di agire per annullare questa sentenza.

Ma al di là di una protesta che era mio dovere formulare, io voglio risalire alla causa e testimoniare il mio dolore nel vedere la nostra Fraternità così lacerata. Alla riunione dei Priori di Francia che si è tenuta a Saint-Nicolas du Chardonnet venerdì 8 novembre scorso, Don Nély ci ha detto che bisogna ripristinare l’unità. In effetti c’è del lavoro da fare su questo punto ed è di una vera resurrezione che bisognerebbe parlare, perché, che si tratti dell’unità dottrinale o del legame di carità, in un caso come nell’altro non si può che constatare la loro sparizione.

In effetti, come si potrebbe avere un’unità dottrinale quando si vede sussistere in capo a tutto una divisione tra due discorsi contraddittorii: quello dell’aprile 2012 e degli altri testi dello stesso periodo, da un lato, e quello dell’aprile 2013 e delle altre dichiarazioni simili, dall’altro. Questa frattura si propaga, ben inteso, fino alla base e lascia la nostra Fraternità divisa in due campi: di quelli che si oppongono risolutamente alla dichiarazione di aprile 2012, e di quelli che l’approvano silenziosi ed entusiasti.
Questa dichiarazione, infatti, non è morta, essa è stata ritirata per dei motivi estrinseci: perché ci ha divisi o è stata mal compresa. Quindi, è solo il testo che è stato ritirato, non il pensiero che la sostiene e che è sempre vivo, pensiero che peraltro è espresso in altri testi che invece non sono stati ritirati affatto.
È questo pensiero che ci divide e continuerà a dividerci fintanto che non verrà rivisto. È questa peraltro la causa profonda dell’attitudine di Don Rioult, del processo di Don Pinaud e dell’abbandono di una certa quantità di confratelli zelanti, quantunque a volte eccessivi.
Quanti ne dovremo perdere ancora e di quanti sacerdoti dovrà rendere conto a Dio?

Questa dichiarazione di aprile 2012 è stata voluta senza dubbio come solamente abile, ma di fatto è divenuta realmente ambigua, al punto che è stato necessario prescrivere un paio di occhiali particolari per comprenderne bene il pensiero. Queste ambiguità, che non sono state ritrattate, ma solo messe da parte, continuano a dividerci molto più di tutti i siti internet messi insieme. Se ne ha la prova nel fatto che vi sono sempre stati dei siti che hanno formulato delle critiche più o meno fantasiose, tipo Virgomaria o il Forum cattolico… ma essi avevano potuto inquietare solo alcuni fedeli tormentati e mai erano riusciti a dividerci profondamente. È dunque chiaro che la causa dei nostri mali non è da cercare su internet, che tutt’al più è stato solo un catalizzatore.

Quanto al legame della carità, io posso solo constatare che esso, per così dire, non esiste più. Noi siamo entrati in una logica di guerra, e di guerra civile. Non poche piaghe erano ancora sanguinanti e il processo di Don Pinaud, lungi dall’apportare dei lenimenti, rischia fortemente di essere l’occasione per nuove ferite.
Fraternità senza carità fraterna, né unità dottrinale, noi saremo ben presto solo un corpo senz’anima, una raccolta di sacerdoti uniti da una tavola comune, ma senza più cuore. Una tale unità non può durare a lungo, come ha già mostrato l’esempio dell’Istituto del Buon Pastore.

Eccellenza, di fronte a tanti mali, il suo episcopato le dà i mezzi per agire. La sentenza iniqua che colpisce Don Pinaud è solo una conseguenza di un male più profondo che finirà col rovinare la battaglia per la fede, se lei non vi porterà rimedio. Sacerdoti e fedeli hanno gli occhi puntati sulla Chiesa docente. Continueremo a lacerarci ancora a lungo?

Da lettera di protesta, questa si fa supplica per implorare Vostra Eccellenza di ricondurci alla pace, alla tranquillità dell’ordine. Non è con delle sanzioni che tornerà questa pace, ma ponendo riparo alle violazioni, sanando le piaghe che queste hanno causato e restaurando una linea dottrinale coerente e chiara, intorno alla quale si raccoglieranno i sacerdoti e i fedeli.
Qui non è solo della Fraternità che si tratta, ma della battaglia per la fede, della difesa della Tradizione, per la quale, colui a cui noi dobbiamo tutto il nostro sacerdozio, Mons. Lefebvre, ha dato più che la sua vita.

Eccellenza, voglia perdonare la forma un po’ vivace di questa lettera. Non è più l’ora delle espressioni ripulite e asettiche, quando si vedono dei confratelli trattati come oggi Don Pinaud, quando si vede la Fraternità così divisa, quando si vede la battaglia per la fede così indebolita.

La prego di gradire, Eccellenza…

È un po’ lunga, ne convengo, ma ha il merito di essere chiara, e io ammiro il coraggio di questo giovane confratello, che ringrazio.
Non credo di sbagliarmi, dicendo che questo confratello ha ricevuto solo una risposta, in ogni caso egli mi ha letta quella che ha ricevuto da Mons. Tissier. Io ho tenuto a mente che gli ha scritto che la mia sentenza «è nulla perché la cooperazione formale di cui lo si accusa è inesistente

Peraltro, io conoscevo già il suo parere sulla questione, perché Mons. Tissier aveva scritto la stessa cosa ad un Superiore di una Comunità, che me l’aveva fatta conoscere.
Mons. Tissier conclude rilevando la fermezza del tono di questa lettera, senza tuttavia avanzare dei rimproveri al suo autore, e poi aggiunge: «quanto a me, io non sono un candidato al suicidio!»

Ed ecco un altro giudizio, differente, di un confratello, anche lui giovane e anche lui non “candidato al suicidio”.
Interrogato da uno dei suoi fedeli che era rimasto colpito dall’enormità della sentenza, la risposta è stata la seguente: «Un tribunale della Santa Chiesa romana ha emesso un giudizio, io non ho niente da aggiungere»!

Io non sono certo che questa formula farà storia, ma forse essa non è altro che il segno di una prudenza umana, perché, lo sappiamo, i tempi sono pericolosi e non bisogna dire a gran voce ciò che si pensa, quando la repressione del pensiero arriva fino a punire la correzione di alcuni errori di ortografia! Cosa mai vista in tutta la storia della lingua francese!

Infine, Mons. Tissier ha scritto ad altri a proposito della mia questione, e ha scritto anche a me una lettera firmata del 31 dicembre, e di cui io ho preso conoscenza solo il 27 gennaio scorso, perché la vita di chierico vagante non facilita la ricezione della corrispondenza!
Io ve ne leggo qualche passo; e nel fare così non faccio che imitare Mons. Fellay, che nella sua revisione della critica del libro di Don Pervet, indirizzata ai confratelli il 16 gennaio scorso, cita un passo di una lettera di Mons. Tissier; tuttavia, lo imito con la differenza che citerò i paragrafi senza tagliarli…

Ecco cosa mi scrive Mons. Tissier:
«Secondo le carte che ho letto, mi sembra che:
«Da parte sua vi sia solo cooperazione materiale e non formale alla redazione della “lettera dei 37”, e nessuna provata cooperazione alla sua diffusione.
«Che la pena che le è stata inflitta avrebbe dovuto essere limitata ad un tempo preciso o fino alla resipiscenza, cosa che nella sentenza non figura.
«Che la pena avrebbe dovuto tenere conto del tempo nel quale lei è stato guardato a vista senza apostolato e che le era già stato inflitto, e cioè il suo soggiorno a Jaidhof.
«Che il pubblico ministero, o il requisitore o il procuratore (che è lo stesso), della Casa Generalizia non poteva essere valutatore, e precisamente giudice aggiunto, secondo l’adagio “nessuno è giudice e parte in causa». Ora sembra che Don Quilton abbia ricoperto entrambi gli incarichi: ha redatto l’atto d’accusa ed è stato giudice aggiunto! Il can. 1613 sembra interdire un tale cumulo: “Judex cognoscendam ne suscipiat causam (…) in qua antea advocatum aut procuratorem egerit”. Se questo canone non prevede esattamente questo caso, si deve applicare l’analogia del diritto secondo il can. 20.
«In definitiva mi sembra che il cumulo in questione renda nulla la sentenza.
«Infine, sul fondo della sentenza: essa la spinge praticamente a lasciare la Fraternità. Io la prego di non fare niente, e di appellarsi a questa sentenza.
«Inoltre, lei, in mancanza dell’avvocato che le è stato ricusato, avrebbe dovuto scegliere un altro avvocato - Don Ramon Anglès sarebbe stato eccellente -, o quanto meno farsi aiutare nella redazione della sua defensio da un consigliere canonico.
«Ancora, se le prime pagine della sua defensio sono eccellenti, il seguito è superfluo: lei vi fa il processo a SER Mons. Fellay, esulando dalla sua qualità di convenuto e accusato ed aggravando il suo caso con degli attacchi che avrebbe dovuto assolutamente tacere in Tribunali.
Ecco il mio parere, …»

Si tratta solo di un parere, ma non manca d’interesse.
Il consiglio di scegliere come avvocato Don Anglès, era evidentemente tardivo al 31 dicembre 2013, ma si dà il caso che io abbia preso contatto, in tempo utile, con Don Anglès, il 7 luglio 2013…
Don Anglès era uno dei tre avvocati proposti dai miei giudici dopo che avevano ricusato Don Pirvet senza aperto motivo…
Questa proposta, venendo dai miei giudici, non era tale da ispirarmi fiducia – voi mi capite – ma su consiglio di un confratello dei più anziani, che mi assicurava della competenza giuridica di Don Anglès e soprattutto che egli non si sarebbe lasciato influenzare da nessuno e non sarebbe stato intimorito da Menzinen, una Domenica pomeriggio decisi di chiamare questo confratello molto focoso.
Don Anglès è rimasto stupito nell’apprendere che il Tribunale lo avesse designato come possibile avvocato, con Don Puga e Don Laroche:
«Chi è quell’imbecille che ha messo il mio nome su quella lista. Io non posso essere il tuo avvocato perché sono il consigliere giuridico di Mons. Fellay. E devo dirti che se fai parte della resistenza, questa non è cosa che mi aggrada, perché bisogna veramente che si faccia un accordo, è necessario, se no si va a finire scismatici. Si guardi a Mons. Fellay, egli ha più potere del Papa. Questo non è più sostenibile. Io ho dato le dimissioni dal mio incarico di Superiore maggiore perché non voglio più avallare tutto questo. Sfortunatamente, l’accordo non si potrà più fare con Mons. Fellay, egli è completamente screditato. Non può pronunciare due parole senza seminare il dubbio su tutta la terra

Egli mi pose delle domande per comprendere la mia situazione, mi chiese se avevo avuto egli incontri con i superiori, in particolare con Mons. Fellay. E io gli dissi che non avevo avuto il minimo contatto col minimo superiore… Mi chiese di leggergli questo famoso decreto penale che mi aveva colpito il 7 marzo e che l’interessava molto.
Dopo la lettura delle prime parole: «Si invoca il nome di Dio!» ho sentito una fragorosa risata. «Siamo alla commedia – mi dice – una grande commedia orchestrata per impressionarti. Questo decreto penale è ridicolo e per di più è nullo… devi sapere che questa procedura amministrativa del codice del 1983, è un mezzo facile che è dato al Superiore Generale per punirti, senza bisogno che lo faccia lui stesso».

La nostra conversazione è durata due ore, ed io ero veramente dispiaciuto che Don Anglès non potesse essere il mio avvocato… prima di riattaccare, anche lui mi ha consigliato di fare molta attenzione: decisamente «essi sono capaci di tutto, fai delle copie dei tuoi documenti e mettile sotto chiave.».
Questo non era molto rassicurante, ma io avevo già una certa esperienza in materia… non è certo gradevole constatare – ed è solo un esempio – che venga utilizzato il vostro nome per ingannare i vostri amici… l’usurpazione di identità è una menzogna, è del tutto evidente, ma il mio accusatore, professore di morale al seminario di Ecône, la chiama «restrizione mentale».
Io non vi consiglio di sceglierlo per confessore, né lui né altri.

Don Gleize si lamenta che «si distrugge la fiducia verso Ecône e il corpo dei professori: in particolare verso Don Quilton che ha pronunciato la requisitoria…»
Che ne posso! … contra factum… leggete l’atto d’accusa e rimarrete meravigliati per il talento del suo redattore. Essendo un atto d’accusa, egli ha creduto di poter scrivere qualunque cosa! Un vero talento da romanziere!

Io non ho potuto sapere quali siano stati i criterii con i quali i miei giudici hanno rifiutato immotivatamente che fossi assistito da Don Pirvet.
Non conoscendolo, io l’avevo scelto come avvocato su consiglio di un buon confratello nella promozione all’ordinazione, il quale mi aveva assicurato della sua forza illuminata. Non lo rimpiango.
Se voi leggete gli atti del processo, comprenderete che Don Pirvet non è stato ricusato per la sua mancanza di competenza… ma forse perché era fin troppo competente!
Voglio approfittare di questa conferenza per esprimergli pubblicamente, questa sera, la mia profonda gratitudine per la sua assistenza giuridica impeccabile nel corso di questa mia lunga avventura giudiziaria. Io confesso che ho appreso di più in diritto canonico nel corso di questi mesi, che durante tutti i miei studii in seminario.
È sempre così: niente vale più della pratica!

Dei tre nomi propostimi in sostituzione della mia scelta personale di Don Pirvet, ne restavano quindi solo due – Don Puga e Don Laroche – visto che Don Anglès non poteva essere il mio avvocato.
Presi contatto con Don Puga, avvocato gradito alla corte marziale; ma dopo un’esitazione, egli declinò l’incarico: «io non voglio avallare “il delitto di antipatia”, che è il solo motivo che impedisce a Don Pirvet di essere il tuo avvocato. Del resto egli è nettamente più competente di me, è un puro arbitrio e questo non è accettabile
Questo rifiuto mi è sembrato legittimo ed anche onorevole, ma me ne sono dispiaciuto, tanto più che avevo enormemente apprezzato la finezza della sua perorazione in difesa di Don Salenave.
Potete leggerla anche voi, si trova nel capitolo dedicato al processo Salenave.

Restava Don Laroche, che fu mio professore di diritto canonico. Io vi confesso che non ho osato chiamarlo, temendo che si ricordasse ancora molto bene del suo vecchio allievo e che il suo allievo si ricordasse anche che in tre anni di corso, questo professore non aveva saputo dire quale codice avremmo dovuto seguire: quello del 1917 o del 1983.
Quindi, mi sono difeso da solo, in effetti non del tutto solo, perché come vi ho appena detto Don Pirvet ha sempre risposto prontamente a tutte le domande che gli ho rivolto, mentre numerosi altri confratelli, giovani e meno giovani, non hanno esitato a leggere e a rileggere i miei interventi e a fornirmi le loro osservazioni, i loro appunti, avvertimenti e consigli, talvolta molto preziosi; ma io devo anche ringraziare alcuni laici per i loro consigli molto preziosi tanto sulla forma quanto sui contenuti.

Tutto questo va bene, mi si dirà, ma l’interrogativo resta: cosa ha mai potuto fare Don Pinaud per essere punito così severamente?
Si potrebbe anche porre la domanda in forma affermativa: «Ciò che ha fatto dev’essere molto grave, vista la severità della sua sanzione».

Certo, è vero.
Ed è su questo punto che il processo presenta tutto il suo interesse.
E questa è una delle ragioni che mi ha spinto a non sfuggirlo.
Immaginate se io fossi stato condannato senza processo, come la maggior parte dei miei confratelli, allora voi potreste veramente dire: «Quello che ha fatto dev’essere molto grave, perché il suo superiore lo punisca in tal modo… freniamo l’immaginazione… ciò che è potuto accadere a Couloutre… è facile da immaginare
Ma ciò che è interessante in un processo è che le accuse diventano pubbliche – il 7 marzo 2013 Don Thouvenot ha diffuso urbi et orbi una circolare gravemente calunniosa – e chiunque può leggerla… ed è la ragione della pubblicazione degli atti dei processi nella loro integralità.

Non è possibile dire – come ha fatto Mons. Fellay ultimamente con l’autore di un articolo che riassumeva tutta questa storia: «Lei non sa tutto, questo processo è solo la punta dell’iceberg».
No, Mons. Fellay, quando si è onesti non è possibile dire cose così. Visto che si tratta di un processo, la sentenza deve necessariamente corrispondere all’atto d’accusa e l’imputato deve aver avuto necessariamente la possibilità di difendersi prima di conoscere la sua sentenza, se no il processo diventa solo un’iniziativa disonesta.

Cos’ho dunque fatto?
Io lo confesso senza rimpianti e voi potete verificarlo sul libro: io ho corretto alcuni errori di ortografia, inammissibili in un documento che mi è stato trasmesso in privato, per conoscenza riservata.
Questo documento diventerà e resterà celebre, vale la pena leggerlo – si trova anch’esso negli atti, dove figura come prova a carico – esso è noto come “lettera dei 37”.
La circolare del 7 marzo di Don Thouvenout afferma che questa lettera aperta a Mons. Fellay contiene delle calunnie, delle maldicenze e dei miscugli.
Nel suo comunicato a proposito di questo documento, Don de Cacqueray ha impiegato le seguenti espressioni: «affabulazione», «comportamento che si fonda su niente di oggettivo», «sfiducia irragionevole».
È facile parlare di “affabulazione”, “comportamento che si fonda su niente di oggettivo”, “sfiducia irragionevole”, miscugli, maldicenze, calunnie, e via così, ma tutte queste qualificazioni, di per sé, non confutano alcunché dei fatti menzionati.
Peraltro, io credo volentieri ai tre confratelli che mi hanno riferito che Don de Cacqueray si sarebbe dispiaciuto per queste qualificazioni menzognere che lui avrebbe impiegato per fare, ancora una volta, un compromesso con la Casa Generalizia.

Quando, per esempio, in questa lettera aperta a Mons. Fellay si legge:
«da più di tredici anni, Lei ha autorizzato un confratello a non citare più il nome del papa nel canone, dopo avergli confidato che comprendeva la sua scelta di fronte alla scandalosa firma di un documento comune tra Cattolici e Protestanti»;
non v’è calunnia, né maldicenza, né miscuglio; non si tratta di un’affabulazione. Io conosco questo sacerdote che è attualmente un tranquillo membro della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Dopo di che, le accuse di sedevacantismo, che si vogliono squalificanti, mi sembra che vengano dal pulpito sbagliato.

Quanto poi alla lettera stessa, io non ho per niente suggerito il progetto. E contrariamente a quanto afferma il decreto penale firmato da Mons. Fellay, io non l’ho redatta, né l’ho diffusa e posso aggiungere che non l’avrei né redatta né diffusa, se non ci fosse stato chi ha preso l’iniziativa. Ma riconosco che ho corretto alcuni inammissibili errori di ortografia… cosa che è venuta a conoscenza dei miei accusatori attraverso la violazione della mia corrispondenza privata con Don Rioult.
La mia sospensione a divinis, dunque, sanziona la correzione materiale di alcuni errori di ortografia.
Quando penso che a scuola ho sempre perso dei punti per aver dimenticato degli errori, e oggi invece sono punito per averli corretti… non si può certo dire che non sia cambiato niente… al contrario, bisogna constatare che tutto cambia!
Ecco la ragione del mio esilio a Jaidhof, dei miei otto mesi di detenzione e di questo giudizio… l’unica cosa che mi si poteva rimproverare era la correzione di alcuni errori di ortografia… e sulla base della violazione di una lettera privata…

È interessante rileggere come il Segretario Generale, nella sua circolare, ha annunciato la cosa a tutte le case nel mondo e alle comunità amiche:
«In stretta collaborazione con Mons. Williamson, Don Olivier Rioult è il capo di quest’opera di insubordinazione, di concerto con Don Nicolas Pinaud e Don Matthieu Salenave. Essi godono del sostegno di altri sacerdoti, molti dei quali sono stati recentemente esclusi dalla Fraternità per condotte sovversive, e godono anche dell’aiuto di laici molto esperti nell’uso di internet e nella strumentalizzazione a fini sediziosi dei forum di discussione. Questi sacerdoti non si fermano davanti a niente e si dicono pronti ad andare fino in fondo.
«Al fine di smascherare completamente questi agitatori che perdono di vista gli obblighi della loro vocazione sacerdotale, oggi è stato loro significato che sono stati rimossi da ogni ministero e che devono recarsi in priorati distinti. Contro di loro verrà istruito un processo ecclesiastico, tranne che non vogliano rinchiudersi nella loro disobbedienza, nel qual caso saranno esclusi dalla società».

Io mi ricordo bene che al momento della mia comparizione, uno dei miei giudici sfuggiva visibilmente il mio sguardo. Io non so se un giorno incrocerò di nuovo quello di Don Thouvenot.

Sfortunatamente, le misure cautelari che Mons. Fellay ha preso nei miei confronti: otto mesi d’isolamento e di solitudine, non sembra che abbiamo ottenuto gli effetti desiderati, e cioè che io smettessi di pensare che Mons. Fellay ha commesso, non delle inesattezze (come ha riconosciuto lui stesso in Cor Unum dell’estate 2012), né delle ambiguità (come afferma Don de Cacqueray dopo aver messo in questi ultimi tempi molta acqua nel suo vino), ma dei gravi errori che non sempre sono stati riparati e che si trovano espressi essenzialmente in quella funesta dichiarazione del 15 aprile 2012.
Io dico questo «senza abbandonarmi alle passioni, alle emozioni, ma ricercando in quanto cattolico e in quanto uomo la più grande obbiettività con calma e sangue freddo», per usare le parole impiegate dal Superiore del Distretto di Francia il 26 gennaio scorso.

La mia difesa mi ha dato l’opportunità di esprimere questo molto chiaramente, io credo, ma disgraziatamente anche di aggravare la mia posizione, al punto tale che sono diventato meritevole di morte.

Ecco il vero motivo della mia punizione:
n° 6 – …inoltre, Don Pinaud non ha mostrato alcun dispiacere in questa questione; di più, egli non ha smesso di formulare delle critiche nei confronti dei suoi Superiori; nella sua difesa è arrivato perfino a dire: «in ragione delle numerose concessioni che essa fa al Concilio e alle riforme conciliari inaccettabili, la Dichiarazione dottrinale del 15 aprile 2012, costituisce da sola un pericolo per la fede, e legittima la rivolta, poiché questa Dichiarazione dottrinale non è un testo minimalista, come scrive Mons. Fellay nell’editoriale di Cor Unum n° 102».

Ecco il peccato mortale – che non è quello della correzione degli errori di ortografia nella lettera dei 37 – tra l’altro Don Wuilloud non ha dato molta importanza all’ortografia nella redazione delle sue lettere – ma è invece quello di rigettare il riconoscimento di legittimità della promulgazione della nuova Messa, e questo costa molto caro.
Io non lo rimpiango, perché il mio processo mi ha dato l’opportunità di porre pubblicamente le domande necessarie:

- Monsignore, mantiene la sua accettazione della nuova formula della Professione di fede e del Giuramento di fedeltà, atti ad assumere un incarico esercitato in nome della Chiesa (Dichiarazione Dottrinale – DD – nota 1)?
- Monsignore, mantiene la sua dichiarazione che la nuova Messa e i nuovi sacramenti sono stati legittimamente promulgati dai papi Paolo VI e Giovanni Paolo II (DD III, § 7)?
- Monsignore, mantiene la sua dichiarazione che Mons. Lefebvre avrebbe accettato nel 1988 “la legittimità o legalità della promulgazione del NOM” (sua presentazione della DD pubblicata in Cor Unum 104)?
- Monsignore, mantiene la sua accettazione del nuovo Codice del 1983 (DD III, §8)?

Ad oggi, mi è pervenuta una sola risposta: la mia sospensione a divinis!

Mons. Tissier mi ha scritto:
«Ancora, se le prime pagine della sua defensio sono eccellenti, il seguito è superfluo: lei vi fa il processo a Mons. Fellay, esulando dalla sua qualità di convenuto e accusato ed aggravando il suo caso con degli attacchi che avrebbe dovuto assolutamente tacere in Tribunali».

Ebbene, no!, Eccellenza Reverendissima Mons. Tissier, io non ho passato otto mesi a Jaidhof e non mi sono presentato volontariamente davanti ai miei giudici a Schlieren il 19 ottobre 2013 alle 13,30, per parlare di ortografia, ma per parlare seriamente delle cose gravi che apportano un danno mortale alla Fraternità Sacerdotale San Pio X. Mi costasse pure la vita. È una questione d’onore.
Fare in questo modo o cercare un accomodamento come mi induceva a fare Don Petrucci, che auspicava che questa commedia finisse al più presto, sarebbe stato un compromesso troppo carico di conseguenze per me.
Di codardia in codardia si può diventare un bandito.
Io ho preferito la sanzione e rendo grazie a Dio, poiché considero questa sospensione a divinis come un onore. Che Dio mi conceda un po’ più di fedeltà al suo servizio, perché non si tratta di essere fedeli solo oggi, ma fino alla fine. E solamente questi raggiungeranno la loro salvezza.

Come divisa episcopale, mons. Williamson ha scelto «Fideles inveniamur»: in effetti si tratta di tutto un programma: essere trovati fedeli!

Io ho detto abbastanza su questo processo politico, ma voi potrete sapere tutto leggendo il libro che pubblica integralmente i processi di Don Salenave e Don Pinaud.


«Vi è un tempo per tacere e un tempo per parlare; un tempo per la guerra e un tempo per la pace»
(Ecclesiaste 3, 1-8)

Atti dei processi di Don Salenave e Don Pinaud.
Presentazione, Testi dei processi, Commento giuridico di Don Pivert.

Ordinare a:
Mme Hélène Séghiri,
L’Etoile des Vents, Parçay,
86700 Romagne
Francia.

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Ora, rapidamente, alcune parole sui seguenti avvenimenti.

Lo scorso 8 novembre, Don Nély diceva ai Priori di Francia che bisognava «restaurare l’unità».
Questo stesso 8 novembre, mentre Don Nély diceva questo, il Superore del Distretto dell’Austria – dopo averla dimenticata inavvertitamente per una settimana in un cassetto – mi consegnava la mia sentenza che diceva che ero sospeso a divinis.
Questa sentenza, aiuta a restaurare l’unità? È lecito dubitarne, ma questa condanna riguarda dopo tutto un individuo.
Un uomo che muoia non mette in pericolo la società.

Ma gli avvenimenti non si fermano qui. Bisogna constatare che le azioni per «restaurare l’unità» si moltiplicano a Menzingen.

Un mese dopo la mia sentenza, il 12 dicembre, è un altro confratello a ricevere un nuovo attacco: Don Pirvet riceve un’interdizione per la diffusione del suo libro: “Mgr Lefebvre, Nos rapports avec Rome.
Fin dalla sua pubblicazione nel luglio 2013, ne sono state vendute 3000 copie, è questo grande successo manifesta che questo lavoro era atteso e rispondeva ad un bisogno reale.
3000 copie di un libro di 380 pagine, senza illustrazioni, in un’epoca in cui la lettura non è un’attività ambita, e per di più su un soggetto che non è particolarmente attraente… sono un risultato molto significativo.
Perché allora, Mons. Fellay è intervenuto, adesso, sei mesi dopo la pubblicazione, e cioè quando ormai la diffusione era quasi completata, per decretarne l’interdizione e condannarne il contenuto che, sembra, «falserebbe la posizione di Mons. Lefebvre»?

Quale posizione? Quella nei confronti di un accordo con Roma.

Don Pirvet, dunque, avrebbe interpretato falsamente la posizione di Mons. Lefebvre, secondo il giudizio che il Superiore Generale avrebbe espresso sei mesi dopo la pubblicazione del libro e dopo aver fallito lui stesso nel tentativo di un accordo pratico con Roma senza preventivo accordo dottrinale.
Io parlo volontariamente al condizionale, poiché la motivazione di Mons. Fellay non si fonda su un lavoro personale – che se esiste non è stato trasmesso all’autore – ma su una critica anonima che è quella trasmessa all’autore come giustificazione della sanzione decisa.
A questo proposito, è interessante richiamare oggi quello che scrisse Don de Cacqueray nel suo famoso commento ufficiale sulla Dichiarazione del 27 giugno a proposito del libro di Don Pirvet:
«Segnalo che del libro composto da Don Pirvet, la Casa Generalizia non ha interdetto la diffusione. Si tratta di voci sprovvisti di fondamento, messe in giro dal «Courrier de Tychique» del Signor Max Barret, che ha affermato che io avrei lasciato che si vendesse contro l’autorizzazione dei nostri Superiori. La realtà è che i nostri Superiori non mi hanno chiesto di ritirare questo libro dalla diffusione. Io ho chiesto al Signor Barret di rettificare questa inesattezza.»

Non vi viene da ridere?
Che chiederà mai, oggi, Don de Cacqueray, al Sig. Barret?

Oggi Don de Cacqueray spiega che questa storia doveva rimanere interna alla Fraternità e doveva anche rimanere discreta, visto che ha rimproverato a Don Pirvet di aver inviato a tutti i confratelli – per conoscenza – la lettera di Mons. Fellay e il documento anonimo allegato.
Don de Cacqueray ha spiegato che egli intende regolare questa storia «nell’obbedienza e la cortesia», e io non dubito neanche del buon umore…
Si rende conto, Don de Cacqueary, che si compromette ogni giorno di più?

E poi, questa discrezione mi stupisce, poiché sembra dimenticare la riparazione dovuta ai 3000 acquirenti. Se realmente Don Pirvet ha falsato la posizione di Mons. Lefebvre in questo libro di successo, la verità dev’essere ristabilita pubblicamente… almeno nei confronti dei 3000 lettori che sarebbero stati ingannati, cosa che mi sembra grave.
E invece, tanto peggio per i lettori ingannati da un libro che interpreta falsamente la posizione di Mons. Lefebvre, quello che conta non è la riparazione, ma la condanna interna…

Perché?
Padre Jean ce ne ha dato la spiegazione, molto semplicemente, nel suo sermone del 26 gennaio scorso, quando afferma:
«La condanna del libro di Don Pirvet viene da questo; dal fatto che egli difende questo principio, non bisogna cercare altrove. Perché il libro di Don Pirvet oggi è proibito venderlo nei priorati? Noi a Morgon lo continuiamo a vendere. Ebbene, è perché egli difende il principio che si è mantenuto per 25 anni e che adesso è stato abbandonato. È per questo. Quindi, voi capite bene che se comprendete questo, capirete molte delle cose pratiche, concrete

E qual è questo vecchio principio?
Eccolo: Nessun accordo pratico senza preventivo accordo dottrinale. Il solo principio vigente ufficialmente fino al 2010.

Il mio soggiorno a Jaidhof mi ha permesso di rileggere tutti gli editoriali di Cor Unum a partire dal 1994, cioè da quando Mons. Fellay è Superiore Generale.
E vi posso dimostrare che questo principio, come fu quello di Mons. Lefebvre, così lo fu di Mons. Fellay, cosa che induce a ritenere che Don Pirvet non abbia «falsamente interpretato la posizione di Mons. Lefebvre».
Vi leggo alcuni passi, tratti tutti dagli editoriali di Cor Unum, il bollettino interno della Fraternità, e quindi scritti da Mons. Fellay.
Sarà un po’ lunga, ma credo davvero che lo sforzo valga la pena.

Cor Unum - marzo 1995
«Bisogna aspettarsi che Roma provi a farci entrare nell’amalgama universalista, dove si finirà con l’offrirci un posto “tra gli altri”… Si può pensare che la tentazione di rientrare nell’“ufficialità” possa essere grande, in rapporto alle offerte che la Roma ecumenista potrà farci; rifiutando allora di entrare in questo giro di confusione, noi passeremmo per cattivi furfanti

Cor Unum - ottobre 1996
«Che si fugga come la peste il desiderio della prelatura, soffio del mondo che scaturisce dall’orgoglio e dalla mancanza di spirito di fede.»

Cor Unum - marzo 1997
«La tentazione dell’ufficialità, cioè di essere approvati dalla Chiesa ufficiale, è viva in certi ambienti vicini a noi. Se intendiamo essere riconosciuti un giorno, non siamo disposti a dei mercanteggiamenti per arrivarci. I beni che custodiamo sono troppo preziosi per rischiare un tale tentativo

Cor Unum - giugno 1999
«In un tale tentativo si cercano necessariamente i più piccoli denominatori comuni, si sottolineano i punti su cui siamo d’accordo o, al contrario, si eludono i punti che potrebbero ostacolare… Questo introduce la confusione e il malessere nei fedeli, che non capiscono più bene cosa succeda. Mentre invece la confusione diffusa esige l’esposizione della dottrina e un’attitudine pratica la più chiara possibile. Niente Tradi-ecumenismo da noi.»
«Attenzione alla falsa carità, che peraltro noi condanniamo nell’attitudine ecumenica.»
«Quale onore poter servire la Chiesa così, nell’incomprensione generale; quale gioia immensa poter soffrire qualcosa e in questa maniera, nascosta, per il nome di Gesù.»

Cor Unum – marzo 2000
«È necessario distinguere, come ha fatto Mons. Lefebvre nella dichiarazione del 21 novembre 1974, tra la Roma eterna e la Roma modernista.»
«Bisogna evitare ogni attitudine al compromesso, che potrebbe, anche solo un po’, diminuire la forza e l’esigenza della fede e della disciplina cattolica.»
«La Fraternità San Pietro è in procinto di fornire un penoso esempio di questo compromesso, tipicamente liberale. Passo dopo passo, l’Ecclesia Dei la fa cedere e la spinge in avanti nella “realtà della Chiesa” conciliare
«La maniera con cui Roma la tratta, dimostra che non abbiamo a che fare con degli amici della Tradizione a Roma. Su quest’ultima essi hanno tirato una linea che sperano sia definitiva, e noi siamo gli unici intrusi

Cor Unum – febbraio 2001
«Il Vaticano si è avvicinato a noi alla fine dell’anno scorso, nella persona del cardinale Castrillon Hojos, e ci ha fatto delle proposte d’accordo.»
«Ma se l’intenzione dei nostri interlocutori romani giuoca un ruolo molto importante nell’esame della situazione, di contro la questione della buona fede o della buona volontà non giuoca praticamente alcun ruolo. E per risolvere la questione dell’opportunità dei colloqui romani, l’esame dell’intenzione dei nostri interlocutori non basta più; occorre piazzarci su un dominio più oggettivo, quello dei fatti.»
«È chiaro che l’approccio di Roma appare come una trappola.»

Cor Unum – giugno 2001
«La situazione a Roma non è matura. Ciò che Roma ci propone non è quello che ci aspettiamo, il ritorno di Roma alla Tradizione. Il divario dottrinale è immenso, le prospettive sulla Chiesa sono diverse, la fiducia è impossibile. Per mantenere nella Chiesa la pressione e l’attenzione sulla causa della Tradizione, ci resta da provare di condurre Roma verso la discussione dottrinale
«Dei sacerdoti della San Pietro ci hanno messo a parte delle loro preoccupazioni nei nostri confronti: che noi non ci si faccia prendere come loro! Sfiducia legittima.»

Cor Unum – ottobre 2001
«In questa atmosfera di guerra e di rumori di guerra, dobbiamo parlare di un pericolo che si profila all’orizzonte. E questo ci procura tanto più dolore e preoccupazione, in quanto si tratta di un amico di lunga data: Campos. I sacerdoti dell’Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Vianney hanno deciso di impegnarsi in un accordo separato con Roma. Sono disposti a mollare la presa, ad abbandonare la battaglia? È ancora troppo presto per dirlo, loro affermano il contrario. Ecco in breve lo svolgimento dei fatti e ciò che ci fa temere per loro:…»
«Io ho chiesto a Mons. de Galarreta di recarsi immediatamente da Mons. Rangel per cercare di arrestare il processo così problematico, nascosto, fatto alle nostre spalle. Mons. de Galarreta avrà due incontri col Consiglio dell’Unione Sacerdotale; essi fanno blocco, hanno tutte le risposte, non discutono nemmeno, si giustificano
«Mons. Rangel dirà: “è la vostra opinione, noi ne abbiamo un’altra. È una questione di prudenza, noi abbiamo un altro punto di vista.»
«Essi insistono nel dire che intendono continuare la stessa battaglia, che rimangono nostri amici
«Tra gli argomenti avanzati per giustificare il cammino separato, si trova di tutto, delle argomentazioni alle quali questi sacerdoti, peraltro notevoli, non ci avevano abituati: “bisogna ricevere con spirito benevolo ciò che viene da Roma, cioè con la volontà di vedervi il bene”. … “Non bisogna rifiutarsi di essere sedevacantisti solo sulla carta; non bisogna obbedire solo di diritto, ma di fatto” … “rifiutare l’offerta romana sarebbe scismatico”
«Tutti gli argomenti basati sui fatti, sulle dichiarazioni e le azioni di Roma circa la Fraternità San Pietro, per esempio, si infrangono contro un “noi siamo diversi dalla San Pietro”».
«Ciò che propone Roma, per quello che possiamo saperne, è una prelatura personale, un vescovo supplementare. L’esclusività del rito tradizionale (1962), ma l’obbligo di ottenere il permesso del vescovo del luogo per celebrare la Messa extra muros proprios o per aprire un nuovo centro di apostolato».

Cor Unum – febbraio 2002
«Una prevaricazione come quella di Assisi, richiede questa pubblica confessione… che non abbiamo sentito da Campos
«La situazione rivestirebbe un interesse particolare per noi solo se improvvisamente si mettessero a resistere e giungessero ad un confronto con la Roma modernista
«Mons. Lefebvre diceva a suo tempo che la condizione essenziale per un accordo con Roma è che ci accetti così come siamo
«Noi potremmo aggiungere, come nella conclusione della sua lettera ai futuri vescovi: il ritorno di Roma alla Tradizione. Questa condizione, non più della prima, non è soddisfatta, al contrario

Cor Unum – febbraio 2003
«Cari confratelli, non lasciamoci ingannare dalla parte allettante della proposta: vi è un rovescio della medaglia

Cor Unum – giugno 2004
«Noi abbiamo una strana impressione. Quella di non trovarci sullo stesso pianeta dei nostri interlocutori romani. Solo questo. E in queste circostanze, evidentemente, fare un accordo sarebbe una catastrofe. Questo darebbe almeno l’apparenza che noi rinneghiamo i trent’anni di resistenza gloriosa che abbiamo percorsi. Non fosse che per gli spettatori di questa battaglia strana e formidabile, noi semplicemente non possiamo rientrare nell’“ordine”

Cor Unum – ottobre 2004
«Non v’è alcun dubbio che noi dobbiamo proseguire sulla linea che ci ha assegnata il nostro fondatore: molto fermi sulla dottrina della Chiesa, senza compromessi o tentativi di compiacere per ottenere dei vantaggi parziali e in definitiva strettamente pericolosi, ma al tempo stesso pieni di misericordia verso coloro che si riavvicineranno a noi

Cor Unum – ottobre 2005
«L’udienza è andata bene, nel senso che la benevolenza del Papa era notevole. Ma noi abbiamo potuto anche verificare che Benedetto XVI è anche lui un papa del concilio Vaticano II e che in ragione della sua visione delle cose gli sembra impossibile rinunciare o rigettare il Concilio. Al contrario, anche se disposto ad accordarci la Messa antica e una struttura proporzionata, nell’udienza tutto indicava che egli si aspettasse da noi l’accettazione ed anche l’impregnazione del Concilio nei nostri spiriti

Cor Unum – febbraio 2006
«Per noi è evidente che, senza dimenticare l’aspetto canonico, se il problema di fondo non viene affrontato e portato a soluzione fin dal principio, noi costruiremmo su una base fluttuante, foriera di tempeste tanto gravi quanto quelle che ci affliggono oggi.»
«Per di più, oggi la concreta situazione della Chiesa ufficiale è tale che di per sé rende impossibile una convivialità. Per sopravvivere noi dobbiamo conservare l’autonomia nella quale ci troviamo. È solo nel giorno in cui il principio fondamentale della Tradizione sarà nuovamente ancorato, che noi potremo andare avanti su questo terreno pratico.»

Cor Unum – giugno 2006
«Voler fare altrimenti, precipitare un accordo pratico senza il fondamento dottrinale sarebbe un suicidio.»

C’è bisogno di continuare?

Padre Jean diceva: «La condanna del libro di Don Pervet è dovuta al fatto che egli difende il vecchio principio»
Io ritengo che tutte le citazioni che ho appena fatte, tutte uscite dalla penna di Mons. Fellay, mettono in evidenza questo vecchio principio.
Dopo di che ci si vorrebbe far credere che il libro di Don Pivert falsi la posizione di Mons. Lefebvre.
Ma ci si faccia il piacere!

Dopo quello che abbiamo letto sulla Fraternità San Pietro, è interessante ritornare a questa critica anonima che Don Pivert ha ricevuto da Mons. Fellay.
Forse l’avete letta, perché è stata diffusa su internet. Da un lato, essa non ha ricevuto sostegno unanime sulla sua interpretazione del libro, dall’altro, certi paragrafi hanno provocato scandalo perché promuovono gli istituti Ecclesia Dei.
Quando ha incontrato faccia a faccia Mons. Fellay, Domenica pomeriggio 5 gennaio, Don Salenave si è lamentato di alcuni di questi passi che egli in coscienza non poteva accettare. Mons. Fellay gli ha risposto che non li ricordava più e che per rendersi conto della cosa avrebbe dovuto rivedere il testo.
Mons. Fellay ha letto anche il documento e il libro di Don Pivert? È lecito chiederselo?
Ma chi vuole prendere in giro?

Anche Don de Cacqueray ha reagito alla lettura di questa critica anonima; quale sia stata la sua reazione alle note che gli hanno inviato dei Frati, io non lo so, ma so che egli ha scritto sull’argomento al Superiore Generale e agli Assistenti. Don Pfluger gli ha risposto con una lettera, che un confratello che ne ha avuto conoscenza mi ha detto essere offensiva. Questa lettera incomincia con “Adesso basta!, formula che io stesso ho ripreso nella mia ultima lettera del 14 gennaio a Mons. Fellay, perché sì, veramente “Adesso basta!
Don Pfluger non esita a rimproverare a Don de Cacqueeray il suo atteggiamento nei confronti dei “rientrati”, mentre invece Mons. Fellay, nella sua revisione di questa critica anonima, ci vuol far credere di non aver cambiato giudizio nei confronti dell’Ecclesia Dei.

A chi e a cosa credere?

Mons. Fellay ci vuol far credere che, malgrado le parole impiegate nella critica del libro di Don Pivert, la posizione della Fraternità verso i gruppi Ecclesia Dei non sarebbe cambiata. Ma non ci dice niente delle dichiarazioni che il Primo Assistente ha fatto davanti ai Frati del Distretto di Francia, a Flavigny. Dichiarazioni che confermano il cambiamento di posizione della Fraternità verso i gruppi Ecclesia Dei.
Ma chi vuole prendere in giro?

Tutto questo è rivelatore di uno stato d’animo.
Peraltro, è proprio questo che ha spinto definitivamente i confratelli a reagire con il “Messaggio ai fedeli”.
Allarmato per le fughe, Don de Cacqueray si è speso senza risparmio per impedire l’iniziativa di questo “Messaggio ai fedeli”, sforzandosi di convincere i confratelli a non mettere la loro firma, e questo con un crescendo di promesse di un’azione forte che costringesse Menzingen a riparare alle sue nuove ingiustizie.

Quale azione forte c’è stata? Cos’è accaduto?
Il colpo della Dichiarazione del 27 giugno!

Mi spiego: a metà giugno del 2013, Don de Cacqueray ha scritto a Mons. Fellay esigendo la ritrattazione solenne della Dichiarazione in occasione dei 25 anni dell’episcopato, perché secondo lui quella dichiarazione è “scandalosa”, e se non ci fosse stata tale ritrattazione solenne, egli non escludeva di presentare le dimissioni o di attuare un’altra azione di pari importanza.
È accaduto che invece di una ritrattazione, noi siamo stati gratificati con una nuova dichiarazione insoddisfacente, che Don de Cacqueray si è affrettato a commentare a lungo per rassicurare il suo piccolo mondo:_
«Combattiamo senza zelo amaro, senza sosta e senza amarezza. Se accade di pensare che i nostri Superiori non si impegnino nella battaglia come dovrebbero, non si esiti a dirlo a loro, ma non si mormori tra di noi

È così difficile rendersi conto che i Superiori continuano a fornirci delle spiegazioni contraddittorie? Accontentarsene, non significa rifiutarsi di guardare in faccia la realtà?
Rifiutarsi di guardare in faccia la realtà è una cosa, ma mutilare la verità è un’altra.

Come ha potuto affermare, Don de Cacqueray, il 26 gennaio scorso, che la Dichiarazione dottrinale del 15 aprile 2012 avrebbe provocato dei problemi in certuni perché conteneva delle spiegazioni ambigue, ma che Mons. Fellay l’avrebbe riconosciuto e l’avrebbe ritirata?
Come l’ha potuto affermare, dopo avermi detto l’11 giugno del 2013, che questa Dichiarazione «pretesa ritirata», dopo la sua pubblicazione su Cor unum era diventata una «Dichiarazione amplificata»! Visto che essa ha dovuto essere ritirata non a causa del suo contenuto, ma solo a causa di coloro che non l’avevano capita?
Come ha potuto dire che «questa rottura, questa ferita, alla fine è solo il risultato di un gigantesco equivoco»?
Perché un equivoco?
Perché Mons. Fellay, nel corso di una recente telefonata, gli avrebbe detto che «dipendere da una Roma conciliare sarebbe un suicidio», che è poi la stessa cosa che pensano i sacerdoti firmatarii.
C’è stato bisogno di aspettare gennaio 2014, per scoprire un gigantesco equivoco!

Anche la risposta di Mons. Fellay a DICI, dei primi di giugno, è un equivoco?
Eccola:
Domanda: … è disposto ad accettare che le opere future siano possibili solo con il permesso del Vescovo nelle diocesi in cui la Fraternità non è attualmente presente?

Mons. Fellay: Resta vero – secondo il diritto della Chiesa – che per aprire una nuova cappella o fondare un’opera, sarà necessario avere il permesso dell’ordinario del luogo. Evidentemente, noi abbiamo rappresentato a Roma quanto sia difficile la nostra attuale situazione nelle diocesi, e Roma ci sta ancora lavorando. Qui o là, questa difficoltà sarà reale, ma quando mai la vita è senza difficoltà?

A quale Mons. Fellay credere: a quello della telefonata di gennaio 2014 o a quello dell’intervista del giugno 2012? E potrei continuare con questi esempii di contraddizione fino all’alba di domani mattina.
Chi pensa di ingannare, Don de Cacqueray, quando ci vorrebbe far credere che si tratti di un «gigantesco equivoco»?
Ma dal momento che ritiene trattarsi di un «gigantesco equivoco», Don de Cacqueray pensa «che Mons. Fellay farà quanto gli è possibile perché la cosa non finisca lì

Si sa bene come “oggi non si fa credito, domani sì!”

Ve lo dicevo all’inizio, mi dà l’impressione di un topo catturato da un gatto che si diverte.

L’ultima osservazione di un lucido fedele al momento di questa conferenza di gennaio, è stata la seguente:
«Bisognerebbe che gli atti di Mons. Fellay fossero concordanti con i suoi discorsi e corrispondenti all’insieme dei capi della Fraternità».
L’imbarazzo del Superiore del Distretto è palpabile, ma ciò che è incomprensibile è che dopo aver detto ai fedeli “non siate stupidi», egli aggiunga: «se veramente la Fraternità dovesse cedere e piegarsi, questo sarebbe chiaro a tutti, ma nessuno lo dice».

Nessuno lo dice?
Già la lettera dei tre vescovi dell’aprile 2012 affermava: «Non si notano già in seno alla Fraternità dei sintomi di questo ammorbidimento nella confessione della Fede?»
E dopo questa lettera, quasi tutti i mesi, dei confratelli esasperati si sono alzati per dirlo, come anche dei religiosi delle comunità. Non li avrà sentiti?
Don Altamira il mese scorso ha gridato: «Si deve saper dire basta, penso che molti di noi sacerdoti dobbiamo dire basta, e penso che la nostra pazienza sia stata eccessiva».

Quanto alla precipitazione che ci è stata rimproverata, io sono nella condizione di poterlo capire, dopo aver atteso per otto mesi, senza alcuna valida ragione, un processo che disonora la Fraternità!

Termino questo fin troppo lungo discorso con un passo del sermone di Padre Jean, che riassume bene la situazione:

«…dove sta il problema, da dove nasce la divisione. Essa è negli animi. Essa non è una faccenda dei preti o delle comunità che non sono più con noi, che sono fuori, ecc. La divisione è negli animi all’interno del nostro mondo della Tradizione. Ecco, nei priorati, nei conventi. Sì, essa è negli animi; che vale a dire che ci sono di quelli che professano il principio che si è mantenuto per anni e anni, che ci ha consegnato Mons. Lefebvre; e poi ci sono di quelli che non ammettono più questo principio, che dicono che questo principio non vale più, non è più buono. Ecco dov’è il problema.
E allora, qual è questo principio? Io penso che la gran parte di voi l’abbia capito: è il principio che non si può firmare un accordo pratico o canonico con le autorità romane, se non si è d’accordo innanzi tutto sulla dottrina, se non professiamo le stesse verità.»

Vi ringrazio per la vostra perseverante attenzione



marzo  2014

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