Di fronte alle proposte romane

Possiamo accettare oggi un riconoscimento canonico
da parte della Roma neomodernista?

Studio dottrinale

  Ottava parte


Pubblichiamo lo studio dottrinale approntato dai Cappuccini di Morgon, Francia, sulla controversa questione del riconoscimento canonico della Fraternità San Pio X da parte di Roma.
Il documento è molto articolato e presenta una disamina delle questioni che da qualche anno sono sul tappeto, che hanno prodotto una vera spaccatura all'interno della Fraternità, fino a comportare la fuoruscita o l'allontanamento di diversi sacerdoti. In questo contesto, i Cappuccini di Morgon non condividono il possibile riconoscimento canonico, perseguito da alcuni anni dalla dirigenza della Fraternità, e in questo documento cercano mi mettere in chiaro la loro posizione.

Presentiamo il documento in una nostra traduzione, suddivisa per comodità in più parti, mentre rimandiamo al testo originale diffuso anche in formato pdf.


Tutto lo studio in formato pdf



Prefazione

Nella tormenta e nella confusione attuali noi dobbiamo rimanere fedeli agli autentici principii cattolici e restare radicati in essi. E affinché questi siano realmente la luce che illumina e guida i nostri passi, noi dobbiamo trarre da essi le conseguenze pratiche ed applicarle rigorosamente nella nostra vita di tutti i giorni e nei nostri comportamenti quotidiani.

La coerenza e la non-contraddizione sono la conseguenza logica dell’adesione piena ed intera alla verità.

Come diceva il cardinale Pie, la carità, che è il vincolo della perfezione, dev’essere dettata e regolata dalla verità, ed è in questo spirito di carità che abbiamo voluto scrivere queste pagine.

Soprattutto, questo lavoro è stato realizzato sotto lo sguardo di Dio, perché è a Lui che dovremo rendere conto di tutta la nostra condotta; ma l’abbiamo redatto anche per far conoscere lealmente il fondo del nostro pensiero sulla questione delle proposte romane.

Infatti, nel condividere da molti anni la stessa battaglia con le altre comunità della Tradizione, noi abbiamo avuto a cuore di far conoscere a coloro che ci sono più vicini il modo in cui noi percepiamo la situazione attuale.

In ogni caso, noi speriamo che questo lavoro venga recepito in questo spirito di pace e di comprensione.

Si degni la Madonna, Vergine fedele e Regina della Pace, di mantenere tra noi i legami soprannaturali che ci uniscono, nella verità e nella carità, al suo divino Figlio, Gesù Cristo nostro Re.

Frate Antonio de Fleurance
Guardiano del Convento San Francesco



Questione 3: Dire che un riconoscimento canonico non è da prendere in considerazione prima che Roma sia ritornata alla Tradizione, è un’attitudine scismatica o quanto meno sedevacantista?

Articolo primo: E’ un’attitudine scismatica?



I - Ragioni a favore di una risposta positiva


PRIMA RAGIONE

Rifiutare la giurisdizione che ci viene offerta equivale a negare che ogni giurisdizione viene dal Papa. Ora, negare il primato di giurisdizione del romano Pontefice è cosa propria degli scismatici.

SECONDA RAGIONE

Rifiutare la comunione col Papa e la maggior parte dei fedeli per anni e anni ci ha dato un habitus scismatico: non sentiamo nemmeno più il bisogno di integrare il perimetro visibile della Chiesa, abbiamo perso il sensus Ecclesiae.

TERZA RAGIONE

Tenersi alla larga dalle autorità della Chiesa quando esse ci comandano di abbandonare la fede e la liturgia di sempre, è cosa che si comprende e che scusa lo scisma; ma poiché oggi noi siamo accettati «così come siamo», la nostra condotta diventa ingiustificata e lo scisma sarebbe formale.

QUARTA RAGIONE

Perché rimanga visibile, il posto della Tradizione dev’essere nel perimetro ufficiale della Chiesa.

II - Opinione in senso contrario

Continuare a professare la fede di sempre e a celebrare il culto tradizionale alla larga dalla Chiesa conciliare non è mai stato considerato da Mons. Lefebvre come uno scisma: «Noi rappresentiamo veramente la Chiesa cattolica» (256), diceva, e questo anche dopo le consacrazioni del 1988, quando Giovanni Paolo II lo aveva appena scomunicato. Perché saremmo dunque scismatici se conserviamo la stessa attitudine di Mons. Lefebvre nei confronti della Roma modernista? (257).

III - Risposta di fondo

1) Che cos’è lo scisma?


«Lo scisma – dice il cardinale Billot (258) – si oppone all’unità di comunione. […] Vi si incorre in due maniere. Primariamente se si rifiuta direttamente l’obbedienza al Sommo Pontefice non accettando ciò che egli comanda, non precisamente dal punto di vista di ciò che comanda (poiché questo equivarrebbe ad una semplice disobbedienza), ma dal punto di vista dell’autorità che comanda, e cioè rifiutando di riconoscere il Papa come capo e superiore. Secondariamente, se ci si separa direttamente dalla comunione del fedeli cattolici, per esempio comportandosi come un gruppo separato».

A prima vista, i tradizionalisti sembrano essere scismatici in due maniere: l’assenza di effettivo legame di dipendenza lascia presumere che essi non riconoscano la sua autorità [del Papa]; ed essi, rifiutando di mischiarsi con gli altri fedeli, sembrano formare una sorta di «piccola chiesa» a parte – qualificata come «lefebvriana» o «integrista».

2) Il legame della fede è primario

Tuttavia, il Papa Leone XIII, nell’enciclica Satis cognitum, parlando dell’unità della Chiesa, dice:
«Necessario fondamento di tanta e così assoluta concordia tra gli uomini sono il consenso e l’unione delle menti, da cui nascono naturalmente l’armonia delle volontà e la somiglianza delle azioni. Perciò [Gesù Cristo] volle, nel suo divino consiglio, che ci fosse nella Chiesa “l’unità della fede”: virtù che tiene il primo luogo tra i vincoli che legano l’uomo a Dio, e da cui riceviamo il nome di fedeli.»

Alcuni anni più tardi, nella Mortalium animos, la magistrale enciclica con la quale condannava il falso ecumenismo, Pio XI riprese la stessa idea:
«Quindi, appoggiandosi la carità, come su fondamento, sulla fede integra e sincera, è necessario che i discepoli di Cristo siano principalmente uniti dal vincolo dell’unità della fede

Da questi insegnamenti pontifici, scaturisce che nella Chiesa vi è una unità più fondamentale dell’unità di comunione: che è l’unità di fede. E perché l’unità di comunione sia vera è assolutamente necessario che abbia per fondamento l’unità di fede. Da cui è chiaro che i primi scismatici sono gli eretici: «L’eresia – dice il cardinale Billot (259) – è uno scisma, poiché si oppone direttamente all’unità di fede
Ci si può opporre all’unità di comunione senza opporsi all’unità di fede, ma non ci si potrebbe opporre all’unità di fede senza opporsi all’unità di comunione, poiché la prima è il fondamento della seconda.

3) Quelli che fanno lo scisma sono quelli che si allontanano dalla fede

Ora, quando si consideri la situazione della Chiesa a partire dal Vaticano II, si constata che le persone che occupano i posti di autorità sono imbevute di liberalismo e di modernismo. Esse hanno imposto delle riforme che distruggono la Chiesa, perché si oppongono alla fede e al culto tradizionali. In tal modo esse hanno rotto con la Tradizione plurisecolare, vale a dire che, in definitiva, hanno rotto l’unità di fede; e l’unità di comunione che esse cercano di realizzare è solo una pseudo unità, perché ha perduto il suo vero fondamento.
La gerarchia modernista, in quanto modernista, è eretica: con la predicazione dei suoi errori, essa si oppone all’unità di fede e di conseguenza all’unità di comunione. In altre parole: è la Chiesa conciliare ad essere scismatica, perché cerca di realizzare una unità che non è più l’unità cattolica.

Mons. Lefebvre lo diceva chiaramente:
«La Chiesa conciliare è praticamente scismatica. […] E’ una Chiesa virtualmente scomunicata, perché è una Chiesa modernista.» (260).
«Il Papa vuol fare l’unità al di fuori della fede. E’ una comunione. Una comunione con chi? con che? in che?… Questa non è più un’unità. Questa si può fare solo nell’unità di fede.» (261).

4) E il Papa?

Come spiega il cardinale Journet ne L’Église du Verbe Incarné (262), lo stesso Papa può peccare contro la comunione ecclesiale, rompendo l’unità di direzione, che si produce se egli non compie il suo dovere e rifiuta alla Chiesa l’orientamento che essa ha il diritto di aspettarsi da lui in nome di Uno più grande di lui: Cristo, suo fondatore e capo invisibile. E questa, sfortunatamente è la penosa situazione nella quale noi ci troviamo a partire dal Concilio. Se Mons. Lefebvre ha voluto rimanere lontano dalla gerarchia modernista e dalla Chiesa conciliare, è per fedeltà alla Tradizione, rifiutandosi di fare lo scisma e la rottura con l’unità di fede com’essa è sempre stata nella Chiesa.

La Chiesa – diceva Padre Calmel (263) – non è il corpo mistico del Papa, ma di Cristo. Se dunque il Papa manca alla sua funzione al punto da promuovere l’eresia e lo scisma, allora è meglio obbedire a Cristo e rimanere fedele alla Chiesa di sempre, sopportando le ire delle autorità in atto.

Mons. Lefebvre ha preferito tenersi lontano da questa gerarchia e da questa falsa comunione: «Uscire, dunque, dalla Chiesa ufficiale? In una certa misura sì, evidentemente. Tutto il libro di Jean Madiran, “L’Hérésie di XX siécle”, è la storia dell’eresia dei vescovi. Bisogna dunque uscire da questo ambiente dei vescovi, se non si vuol perdere la propria anima. […] Se noi ci allontaniamo da questa gente, è esattamente come facciamo con le persone che hanno l’AIDS. Non vogliamo essere contagiati. Ora, essi hanno l’AIDS spirituale, delle malattie contagiose. Se si vuole conservare la salute, non bisogna frequentarli.» (264).

5) Da qui, il nostro atteggiamento, in pratica


il cattolico non deve né può essere in comunione con una gerarchia che favorisce il modernismo, il liberalismo, l’ecumenismo, condannati dai papi, e che orienta i fedeli lungo strade estranee alla Tradizione. Meglio sopportare le persecuzioni, le critiche, gli epiteti di «scismatici» e di «scomunicati», piuttosto che collaborare alla loro impresa e alla perdita delle anime.

6) Conclusione

Quindi, in realtà, non sono quelli che si stringono alla Tradizione ad essere scismatici, ma quelli che se ne allontanano. Se i tradizionalisti non sono «in comunione», questo è solo con la Chiesa conciliare in quanto tale; ma questo è il loro titolo di gloria.
La comunione sarà ritrovata naturalmente il giorno in cui Roma ritornerà alla Tradizione e «reintronizzerà Nostro Signore Gesù Cristo». Ma cercare l’unione con Roma prima che le autorità siano ritornate all’unità di fede, significa abbandonare la nostra battaglia, significa – in una certa maniera – tradire la verità, facendola entrare nel sistema pluralista e indifferentista orchestrato dalla gerarchia infedele al suo mandato.
Sarebbe il trionfo della nuova ecclesiologia del concilio Vaticano II, con il suo «subsistit in»… Per noi non basta che Roma ammetta: «la Chiesa di Cristo sussiste nella Tradizione», è necessario che confessi che: «la vera Chiesa di Cristo è la Tradizione».

Infine, seguendo Mons. Lefebvre, noi non vogliamo costituire una «piccola Chiesa» (265), indipendente per principio dalla grande, e questo perché non cerchiamo di stabilire una gerarchia parallela, né di vivere ripiegati su noi stessi e chiusi agli altri. Noi vogliamo semplicemente continuare in tutta sicurezza la nostra testimonianza per la fede e il culto di sempre. Solo i contatti compromettenti e pericolosi per il proseguimento della Tradizione sono evitati. Le nostre cappelle sono aperte a tutti i fedeli e noi non rifiutiamo ad alcuno la nostra testimonianza. Noi non ci rifiutiamo di andare verso gli altri, con la prudenza richiesta, per riportarli alla Tradizione; ma non ci lasciamo turbare dalla «marginalizzazione» (per riprendere un’espressione di Padre Calmel), conseguenza della nostra fedeltà alla fede di sempre.

7) Precisazione

Quando noi diciamo che le autorità della Chiesa sono eretiche e scismatiche, non vogliamo dire che esse abbiano rotto con la società che è la Chiesa (266), poiché  per questo bisognerebbe che la loro eresia e il loro scisma fossero dichiarate notorie di diritto, cosa che sembra impossibile, poiché spetterebbe a loro stesse farlo. Tuttavia, la loro eresia e il loro scisma non per questo sono meno vere, dal momento che rompono con la Tradizione, distruggono la fede e la liturgia di sempre e favoriscono di gran lunga la perdita delle anime. Un’eresia ed uno scisma che non sono ancora notorie di diritto possono continuare le loro devastazioni all’interno della Chiesa senza che i fedeli ne sospettino il pericolo; il che le rende ancora più temibili (267).
Bisogna dunque tenersi alla larga da coloro che le promuovono, e continuare a denunciarle: tale è stata la nostra condotta fino ad oggi.


IV - Risposte alle obiezioni

ALLA PRIMA: QUESTO SIGNIFICHEREBBE RIFIUTARE IL PRIMATO DEL PAPA

Noi non neghiamo che il Papa possa dare la giurisdizione ed anche che – in tempi normali – è da lui che viene ricevuta ogni giurisdizione nella Chiesa. Il problema non è questo. Il problema sta nel fatto che la giurisdizione è un potere e che questo potere implica la sottomissione effettiva a colui che lo conferisce, e cioè al Papa. E questi ha il diritto di controllare la maniera in cui tale potere viene esercitato dai suoi soggetti.

Ora, questa sottomissione ad un’autorità neo-modernista è un pericolo immediato per la nostra fede e per la sua pubblica confessione, e quindi noi non possiamo accettarla, come abbiamo già detto nella questione 2.

Certo, la giurisdizione è necessaria per l’esercizio legittimo del ministero ecclesiastico e per la validità di certi atti. Talché, non avendo la giurisdizione per via ordinaria, noi continuiamo ad appoggiarci alla giurisdizione di supplenza, che la Chiesa conferisce direttamente in caso di necessità, e sulla quale ci siamo sempre appoggiati in questi ultimi decenni. Tale diritto di necessità finirà il giorno in cui Roma ritroverà la Tradizione.


ALLA SECONDA: LA NOSTRA ATTITUDINE CI HA CONFERITO UN HABITUS SCISMATICO

Un habitus si contrae con la ripetizione degli atti. Per contrarre un habitus scismatico occorre porre degli atti scismatici. Ma noi abbiamo visto che i nostri rifiuti di ottemperare alle direttive della Roma modernista non sono in alcun modo degli atti scismatici, in forza delle ragioni giuste e gravi che li motivano.

In più, bisogna comprendere che la nostra condotta nei confronti di Roma non dipende dal tempo. Non ci appartiene sapere quanto tempo durerà ancora la crisi: Dio solo lo sa. Per quanto ci riguarda, noi continueremo per tutto il tempo necessario, senza scoraggiarci né stancarci.
Noi eviteremo sempre lo scisma se continueremo a seguire le raccomandazioni di Mons. Lefebvre: «rimanere attaccati al Soglio di Pietro, alla Chiesa romana, Madre e maestra di tutte le Chiese, nella fede cattolica integrale, espressa nei simboli della fede, nel Catechismo del Concilio di Trento…» (268). Il fatto che la crisi duri da numerosi anni causa un pericolo molto più reale di quello di uno scisma: quello dell’abbandono della battaglia, per stanchezza. E’ soprattutto contro questo pericolo che bisogna premunirsi.

Infine, non sono quelli che conservano il vero «sensus fidei» che possono essere accusati di aver perduto il «sensus Ecclesiae». Quest’ultimo infatti sarebbe falso se dovesse mettere in pericolo la fedeltà alla Tradizione.

ALLA TERZA: CI SI ACCETTA «COSÌ COME SIAMO»

Nella dichiarazione di Dom Gérard, seguita alle consacrazioni del 1988 e al suo ricongiungimento con Roma, possiamo leggere:
«Quello che noi abbiamo chiesto fin dall’inizio (Messa di San Pio V, Catechismo, sacramenti, del tutto conformi al rito della Tradizione secolare della Chiesa), ci è stato concesso, senza contropartita dottrinale, senza concessioni, senza rinnegamenti. Il Santo Padre ci ha offerto dunque di essere reintegrati nella Confederazione benedettina così come siamo. […] A parità di condizioni, cioè fatti salvi la fede e i sacramenti, è meglio essere in accordo con le leggi della Chiesa piuttosto che contravvenirvi
Così, per evitare di cadere nel «resistenzialismo», di fare lo scisma e di costituire una «piccola Chiesa», Dom Gérard si ricongiunge con Roma, non senza porre la condizione: «Che non si esiga da noi alcuna contropartita dottrinale o liturgica e che non sia imposto alcun silenzio alla nostra predicazione antimodernista.» (269).
Sembra che così siano state prese tutte le precauzioni perché questo ricongiungimento sia prudente e permetta a Le Barroux di rimanere fedele alla Tradizione. Ma ecco: la storia ha provato che un ricongiungimento pratico alla Roma modernista finisce in un ricongiungimento dottrinale: abbiamo ampiamente mostrato, prima, che non saremmo accettati «così come siamo».

In conclusione, fintanto che Roma non sarà ritornata alla Tradizione, la nostra condotta rimane giustificata, e tenersi a distanza dalle autorità moderniste non costituisce uno scisma.


ALLA QUARTA: IL POSTO DELLA TRADIZIONE È NEL PERIMETRO UFFICIALE DELLA CHIESA

La Chiesa cattolica è visibile per le sue quattro note: essa è Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Se la Chiesa ufficiale perde questa visibilità è perché essa si allontana dalla fede tradizionale. Mons. Lefebvre lo diceva molto chiaramente:
«In loro non vi è più unità della fede; ora, è la fede che è la base di ogni visibilità della Chiesa. La cattolicità è la fede una nello spazio. L’apostolicità è la fede una nel tempo. E la santità è il frutto della fede».

Quindi, la soluzione appare chiaramente: se la Chiesa ufficiale vuole ritrovare la sua visibilità, bisogna che ritorni alla Tradizione.
Ma chiedere ai tradizionalisti di integrare la Chiesa ufficiale perché essa ritrovi la sua visibilità, significa affrontare il problema alla rovescia, e l’esperienza delle comunità Ecclesia Dei dimostra che questo sarebbe un errore, come già prevedeva Mons. Lefebvre:
«In questi ultimi tempi ci è stato detto che è necessario che la Tradizione entri nella Chiesa visibile [qui non si tratta della Chiesa visibile, ma della Chiesa ufficiale]. Io penso che in questo vi sia un errore molto, molto grave. […] Siamo noi che abbiamo i marchi della Chiesa visibile.»
E la conclusione di Monsignore è chiara: «Non siamo noi, ma i modernisti che escono dalla Chiesa.» (270).


V - Per chiudere la questione

Terminiamo con queste parole molto chiare di Mons. Lefebvre:
«Ed è per questo che noi non siamo nello scisma: noi siamo i continuatori della Chiesa cattolica. Sono quelli che s’inventano le novità ad essere nello scisma.» (271).
In effetti:
«L’anomalia nella Chiesa non è venuta da noi, ma da coloro che si sono sforzati di imporre un nuovo orientamento alla Chiesa, orientamento contrario alla Tradizione e perfino condannato dal Magistero della Chiesa. Se noi sembriamo essere in una situazione anormale è perché quelli che oggi hanno l’autorità nella Chiesa bruciano ciò che una volta adoravano e adorano ciò che una volta veniva bruciato. Sono quelli che si sono allontanati dalla via normale e tradizionale che dovranno ritornare a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e sempre compiuto. Come può accadere questo? Umanamente parlando, sembra che solo il Papa, diciamo un papa, potrà ristabilire l’ordine distrutto in tutti i domini. Ma è preferibile lasciare le cose alla Provvidenza.» (272).

Così, la soluzione della crisi non consisterà in un presunto ritorno della Tradizione ad una unità che essa non ha mai infranta, ma nel ritorno della gerarchia e della Chiesa conciliare alla fede e al culto tradizionali. Questo ritorno sarebbe più impedito che favorito se noi entrassimo nella loro unità che non è una, nella loro «comunione» pluralista. La nostra identità annegherebbe in questo tutto eterogeneo: la nostra testimonianza sarebbe offuscata e noi avremmo tradito Cristo Re.
«Ciò che ci interessa, innanzitutto, è di mantenere la fede cattolica: è questo il nostro combattimento; ed allora la questione canonica, puramente canonica, esteriore, pubblica nella Chiesa è secondaria, […] L’essere riconosciuti pubblicamente è secondario […] non bisogna cercare il secondario, perdendo ciò che è primario, ciò che è il primo oggetto del nostro combattimento.» (273).


Articolo secondo: E’ sedevacantismo?


I – Ragioni a favore di una risposta positiva


PRIMA RAGIONE

Pregare per il Papa non basta a provare che si riconosce la sua autorità. Bisogna dare dei segni più tangibili di sottomissione. Ora, noi ci rifiutiamo di darne, anche quando si presentano delle occasioni favorevoli.

SECONDA RAGIONE

Rifiutare sistematicamente tutto quello che dice o fa il Papa equivale a considerare che egli non è papa. A fortiori, lo è il rigettare l’offerta di un riconoscimento canonico quando non ci viene richiesto alcun compromesso dottrinale o liturgico. Ora, è proprio questo che faremmo rifiutando oggi le proposte romane.

II – Opinione in senso contrario

Noi continuiamo a dichiarare che riconosciamo i papi conciliari come legittimi successori di San Pietro e veri capi della Chiesa.
«Fino a quando non avrò l’evidenza che il Papa non sarebbe il Papa, – diceva Mons. Lefebvre – ebbene! Io presumo che lo sia. Io non dico che non vi possano essere degli argomenti che possano metterlo in dubbio in ceri casi. Ma bisogna avere l’evidenza che non si tratti solo di un dubbio, di un dubbio valido. Se l’argomento è dubbio, non si ha il diritto di trarne delle conseguenze enormi!» (274).

Noi intendiamo mantenere questa condotta prudenziale. Di conseguenza rifiutiamo la teoria del sedevacantismo.

III – Risposta di fondo

1) Che cos’è il sedevacantismo?


Il sedevacantismo è l’opinione secondo la quale il Papa che occupa attualmente la Sede di Roma non è veramente Papa (275).

Di primo acchito, questa opinione sembrerebbe avere qualche verosimiglianza. Infatti, come ammettere che un vero papa possa predicare indiscriminatamente dei falsi princípi (libertà religiosa, ecumenismo, collegialità, ecc.) che sono in opposizione formale con la Tradizione e favoriscono la rovina della Chiesa e la perdita delle anime?
E questo è quello che fa Papa Francesco, al seguito di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

2) Confutazione

Tuttavia, il sedevacantismo rimane una semplice opinione teologica, che tra l’altro non è la più probabile.

In effetti, se si studia la cosa da vicino, ci si rende conto che il Papa regnante, imbevuto di errori conciliari al pari dei suoi predecessori, non esercita mai la sua infallibilità, e la sua falsa concezione della sua funzione gli impedisce certamente anche di esercitare un vero magistero (276). Di conseguenza, egli non insegna alla Chiesa con una vera autorità e può sbagliarsi, poiché un papa può errare quando non adempie la sua funzione di dottore della Chiesa universale con l’assistenza dello Spirito Santo.  Così, la predicazione da parte di Papa Francesco di novità estranee ed anche contrarie alla Tradizione si spiega e non sembra incompatibile con il sommo pontificato.

In seguito, se il Papa regnate è eretico, la sua eresia non per questo è notoria, né di fatto – perché la maggioranza dei pastori e dei fedeli non lo considerano come eretico -; né soprattutto di diritto – poiché nella Chiesa nessuna autorità può dichiararlo tale a priori, visto che il Papa non è giudicato da alcuno sulla terra. E’ per questo che egli rimane malgrado tutto membro e capo della società che è la Chiesa (277).
Ecco cos’è che sembra teologicamente la cosa più probabile (278).

3) Di conseguenza

Noi non seguiamo l’ipotesi avventurosa del sedevacantismo, e preferiamo imitare la condotta prudenziale di Mons. Lefebvre: fino a quando non ci sarà l’evidenza che il Papa non è Papa, noi continueremo a riconoscerlo come vero Vicario di Cristo sulla terra. Ecco perché non ammettiamo l’etichetta di «sedevacantisi».

4) Di contro

Noi ci rifiutiamo di seguire i nuovi orientamenti che i pontefici hanno dato alla Chiesa a partire dal Concilio, perché essi si oppongono alla volontà del suo Divino Fondatore e Capo invisibile, Gesù Cristo. Noi rigettiamo le eresie divulgate dalle autorità moderniste e ci rifiutiamo di ottemperare alle direttive distruttrici della Chiesa.

Bisogna infatti distinguere l’autorità pontificia dal suo esercizio, il quale, a partire dal Concilio, è diventato rivoluzionario. La situazione è veramente eccezionale e non la si può risolvere secondo le regole ordinarie, come ha spiegato bene Padre Calmel:
«I trattati spirituali ci insegnano quasi niente […] sulle forme rivoluzionarie dell’esercizio dell’autorità, né, di conseguenza, sulla pratica dell’obbedienza in questa situazione senza precedenti. […] Sia nell’accettazione, sia nel rifiuto, noi ci troviamo al di fuori delle categorie ordinarie dell’obbedienza e della disobbedienza. […] [L’obbligo di obbedire] non esiste nei confronti del sistema montato dalla Rivoluzione, qualunque sia l’autorità che lo regga» (279).

Noi non possiamo rientrare nel sistema conciliare, che è interamente orientato verso un fine estraneo e perfino opposto a quello della Chiesa cattolica.

5) Conclusione

Così, se noi rifiutiamo il riconoscimento canonico proposto da Roma, non è perché esso viene dall’attuale occupante la Sede di Roma, poiché noi riconosciamo l’autorità del Papa regnante e siamo coscienti del dovere di sottomissione che abbiamo nei confronti del successore di Pietro; ma è a causa del pericolo prossimo che ci sarebbe per noi dal dipendere da un papa modernista: infatti noi rischiamo di perdere l’integrità della fede. E come abbiamo detto prima, l’accettazione di un riconoscimento canonico sarebbe per ciò stesso un tradimento, poiché la Tradizione sarebbe come annegata nell’amalgama che cercano di costituire i papi innamorati del pluralismo («unità nella diversità» (280)).

Quindi, la nostra linea di condotta assomiglia quella dei sedevacantisti solo materialmente e non formalmente. Come loro, noi ci teniamo alla larga dal Papa modernista, ma le nostre ragioni non sono le stesse: essi non vogliono riconoscere l’autorità di un tale papa, mentre noi cerchiamo solo di sfuggire all’esercizio della sua autorità, al fine di proteggere la nostra fede e di continuare a rendere testimonianza alla Tradizione. Quindi, non è l’inesistenza del Papa che fonda la nostra condotta, ma la difesa e la proclamazione della nostra fede cattolica (281).

Infine, contrariamente ai sedevacantisti, noi continuiamo a pregare per il Papa, affinché Dio lo illumini ed egli ritorni ad essere fedele al suo compito.

IV – Risposte alle obiezioni

ALLA PRIMA: PREGARE PER IL PAPA NON BASTA

Noi non ci accontentiamo di pregare per il Papa, ma noi veneriamo la sua persona a causa di Colui di cui è il Vicario sulla terra. Noi poniamo il suo quadro nelle nostre sagrestie ed evitiamo di parlare male della sua persona, anche quando dobbiamo denunciare pubblicamente i suoi errori. Noi non ci rifiutiamo di parlare con lui e gli testimoniamo la nostra fedeltà cercando di illuminarlo con la nostra battaglia a favore della Tradizione, persuasi che sia questo il miglior servizio che possiamo rendergli.
Noi siamo disposti a fornirgli tutti i segni di sottomissione che ci sono moralmente possibili. Ma per il riconoscimento canonico, noi non possiamo prenderlo in considerazione, in coscienza, fino a quando non avrà manifestato il desiderio sincero di ritornare alla Tradizione, rinunciando agli errori che egli continua a diffondere attualmente con più zelo che mai.

ALLA SECONDA: RIFIUTARE SISTEMATICAMENTE CIÒ CHE FA IL PAPA, EQUIVALE A NON RICONOSCERLO COME PAPA

E’ falso dire che noi rifiutiamo sistematicamente tutto ciò che dice o fa il Papa. Noi ci rallegriamo quando lo vediamo condannare l’aborto e la contraccezione, vietare il sacerdozio alle donne, mantenere la legge del celibato sacerdotale, ecc., perché tutto ciò è conforme alla dottrina di sempre (282).

In realtà, la nostra resistenza è ristretta ai punti sui quali il Papa si allontana dalla Tradizione. E se di fatto questa resistenza è quasi sistematica, è perché la sua predicazione è quasi sistematicamente viziata da errori, e l’orientamento dato alla Chiesa a partire dal Concilio non cambia.

Quanto al riconoscimento canonico «unilaterale», noi abbiamo già spiegato perché non lo possiamo accettare.

V - Per chiudere la questione

Terminiamo facendo nostra la dichiarazione fatta dai sacerdoti di Campos, nel 2000, prima della loro defezione:
«Quando le autorità ecclesiastiche ritorneranno senza condizione ad insegnare e a fare ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e fatto, noi, vescovo, sacerdoti e fedeli, noi seminaristi, case religiose, chiese cappelle, scuole, tutti saremo a totale disposizione di queste stesse autorità. Nell’attesa, il miglior servizio che possiamo rendere alla Chiesa, al Papa e ai vescovi, è di resistere e di continuare il nostro ministero sacerdotale in conformità con la Chiesa di sempre» (283).

Ecco la nostra linea di condotta.

 
(segue)


NOTE

256 Fideliter n° 70, p. 6.
257 - «Mantenere la fede e le istituzioni che per duemila anni hanno santificato la Chiesa e le anime, non può essere in alcun caso una causa di rottura della comunione con la Chiesa; al contrario, questo è il criterio dell’unione con la Chiesa e col successore di Pietro» (Mons. Lefebvre, 19 luglio 1975, citato in Le coup de maître de Satan [Il colpo da maestro di Satana, ed. Ichtys, Albano Laziale], 1977, p. 29).
258 – Cardinale Billot, L’Église, tomo II, Pubblicazione del Courrier de Rome, 2010, pp. 69-70.
259Ibid., p. 68.
260 Fideliter n° 70, p. 8.
261 - Fideliter n° 79, p. 8.
262 – Cardinale Journet, L’Église du Verbe Incarné, Desclée de Brouwer, Friburgo, 1962, vol. II, p 839 ss.
263 – Padre Roger-Thomas Calmel, O.P,  De l’Église et du pape, in Itinéraires n° 173, maggio 1973, p. 28.
264 – Conferenza a Ecône, 9 settembre 1988, citata in Fideliter n° 66, p. 28
http://www.unavox.it/Documenti/Doc0621_Conferenza_Mons-Lefebvre_9.9.1988.html
265 - «Noi non siamo né scismatici, né scomunicati, noi non siamo contro il Papa. Noi non siamo contro la Chiesa cattolica. Noi non facciamo una Chiesa parallela. Tutto ciò è assurdo. Noi siamo quello che siamo sempre stati, dei cattolici che continuano. Punto. Non si deve cercare mezzogiorno alle due. Noi non facciamo una “piccola Chiesa”». Fideliter n° 70, p. 8.
266 – In altre parole, non si tratta del significato canonico del termine, come abbiamo detto prima.
267 – Citiamo anche le parole di colui che fu il teologo di Mons. Lefebvre al concilio Vaticano II: «Chi è un modernista? E’ un uomo che non avendo più la fede (poiché per definizione il modernismo è un’eresia) nella maniera sua propria […]. Conserva tutte le espressioni dogmatiche cambiandone radicalmente il significato o accompagnandole con le loro contraddizioni senza avere la minima preoccupazione per esse. Egli non prova il bisogno di uscire dalla Chiesa: al contrario, la sua stessa maniera di essere eretico comporta che vi rimanga. Un modernista fuori dalla Chiesa non è più un modernista; è un protestante liberale o razionalista; è un filosofo miscredente o un esegeta miscredente o uno storico miscredente, tutto ciò che si vuole, ma non un modernista. La nota specifica del modernismo è di essere un’eresia interna alla Chiesa. Il compito del modernista è di minare il dogma dall’interno, come le termiti fanno col tronco […]. Il modernista è tanto più difficilmente riconoscibile per quanto è sempre più modernista, e cioè per quanto meglio sa salvare le apparenze.» Don Berto, documento tratto dagli archivi personali di Mons. Lefebvre.
268La Tradition «excommuniée», pubblicazione del Courrier de Rome, giugno 1989, p. 45.
269Fideliter n° 65, pp. 17-18.
270Fideliter n° 66, pp. 27-28.
271 – Mons. Lefebvre, omelia a Lille, 29 agosto 1976.
http://www.unavox.it/Documenti/Doc0963_Omelia_Lefebvre_29.08.1976.html
272Le coup de maître de Satan [Il colpo da maestro di Satana, ed. Ichtys, Albano Laziale], Réponses à diverses questions d’actualité [Risposte a diverse questioni di attualità], 1977, p. 47.
273 – Mons. Lefebvre, Conferenza a Ecône, 21 dicembre 1984.
http://www.unavox.it/Documenti/Doc1019_Conferenza_Lefebvre_seminaristi_1984.html
274 – Mons. Lefebvre, 16 febbraio 1979.
275 – Il sedevacantismo differisce dallo scisma, poiché non nega per principio che l’occupante la Sede di Roma sia capo della Chiesa universale e che bisogna essere in comunione con lui, ma nega di fatto che l’occupante attuale della Sede di Roma – a causa della sua intenzione abituale e oggettiva, contraria al bene comune della Chiesa – sia il Papa legittimo; e di conseguenza afferma che si deve interrompere ogni relazione con lui.
276 – Secondo la concezione modernista, che traspare nella costituzione Lumen Gentium del concilio Vaticano II, il Sommo Pontefice esercita un servizio: egli deve porsi all’ascolto del sentimento religioso del Popolo di Dio e assicurarne l’unità in funzione della sua evoluzione nel corso dei secoli. La sua funzione non è più quella di istruire con autorità i fedeli imponendo alla loro fede ciò che è contenuto nella Tradizione immutabile della Chiesa.
277 - «L’opinione più comune dei teologi è che l’eresia e lo scisma distruggono l’appartenenza alla Chiesa proprio in quanto sono notorie. […] La rottura dell’unità della Chiesa si produce in effetti al livello che è il suo: poiché si tratta della rottura di un legame sociale, essa si produce solo attraverso atti in grado di privare di un tale legame […], e cioè attraverso atti sociali, che sono degli atti, non solo esteriori, ma anche pubblici e notori di diritto. Tali atti sono tutti quelli (e solo quelli) che l’autorità gerarchica della Chiesa denuncia giuridicamente come incompatibili con il bene comune della società cattolica.» (Don Gleize, professore di ecclesiologia al seminario si Ecône, in Courrier de Rome, settembre 2013). Così, fintanto che non vi sia constatazione giuridica, da parte dell’autorità, della sua eresia, un eretico rimane membro della società ecclesiastica.
278 – Per una confutazione più completa e dettagliata del sedevacantismo, si può consultare il n° 79 de Le Sel de la terre o il Courrier de Rome del febbraio 2016.
279Itinéraires n° 148, pp 14 e 17.
280 – Mons. Fellay, nel suo sermone al pellegrinaggio di Puy, il 10 aprile 2016, non poteva non constatare che a Roma regna la confusione. Come ci si va a ficcare in questo ambiente? il demonio pesca nelle acque torbide.
281 - «Non è l’inesistenza del Papa che fonda la mia condotta, ma la difesa della mia fede cattolica» - Risposta di Mons. Lefebvre al Padre Guérard des Laurieres.
282 – Tuttavia, la nostra gioia è limitata, poiché i princípi su cui si appoggia il Papa non sono necessariamente quelli giusti (Diritti dell’uomo, dignità umana, Vaticano II, ecc.).
283Cattolici, Apostolici Romani; la nostra posizione nell’attuale situazione della Chiesa, a cura dell’Unione Sacerdotale San Giovanni Battista Maria Vianney, Campos, Brasile. – Opuscolo pubblicato dalle Publications Saint Jean Etudes, giugno 2000.







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novembre 2017

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