Di fronte alle proposte romane

Possiamo accettare oggi un riconoscimento canonico
da parte della Roma neomodernista?

Studio dottrinale

Prima parte


Pubblichiamo lo studio dottrinale approntato dai Cappuccini di Morgon, Francia, sulla controversa questione del riconoscimento canonico della Fraternità San Pio X da parte di Roma.
Il documento è molto articolato e presenta una disamina delle questioni che da qualche anno sono sul tappeto, che hanno prodotto una vera spaccatura all'interno della Fraternità, fino a comportare la fuoruscita o l'allontanamento di diversi sacerdoti. In questo contesto, i Cappuccini di Morgon non condividono il possibile riconoscimento canonico, perseguito da alcuni anni dalla dirigenza della Fraternità, e in questo documento cercano mi mettere in chiaro la loro posizione.

Presentiamo il documento in una nostra traduzione, suddivisa per comodità in più parti, mentre rimandiamo al testo originale diffuso anche in formato pdf.


Tutto lo studio in formato pdf



Prefazione

Nella tormenta e nella confusione attuali noi dobbiamo rimanere fedeli agli autentici principii cattolici e restare radicati in essi. E affinché questi siano realmente la luce che illumina e guida i nostri passi, noi dobbiamo trarre da essi le conseguenze pratiche ed applicarle rigorosamente nella nostra vita di tutti i giorni e nei nostri comportamenti quotidiani.

La coerenza e la non-contraddizione sono la conseguenza logica dell’adesione piena ed intera alla verità.

Come diceva il cardinale Pie, la carità, che è il vincolo della perfezione, dev’essere dettata e regolata dalla verità, ed è in questo spirito di carità che abbiamo voluto scrivere queste pagine.

Soprattutto, questo lavoro è stato realizzato sotto lo sguardo di Dio, perché è a Lui che dovremo rendere conto di tutta la nostra condotta; ma l’abbiamo redatto anche per far conoscere lealmente il fondo del nostro pensiero sulla questione delle proposte romane.

Infatti, nel condividere da molti anni la stessa battaglia con le altre comunità della Tradizione, noi abbiamo avuto a cuore di far conoscere a coloro che ci sono più vicini il modo in cui noi percepiamo la situazione attuale.

In ogni caso, noi speriamo che questo lavoro venga recepito in questo spirito di pace e di comprensione.

Si degni la Madonna, Vergine fedele e Regina della Pace, di mantenere tra noi i legami soprannaturali che ci uniscono, nella verità e nella carità, al suo divino Figlio, Gesù Cristo nostro Re.

Frate Antonio de Fleurance
Guardiano del Convento San Francesco



Ai nostri Monsignori Lefebvre e de Castro Mayer

In occasione del 25esimo anniversario della loro chiamata a Dio,
in omaggio filiale e riconoscente per tutto ciò che dobbiamo loro.


Introduzione generale

L’eventualità di un riconoscimento delle opere della Tradizione da parte del Papa attuale, è richiamato sempre più sovente. Possiamo accettare questa offerta? Le risposte a questa domanda sono molto divergenti.

Da un lato, si constata che Mons. Lefebvre ha cercato per lungo tempo un riconoscimento canonico con la Roma dell’epoca; se lo si rifiuta, non si scade nel sedevacantismo, quanto meno pratico, e quindi in un atteggiamento scismatico?
Peraltro, la situazione odierna non è più quella del 1988. Allora vi erano delle buone ragioni per rifiutare le proposte romane, ma oggi un tale rifiuto non sarebbe anacronistico? In effetti, in questi ultimi tempi, soprattutto in occasione del Sinodo sulla Famiglia, si sono viste delle reazioni molto forti di certi prelati nei confronti della linea progressista, cosa inimmaginabile fino ad alcuni anni fa. Saremmo all’inizio di una sana reazione?

Tuttavia, Mons. Lefebvre non ha anche affermato che un accordo con un’autorità neo-modernista era impossibile? Parlando così, sarebbe scaduto nel sedevacantismo?
Infine, l’evoluzione della situazione nella Chiesa, negli ultimi anni, costituisce un cambiamento tale da rendere oggi possibile un riconoscimento canonico?

Quali che siano le risposte a queste domande, la posta è alta: esse pongono un vero problema morale!

Infatti, se la risposta è che, ormai, essendo cambiata la situazione, una soluzione canonica non metterebbe più in pericolo la fede, non vi sarebbero più ragioni per rifiutarla; più ancora: un rifiuto questa volta ci esporrebbe al pericolo di scisma.
Se, al contrario, la risposta è che il pericolo per la nostra fede è sempre presente, allora la sottomissione alle autorità romane ci esporrebbe all’eresia.
E che si parli di scisma o di eresia, la questione attiene alla salvezza eterna.

Allo scopo di rispondere a questo problema morale, noi porremo tre domande.

La prima, che sorge naturalmente, è la seguente: la situazione a Roma non è migliorata dopo il 1988 (questione 1)?

In effetti, in tutto il tempo che ci separa dalle consacrazioni, noi non abbiamo mai modificato la nostra condotta. Se oggi si profila una soluzione canonica, impensabile anni fa, non è perché nella stessa Roma ci sono stati dei cambiamenti relativi?
Tutto questo ci porta a ritornare al fondamento di ciò che è stata la nostra condotta fino ad oggi: possiamo accettare un riconoscimento canonico proposto da un’autorità neo-modernista (questione 2)?

Infine, il rifiuto di un tale riconoscimento non equivarrebbe al sedevacantismo e cioè ad un’attitudine scismatica (questione 3)?

Ciò posto, possiamo concludere rispondendo alla domanda posta all’inizio di questo studio.


Questione 1: la situazione a Roma non è migliorata dopo il 1988?


Qui sorgono due domande.
Innanzi tutto: la situazione a Roma è cambiata? Si tratta per prima cosa di vedere se, a prescindere da noi, le cose sono cambiate, e in che misura. Questo sarà l’oggetto dei primi due articoli.

La seconda domanda nasce naturalmente: da allora, l’attitudine di Roma nei confronti dei cattolici fedeli, è cambiata? Ad essa risponderemo negli ultimi due articoli.

Articolo primo: vi è un risveglio dei conservatori a Roma?

I – Ragioni a favore di una risposta positiva

Sembra di sì, la situazione a Roma è ben diversa da quella del 1988.

Prima ragione

In effetti, la voce dei conservatori comincia a farsi sentire.
Certo, noi non neghiamo un certo aggravarsi della crisi, tanto nella fede quanto nella morale. A livello della fede, mai il Papa si era spinto così oltre nella distruzione di tutti i bastioni che restavano in piedi: l’indissolubilità del matrimonio e la condanna dell’omosessualità
Ma d’altronde, i prelati cominciano a parlare molto seriamente di una crisi dottrinale nella Chiesa. Per esempio, il cardinale Burke parla di un «disorientamento» al momento dello svolgimento del Concilio e della comparsa delle riforme post-conciliari; egli denuncia la universale rimessa in questione, soprattutto in materia liturgica (1).

Lo stesso fa Mons. Schneider, che afferma che la crisi dottrinale è alla radice della crisi della morale: «è dal relativismo dottrinale che deriva il relativismo morale e liturgico. […] Bisogna innanzi tutto ristabilire la chiarezza e la fermezza della dottrina della fede e della morale a tutti i livelli (2)».

Seconda ragione

Su questo punto, Roma è divisa. A fronte del modernismo galoppante ai vertici, non solo vi sono dei prelati che vedono giusto, ma che reagiscono. Certo, la gerarchia è ancora progressista, ma vi è una restaurazione interna, simile ad un movimento che cresce e che sfugge alla gerarchia; e questo movimento non si può più fermare. Quest’onda conservatrice si rafforza, se non numericamente, almeno in intensità. Sembrerebbe che in Francia il 50% dei seminaristi aspirino alla Messa tradizionale.

Come esempio di reazione, citiamo Mons. Schneider, che ha qualificato l’ultimo Sinodo come «Sinodo dell’adulterio (3)». In esso sono state profferite «insolentemente e senza arrossire, delle eresie o semi-eresie (4)». Inoltre, egli denuncia le manipolazioni operate in questa occasione. Già alcuni anni fa, egli chiedeva un syllabus degli errori del Vaticano II.

E i prelati conservatori si rendono conto che vi è un problema nel magistero conciliare; essi difendono la verità a partire dalla Tradizione. Non si tratta di un cambiamento profondo?

II – Opinioni in senso contrario

Si accusa il cardinale Burke di essere contro il concilio Vaticano II, in seguito alla sua opposizione manifestata nei confronti dell’ultimo Sinodo.
Interrogato da un giornalista, il cardinale smentisce formalmente questa accusa, affermando che tutta la sua formazione clericale è stata impostata alla luce del Concilio. Dunque, se egli ha reagito, la sua reazione non era un attacco ai principi del Concilio.

D’altronde, un cardinale deluso dalle critiche mosse contro il rapporto del Sinodo, ne ha parlato con il Papa e questi, con un sorriso malizioso, gli ha risposto: «Ripensaci, perché adesso conosco i miei nemici (5)». L’opposizione, quindi, non sembra che lo faccia tremare.

Infine, il cardinale Sarah è stato nominato dallo stesso Papa Francesco a capo della Congregazione per il Culto Divino (6), il 24 novembre 2014. Molto conservatore, «ratzingeriano», egli è tutto l’opposto dello stile del Papa attuale. E quest’ultimo non è certo imbarazzato per questa differenza di sensibilità

D’altronde, questa divisione a Roma non è nuova: «Temo proprio – diceva Mons. Lefebvre – che noi ricadiamo nuovamente nella stessa situazione di prima, a causa delle influenze che si muovono a Roma, perché Roma è divisa (7)».

III – Risposta di fondo

Le ragioni che precedono sollevano due questioni. Innanzi tutto quella della dottrina: tra i prelati conservatori, vi è veramente un cambiamento sostanziale sulla dottrina? E poi, sul piano pratico: esiste a Roma una divisione come mai c’è stata da dopo il Concilio e che potrebbe portare al collasso del fronte progressista? (8).

1) Un cambiamento sostanziale della dottrina?

La perdita, a Roma, della fermezza dottrinale, inaugurata dal concilio Vaticano II, ha portato ad una moltitudine di tendenze e di opinioni. Nondimeno, fino ad oggi, tutti i membri della gerarchia sono d’accordo sul Concilio stesso. Mons. Lefebvre riassumeva la situazione dicendo che la pietra d’inciampo tra noi e loro è la regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo.
Di conseguenza, si potrà veramente parlare di cambiamento sostanziale quando si metterà in questione lo stesso Concilio e si ricomincerà a predicare Cristo Re. Questo non significa che bisogna trascurare o addirittura disprezzare le sane reazioni, ma bisogna valutarle nella loro giusta portata.

Ora, i prelati conservatori hanno veramente messo in questione il Concilio?
Sentiamo quello che dicono.

2) Una messa in questione del «magistero» post-conciliare?

Il cardinale Sarah, a proposito del Sinodo: «Io affermo dunque solennemente che la Chiesa d’Africa si opporrà fermamente ad ogni ribellione contro l’insegnamento di Gesù e del magistero. Com’è possibile che un Sinodo possa ritornare sull’insegnamento costante, unificato e approfondito del beato Paolo VI, di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI? Io pongo la mia fiducia nella fedeltà di Francesco (9).»
Questa è l’ermeneutica della continuità; si ha anche l’impressione che il magistero cominci con Paolo VI. Perché citare solo i Papi conciliari? Che fine fa l’enciclica Casti Connubii di Pio XI? Sarebbe così antica da non meritare neanche più di essere citata come riferimento?

Quando a Mons. Schneider: «E’ il concilio Vaticano II che ha ampliato la comprensione del mistero della Chiesa secondo l’insegnamento dei Padri della Chiesa, precisando che la Chiesa universale appare come un popolo che trae la sua unità dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo (Lumen Gentium). Il battesimo, la vera fede e la comunione visibile col successore dell’Apostolo Pietro sono elementi indispensabili per essere un vero membro della Chiesa (10)».
In breve, è ancora l’ermeneutica della continuità.
«L’ecumenismo – dice egli ancora – è necessario per essere in contatto con i nostri fratelli separati, per amarli, Noi possiamo e dobbiamo collaborare con dei non-cattolici serii per difendere la verità divina rivelata e la legge naturale creata da Dio (11)».
Che miscuglio! E prima del Vaticano II non v’era la carità missionaria?… visto che il prelato presenta l’ecumenismo come necessario.

E che pensa del Papa? «Io ringrazio Dio – dice ancora nella stessa intervista – che Papa Francesco non si sia espresso nel modo in cui i mass media si aspettavano da lui. Nelle sue allocuzioni pubbliche, egli ha presentato fino ad oggi una bellissima dottrina. Io spero che continui ad insegnare la dottrina cattolica in maniera molto chiara.»

Ma la sua dichiarazione su Amoris Laetitiae, del 30 aprile 2016, è rivelatrice. Certo, egli riprova con grande fermezza le derive relative all’attitudine verso i divorziati risposati, ma, per lui, si tratta di una cattiva interpretazione di questo documento da parte dei vescovi. Certo, egli riconosce che il testo è ambiguo, «che certe affermazioni sono difficili da interpretare secondo la dottrina tradizionale della Chiesa», che tutto ciò «dà l’impressione che si assimili, non in teoria, ma in pratica, l’unione dei divorziati al matrimonio valido».
I riferimenti al «magistero» conciliare sono costanti; Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, lo stesso Concilio, il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) e il suo Compendium. Egli parla dell’insegnamento perenne e infallibile della Chiesa […] in particolare quello confermato da Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio § 84, e da Benedetto XVI nella Sacramentum caritatis § 29».

Il cardinale Burke, anche lui ha reagito ad Amoris Laetitiae. «La sola chiave di interpretazione corretta di Amoris Laetitae – ha detto - è l’insegnamento costante della Chiesa»: ancora ermeneutica della continuità. «Quindi, - prosegue - come bisogna ricevere questo documento? Innanzi tutto dev’essere ricevuto con il profondo rispetto dovuto al romano Pontefice in quanto Vicario di Cristo, così come lo definisce il concilio ecumenico Vaticano II: “Il principio perpetuo e visibile e il fondamento dell’unità che lega tra loro sia i vescovi sia la moltitudine dei fedeli” (Lumen gentium 23)».
Il cardinale precisa in seguito che ogni dichiarazione del Papa non è necessariamente infallibile, cosa su cui ha ragione. Ma è evidente che egli considera tutto il «magistero» conciliare come un magistero autentico; magistero che è detto comportare differenti gradi di autorità che implicano per i fedeli differenti gradi di adesione. Tuttavia, in realtà, il «magistero» conciliare non è un magistero autentico (12).

Noi ci siamo soffermati su questi prelati, e sicuramente essi sono fermi sulle conclusioni della morale cattolica, ma una tale fermezza è qualcosa di veramente nuovo per dei prelati conciliari?

3) Dei prelati conservatori: una novità?

Durante lo stesso Concilio, tra i novatori si notava già una tendenza «rigorista» ed una moderata. Per quest’ultima si possono citare il cardinale Daniélou e il futuro cardinale Ratzinger. Nel 1967, quest’ultimo fondò la rivista Communio, che si differenziava dalla rivista Concilium di Karl Rahner, giudicata eccessiva.

Ascoltiamo adesso alcuni dei conservatori dell’epoca.

Il cardinale Siri riconosceva che al Concilio certuni avevano «l’intenzione di condurre la Chiesa a vivere alla maniera protestante, senza Tradizione né primato del Papa. In vista del primo scopo c’era molta confusione. In vista del secondo, si tentò di mettere in giuoco l’argomento della collegialità». Ma in seguito, il cardinale prende le difese del Concilio; secondo lui, esso fu «una grande diga contro il principio di disgregazione»; egli si accontenta di mettere in questione «gli avvenimenti inquietanti del periodo post-conciliare, durante il quale si prese la cattiva abitudine di far passare delle idee personali sotto la copertura delle formule del Concilio (13)».

Il cardinale Wyszyński, primate di Polonia, denunciò il periodo post-conciliare, parlando di una «Chiesa il cui Credo è divenuto elastico e la morale relativista; […] una Chiesa che chiude gli occhi davanti al peccato e che teme il rimprovero di non essere moderna (14)».

Anche il cardinale Poletti, Vicario di Sua Santità per la città di Roma, inizialmente entusiasta per le riforme conciliari, scriveva più tardi: «Negli anni che hanno seguito il Concilio, nella Chiesa cattolica si è prodotta […] una grande confusione dottrinale e pastorale che ha spinto uno studioso al di sopra di ogni sospetto [sic] come Karl Rahner a parlare di “cripto-eresia”. Ed è ben vero che questo clima genera tra gli stessi fedeli un profondo disorientamento (15)». Secondo lui, la causa di questo disordine è il cambiamento dell’ecclesiologia: dunque si tratta proprio di una causa dottrinale.

Il cardinale Oddi, noto per il suo conservatorismo, nel 1983, negli Stati Uniti, davanti ad un uditorio di ottocento persone, diagnosticava una disgregazione della fede, citando tutti i dogmi che allora erano messi in questione nelle cattedre delle chiese e delle università. Ma la sua conclusione è deludente: «La Chiesa non infligge più delle pene, essa spera di poter convertire i deviati (16)».

Infine, lo stesso cardinale Ratzinger ha pronunciato delle parole molto pesanti: «Allo storicismo di Pierres vivantes [Pietre viventi – libro di catechesi della Conferenza Episcopale Francese, apparso nel 1981] – dice Amerio – il cardinale Ratzinger oppone l’immutabilità del dogma. […] Si insegnano sicuramente delle verità di fede perché diventino una pratica e una vita, ma l’oggetto proprio della catechesi è la conoscenza e non direttamente la pratica (17)».

Per concludere, questi prelati si spingono più o meno lontani nella loro critica degli errori moderni; ma il punto comune è che nessuno arriva fino a mettere in discussione il Concilio stesso. Questo è esattamente quello che constatiamo nei conservatori attuali. La differenza che tuttavia si può constatare è che questi ultimi sono forse più coraggiosi. Ma la portata delle loro critiche rimane necessariamente circoscritta nel quadro dei principi sui quali si appoggiano (18). Per uscire da questo circolo vizioso, è necessario denunciare i falsi principii del Concilio (19). Forse un giorno lo faranno. Ma noi siamo ad oggi. Tra i due tipi di principii vi è più di una differenza di grado, vi è una differenza di natura, una differenza di principii, e questa cosa non è di poco conto.


IV – Risposte alle obiezioni


A – LA PRIMA: DEI PRELATI CONSTATANO UNA CRISI DOTTRINALE

L’essenziale della risposta è stata già data nel corso dell’articolo. Tuttavia notiamo che se il cardinale Burke parla di disorientamento, il cardinale Poletti faceva già la stessa constatazione nel 1984.

A – LA SECONDA: NON SOLO QUESTI PRELATI VEDONO GIUSTO, MA REAGISCONO CON FORZA

Anche qui, pensiamo di aver risposto nel corso dell’articolo. Tuttavia, a proposito dell’espressione «Sinodo dell’adulterio», usata da Mons. Schneider, riteniamo che è opportuno citare la frase completa: «Si può affermare che il Sinodo in un certo senso si è rivelato essere agli occhi dell’opinione pubblica, un Sinodo dell’adulterio e non un Sinodo della famiglia». Le espressioni che abbiamo evidenziato, attenuano notevolmente la portata dell’accusa. «Agli occhi dell’opinione pubblica»: dunque, non è il Sinodo in se stesso che è “dell’adulterio”, ma questa è l’interpretazione che ne ha dato il mondo…

Il prelato denuncia anche le «eresie e semi-eresie» espresse in occasione di questo Sinodo. E anche il cardinale Poletti parlava già di cripto-eresie a proposito della pastorale post-conciliare, come abbiamo già visto. Tuttavia, riconosciamo che la reazione di Mons. Schneider è più forte. Quanto al “syllabus” che egli reclamava, non si trattava certo di un syllabus sugli errori del Vaticano II, che egli si guarda bene dall’attaccare, ma sugli errori diffusi nella Chiesa dopo il Concilio.

Quanto all’«onda di reazione» che si andrebbe ampliando, il fatto è innegabile. L’interesse per la Messa tradizionale aumenta; in molti vi è l’aspirazione alle fonti. Ma vi sono due cose da notare: innanzi tutto, questa reazione è inevitabile. Infatti, la Rivoluzione è satanica, contro natura. Non si possono infinitamente comprimere le aspirazioni naturali. In più, la grazia divina continua a sollecitare le anime, ad attirarle. Seconda cosa: una tale reazione non è nuova. Infatti, in Inghilterra è con lo spargimento di sangue che si è imposto il protestantesimo. Dopo diversi secoli di persecuzioni, nel XIX secolo, è comparsa un’onda di simpatia per il cattolicesimo: fu il movimento di Oxford. Molti si convertirono. Temendo per l’avvenire dell’anglicanesimo, il Dr. Pusey, pastore ferocemente anticattolico, immaginò «la teoria delle tre branche», secondo la quale l’unica Chiesa di Cristo avrebbe tre parti: il protestantesimo, l’«ortodossia» e la Chiesa cattolica. Quindi non c’era bisogno di ritornare alla Chiesa cattolica. Ma per soddisfare le «giuste aspirazioni» di quelli che guardavano verso Roma, vennero istituiti per loro degli usi cattolici: rosario, processione del «Santo Sacramento» (20) e furono eretti dei monasteri «benedettini». Questa è quella che viene chiamata High Church. Questa manovra pose fine all’onda di conversioni. Il Dr. Pusey riuscì ad arrestare questo bel movimento, rinchiudendolo entro falsi principii.

L’applicazione è molto semplice: bisogna valutare quest’onda secondo i principii che la guidano: se essa è tollerata come una High Church nel seno della Chiesa stabilita, essa non uscirà dal quadro del pluralismo, e non è da essa che bisognerà aspettarsi la restaurazione. Se coloro che la compongono mettono in discussione i falsi principii e li denunciano pubblicamente, allora la loro battaglia è buona. Per adesso, non è questo il caso.

Chiudiamo con una considerazione: che vi siano a Roma dei conservatori, questo non influisce direttamente sulla direzione della Chiesa, poiché non sono coloro che abbiamo citato che tengono le redini.

E questo ci porta alla questione successiva.

(SEGUE)

NOTE


1 - Cardinal Raymond BURKE, Un cardinal au coeur de l'Église, Artège, 2015, p. 33-34 [Un cardinale al cuore della Chiesa. Dialogo con Guillaume d'Alancon, 2016, ed. Cantagalli].
2 – Mons. Athanasius SCHNEIDER, Intervista a Rorate caeli; 1 febbraio 2016.
3 - Mons. Athanasius SCHNEIDER, Intervista a Rorate caeli; 2 novembre 2015.
4Présent [quotidiano francese], 13 novembre 2015.
5 - Monde et vie vie [rivista bimestrale francese] 899, p. 24.
6Monde et vie 900, p. 18.
7Fideliter [rivista della FSSPX in Francia] 62, p. 31.
8 -  Rispondiamo a questa domanda nella risposta alla seconda obiezione.
9 – Citato in Monde et vie 905, p. 19.
10 - Présent, 10 gennaio 2015.
11 – Intervista con Latin Mass Society [Rivista inglese], 27 maggio 2014.
12 – Si parla di magistero autentico, o semplicemente autentico, per indicare il magistero dei legittimi pastori che non assolve le condizioni di infallibilità. Da notare che il magistero autentico dei papi e dei vescovi, senza essere infallibile, si impone nondimeno all’adesione dei fedeli, perché la fede e la prudenza abituale dei legittimi pastori fondano normalmente una presunzione a favore del loro atto d’insegnamento. Ma la nuova nozione di magistero non ha più niente a che vedere con la verità cattolica. Questo appare con evidenza quando si analizzi l’Istruzione Donum veritatis della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, del 24 maggio 1990, in cui il magistero autentico è presentato come composto semplicemente dalle conclusioni provvisorie del dialogo pastori-popolo di Dio, valide in un dato momento della storia e che una tappa successiva potrà superare. Come dice il documento al § 24: «I pastori non hanno sempre colto subito tutti gli aspetti o tutta la complessità di una questione.» Ecco perché «certi giudizi del magistero hanno potuto essere giustificati all’epoca in cui furono pronunciati, perché le affermazioni considerate mischiavano inestricabilmente asserzioni vere ed altre che non erano sicure.. Solo il tempo ha permesso di operare il discernimento e, in seguito a studi approfonditi, giungere ad un vero progresso dottrinale». E’ questa condizione di spirito che permetteva al cardinale Ratzinger di affermare con sangue freddo che il decreto Gaudium et spes del Vaticano II era come un «coro-syllabus» (Il Syllabus è l’elenco degli errori moderni condannati da Pio IX nel 1864).
13 Renovatio, 1982, p. 325. Citato da Romano Amerio in Iota unum, ed. Lindau, Torino, 2009,  p. 641.
14 – Omelia del 9 aprile 1974, a Varsavia. Citata da Romano Amerio in Iota unum, ed. Lindau, Torino, 2009,  p. 642.
15Osservatore Romano, 7 ottobre 1984. Citato da Romano Amerio in Iota unum, ed. Lindau, Torino, 2009,  p. 642.
16 – In Romano Amerio, Iota unum, ed. Lindau, Torino, 2009,  p. 150.
17 – In Romano Amerio, Iota unum, ed. Lindau, Torino, 2009,  p. 296.
18 – Come ha detto Don Gleize, a proposito dei conservatori che hanno reagito al Sinodo, «si tratta […] di mantenere le stesse conclusioni che esprimono le stesse esigenze (unità e indissolubilità del matrimonio, rifiuto della contraccezione e dell’aborto, rifiuto anche delle diverse perversioni contro natura), ma facendoli derivare da principii differenti.» (Nouvelles de Chrétienté 155, ottobre 2015, p. 8).
19 - «La crisi non si risolverà con delle persone più o meno adeguate, dice Don Toulza, se esse non rinunciano a dei principii inadeguati. La restaurazione della verità e del bene nella Chiesa non è cominciata e non potrà farsi senza rimettere in discussione i principii a cui si rifanno sia Benedetto XVI sia Francesco, sebbene lo facciano in maniera innegabilmente diversa.» (Fideliter 223, gennaio-febbraio 2015, p. 70).
20 – Beninteso, le ostie non erano validamente consacrate, poiché le ordinazioni erano invalide…


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Parte seconda
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Parte quinta
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Parte settima
Parte ottava
Parte nona e ultima

settembre 2017

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