La bottiglia e il vino

Sesta parte



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Il Doctor Angelicus con inconfutabile chiarezza sintetizzava così: «un oggetto conosciuto può avere con un intelletto rapporti essenziali o accidentali. Essenzialmente dice ordine a quell’intelletto dal quale ontologicamente dipende, accidentalmente invece all’intelletto dal quale può essere conosciuto» (1). Prendendo in considerazione il rapporto accidentale, la disputa sugli universali pone il problema del valore oggettivo dei concetti: i generi e le specie hanno un’esistenza reale extra-mentale diversa dal soggetto conoscente? Perché, mentre la realtà e le cose esterne al soggetto pensante si contraddistinguono per la loro corporeità e singolarità, le idee si caratterizzano per l’astrattezza (2) e l’universalità. Quella sugli universali non è una questione di lana caprina, ma pone il problema stesso della conoscenza, della sua oggettività ed universalità e, quindi, «della sua capacità a perseguire e a raggiungere la verità» (3).
I presupposti di tale disputa sono ben precedenti al XI sec. d.C., e risalgono alle indagini gnoseologiche impostate a partire dal VI sec. a.C. nelle Scuole greche, ma soprattutto da Socrate, Platone e Aristotele.
La metafisica Patristica e quella Scolastica (4), che hanno ereditato le conquiste dei più antichi predecessori, ci hanno tramandato, integrandoli, sia l’insegnamento platonico che quello aristotelico, rilevando che i generi e le specie sono idee archetipe nella mente divina che informano le cose. E se Aristotele riconosceva che esiste solo l’individuo, ciò è solo in ragione della specie. Il nominalismo ha dato il via al ribaltamento sistematico della prospettiva stessa della conoscenza che è diventata misura della realtà, anziché misurata dalla realtà. Il falso pensiero gnostico o cabalista ha progressivamente reciso il legame ontologico che lega gli universali con Dio, degradandoli, oggi, a mere e volgari categorie classificatorie di pesci e uccelli. Con il nominalismo comincia ad elaborarsi in modo coercitivo un sistema di saperi teorici convenzionali a-veritativi fondati sulla conoscenza apparente delle cose (5).
È la falsa coscienza soggettivista e volontaristica che si sostituisce al socratico conosci te stesso, cioè la propria vera e profonda natura senza fermarsi alla superficie ed esteriorità, e all’agostiniano diventa ciò che sei desiderando la verità e liberandosi dall’inganno. Ma la ragione emancipandosi dal fondamento ontologico della realtà, come una pianta sradicata, è inevitabilmente destinata a dissolversi. Sebbene sia possibile riscontrare la prospettiva nominalista, sotto altre vesti, già prima dell’XI sec., è, però, a partire dal Chierico di Compiègne che questa teoria viene scientemente ideata e strutturata. Il postulato principale della teoria nominalista è che tutti gli esistenti sono particolari, come se ogni individuo fosse specie a sé. Da questo presupposto il Roscellino deduce la negazione dell’esistenza dei composti, cioè, la non reale distinzione tra gli accidenti e la sostanza, o che, comunque, «un discorso che voglia prendere in esame in un essere singolo la distinzione delle parti metafisiche, quali la sostanza e gli accidenti, non avrebbe senso» (6). L’universalità, quindi, riguarderebbe esclusivamente le parole e il linguaggio, ma non la realtà: le uniche realtà concrete che afferiscono agli universali sarebbero la natura fisica e sonora dell’emissione vocale, flatus vocis, e gli individui che queste parole hanno il compito di significare. L’irrazionale svuotamento sostanziale ed ontologico degli universali considerati come mero strumento (pseudo) logico, e che a partire dall’umanesimo è stato acclamato come un progresso dell’uomo che ha cominciato a ribellarsi all’auctoritas rivendicando l’autonomia del pensiero “scientifico”, ha inevitabilmente prodotto gravi storture anche nell’ambito della scienza. Infatti, da secoli oramai, si considerano le lotte anti realistiche come fondamento e legittimazione dello studio del mondo naturale basato sull’osservazione diretta delle cose, sull’importanza dei dati, dei fatti, dell’esperienza. Nulla di più ingannevole (7). Diceva l’Apostolo: «dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da Lui compiute, come la Sua eterna potenza e divinità; essi [i superbi] sono dunque inescusabili, perché dopo aver conosciuto Dio, non Gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili» (8). La realtà è che dalla teoria alla pratica, l’errore nominalistico in ambito metafisico ha prodotto gravi conseguenze anche in ambito sperimentale. Tra gli universali e le leggi scientifiche insiste un rapporto analogico di somiglianza formale e dissomiglianza entitativa. Infatti le leggi scientifiche sono universali in quanto descrivono fenomeni che accadono regolarmente date certe condizioni. E gli errori che si commettono in ambito teoretico si riverberano inevitabilmente in ambito applicato. Ora, se, come sostiene la teoria nominalista, esiste solo l’individuale («la materia segnata, cioè la materia considerata sotto determinate dimensioni […] che è il principio di individuazione» (9)), e l’universale è solo un prodotto del linguaggio e non immanente alla realtà, allora viene meno l’oggettività della realtà esterna.
E venendo meno l’oggettività della realtà esterna a partire dalla quale scoprire le leggi della natura, sarà il soggetto a produrle. Kant (1724-1804), nella sua Critica della ragione pura, spiega come debba intendersi la fisica alla luce di questa nuova teoria rivoluzionaria che inverte e sovverte la relazione naturale tra soggetto ed oggetto, tra pensiero e realtà: «anche Galilei e Torricelli furono colpiti da una luce. Essi compresero che la ragione scorge ciò che essa stessa produce secondo il suo disegno, e capirono che essa deve procedere innanzi con i principi dei suoi giudizi basati su stabili leggi e deve costringere la natura a rispondere alle sue domande, senza lasciarsi guidare da essa sola» (10).
Il capovolgimento è completato. L’uomo non ragiona più secondo principi oggettivi. Invece di affermare che la ragione, a partire dai dati sensibili, deduce a posteriori il disegno impresso nella natura che la precede e la mantiene nell’esistenza, d’ora in avanti l’uomo dei “lumi” afferma che il disegno è stabilito a priori e imposto soggettivamente dalla “ragione” umana. Invece di affermare che le leggi scientifiche sono universali, cioè sempre valide, perché riflettono le regole mediante le quali i fenomeni naturali accadono per lo più allo stesso modo, d’ora in avanti l’uomo “illuminato” afferma che l’universalità delle leggi scientifiche è garantita dalla “logica” della “ragione” umana.
La scienza teorica moderna, partendo da soluzioni preconfezionate, e realmente non sperimentabili, costruisce un complesso sistema di sapere “scientifico” fondato esclusivamente sulla coerenza logico-matematica e, a partire dai tempi più recenti, su simulazioni computazionali (11).
A questo proposito è interessante notare come l’emancipazione della scienza teorica dalla religione a partire dalla “rinascita” del XV e XVI, che l’avrebbe presuntivamente resa neutrale, laica ed oggettiva, perché non più soggetta alle prospettive religiose, è più apparente che reale. Non si tratta realmente di autonomia della scienza dalla religione ma, de facto, di sostituzione. Sotto mentite spoglie, riemerge prepotentemente dal fiume carsico la gnosi o cabala spuria, che nel XX secolo getta la maschera, senza timore di essere smentita, tanto è l’ottenebramento in cui la ragione umana è sprofondata.
Eccone un esempio: «direi che Einstein [1879-1955] è stato assolutamente una specie di cabalista, e proprio per questo è stato in grado di introdurre la teoria della relatività che più precisamente è il concetto relativo all’osservatore, alla persona, e così lo ha applicato alla scienza, al mondo; il concetto relativo della nostra percezione, della conoscenza e della vita. Tutto dipende dall’osservatore e dalle sue caratteristiche, e questo è esattamente la valutazione cabalistica dell’uomo sulla persona stessa riguardo all’assoluto, il Creatore e il mondo. E inoltre, tutto quello che percepiamo è percepito dalla persona in rapporto a quella persona, proprio come se ciò che esiste all’esterno della persona non abbia alcuna importanza. La saggezza della cabala parla di quello che realizziamo e quindi, specificatamente, essa è la scienza stessa e il fondamento di tutte le scienze» (12). La pretesa superiorità del sapere tecno-scientifico alla luce delle sempre più prodigiose “scoperte” è un soggetto buono per una trasmissione di Netflix (13).
Tornando al Chierico di Compiègne, Sant’Anselmo, suo contemporaneo, con perspicua lucidità centrò immediatamente l’essenza dell’errore nominalista che degradava l’intellezione all’immaginazione: «quegli eretici della dialettica che ritengono le sostanze universali come puri suoni verbali, devono essere allontanati. Poiché nei loro spiriti l’intelligenza, cui spettano diritti sovrani tra le funzioni umane, è talmente circoscritta dai fantasmi sensibili, che le riesce impervio districarsene e non riesce più a discernere quelle altissime regioni che essa deve contemplare, pura da ogni contatto con l’immaginazione. Chi non ha ancora compreso come più uomini costituiscano nella nozione specifica un solo uomo, in quale maniera riuscirà a comprendere che più persone, ciascuna delle quali è perfettamente Dio, siano un solo Dio?» (14
E se Roscellino getta, inequivocabilmente, le basi del sensismo (15), il suo allievo Abelardo, come vedremo successivamente, instillerà gli errori su cui si erigerà il meno volgare ma più subdolo sistema kantiano. Dunque, la teoria nominalistica dei generi e delle specie si fonda su una teoria gnoseologica antirealista che non può non negare la Rivelazione dell’immagine divina della creatura umana e, cosa altrettanto grave, minare la struttura ontologica della realtà che «può farci risalire a Dio, secondo l’insegnamento di S. Tommaso: alla struttura metafisica di ogni ente per partecipazione consegue la sua dipendenza causale, o creaturale, dall’Altro» (16). «C’è, come si vede, un capovolgimento del modo di impostare il problema della conoscenza e conseguentemente del modo di raggiungere la verità» (17), ovvero (al netto del sofisma dell’autore del virgolettato), di negarla.





Continua

NOTE

1 - T. d’Aquino, Somma Teologica, I, Q. 16, a. 1 risp., Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2014, p. 220.
2 - Astratto non significa che prescinde o «è privo del contatto diretto con la realtà o con il mondo sensibile» (Vocabolario Treccani), tutt’altro. L’astrazione «è l’attività dell’intelletto con la quale si ricavano i concetti universali, astraendoli [da abstrahere, trarre fuori] dalle immagini sensibili che si trovano nell’immaginazione come rappresentazione (rendere presente, similitudo) psicologica di cose e fenomeni particolari. Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu. Le immagini dei sensi che riflettono il mondo sensibile, sono la causa materiale a partire dalla quale l’intelletto riceve la forma universale delle cose o enti, materiali ed immateriali. Il concetto essendo universale ed intellegibile, cioè comprensibile solo mediante la facoltà intellettiva, non è sensibile, come l’immagine con le sue note individuanti e sensibili o concrete, ma è la definizione razionale o intellettuale che esprime l’essenza di una cosa (definitio significat quid est res). La conoscenza umana non è una creazione soggettiva dell’intelletto (idealismo), neppure una semplice conoscenza sensibile dei fenomeni (sensismo o empirismo), ma è una rappresentazione della realtà che sarà vera se corrisponde ad essa, oppure falsa, se non le corrisponde», dalle “voci” astrazione, concetto, definizione, conoscenza, in C. Nitoglia, Piccolo dizionario Tomista, Edizioni Effedieffe, Viterbo, 2018, pp. 19, 38, 39, 47.
3 - L. Gentile, Roscellino di Compiègne ed il problema degli universali, Editrice Itinerari, Lanciano, 1975, p. 81.
4 - «Per la civiltà medievale, il secolo d’oro fu il secolo XIII: il secolo di Federico II e di Tommaso d’Aquino. Il secolo d’oro è sempre quello in cui una cultura raggiunge il culmine di tutte le sue espressioni creative; è il momento in cui il genio, diventato maturo, manifesta prepotentemente la sua prodigiosa fecondità in tutti i campi del sapere e del fare […], così come avvenne nella Grecia del IV sec. a.C.», B. Mondin, Storia della metafisica, vol. 2, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2021, p. 477. Se nell’antica Grecia, il soggettivismo prometeico sofista fu marginale nell’ambito del pensiero classico che fu ereditato, conservato e sviluppato dalla Scolastica Cristiana, secondo il massimo grado di attuazione dell’immagine divina impressa nell’uomo, il nuovo sofismo e umanesimo moderno ha infettato e soppiantato quel sano pensiero che predispone l’uomo ad agire secondo il fine della propria natura divinamente creata, pensiero che nella modernità contemporanea è diventato accidentalmente e socialmente marginale ed ininfluente, giammai essenzialmente. 
5 - I modi di sapere si possono suddividere secondo la seguente tripartizione: empirico o pratico, teorico e teoretico. Il sapere empirico o pratico, da non confondere con il sapere tecnico, è quello che si accontenta di rilevare le cose solo esteriormente e superficialmente, secondo le apparenze delle cose, rinunciando alla loro comprensione approfondita e critica. «Per esempio, rispetto alla politica, si può ritenere che politica e potere siano la stessa cosa: si può amare il potere ed esercitarlo senza sapere cosa esso sia. In questo modo si intende la politica come attività meramente pratica le cui regole sono, però, applicate sulla base di conoscenze incerte e superficiali», in D. Castellano, Introduzione alla filosofia della politica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2020, p. 16. Il sapere teorico o “scientifico” è una conoscenza rigorosa, più complessa ed efficace rispetto a quella empirica, ma convenzionale ed arbitraria: «parte, cioè, da alcuni presupposti (postulati o razionali) che assume come indiscutibili, ma non rileva, in altre parole, la loro verità. Quello che importa è che essi sono punti di partenza di un sistema rigorosamente “scientifico”, nel senso di essere dotato di rigore procedurale che porta a risultati operativamente certi», ibidem, p. 19. La pretesa di imporre saperi teorici, convenzionali e arbitrari, non aderenti alla realtà delle cose, ha come criterio l’idea che l’uomo sia libero dalla realtà e che possa “liberamente” manipolarla, perché, secondo questo modo di pensare, la realtà e i fatti sono misurati e controllati dal pensiero, e quindi è reale e vero ciò che il pensiero crede tale. Al contrario, invece, è la realtà che misura e controlla il pensiero: il pensiero e il sapere sono veri se sono confermati dalla realtà, o falsi se sono smentiti dai fatti. Su tali presupposti le scienze teoriche moderne, con i loro falsi dogmi, hanno sostituito la vera Religione. Il sapere empirico e il sapere teorico, in sé, non sono scorretti da un punto di vista aletico che è il fine verso cui deve tendere il sapere se vuole essere conoscenza responsabile, ma sono «saperi a-veritativi e a-problematici», ibidem, p. 21. Sebbene la conoscenza comincia sempre a partire dai dati empirici e su questi propone ipotesi e teorie, i due saperi si invalidano e si falsificano quando si fanno criterio di se stessi. L’unico criterio o valore del sapere è la verità e la ricerca dell’essenza delle cose a cui mira il sapere teoretico. Questo «è la forma più radicale (nel senso che va alla radice) di sapere. Esso tende, quindi alla ricerca della verità che è cercata per se stessa (sapere disinteressato) e che diventa necessariamente regolatrice dell’agire (quindi è applicabile alla pratica): se si individua un ente come uomo, ne consegue che questo deve essere trattato da uomo», ibidem, p. 18, e non, ad esempio, come merce.
6 - L. Gentile, Roscellino di Compiègne ed il problema degli universali, Editrice Itinerari, Lanciano, 1975, p. 86.
7 - «La problematicità dell’esperienza porta con sé, direttamente, la trascendenza del Principio, cioè la necessità che la risposta adeguata alla domanda costituita dall’esperienza stessa sia trascendente rispetto a quest’ultima. Questa conclusione non è semplicemente la soddisfazione di un’esigenza, quella per cui se c’è il problema, ci deve essere la soluzione. Essa è il risultato necessario di una confutazione, cioè la confutazione della pretesa assolutezza dell’esperienza. Se infatti l’esperienza fosse assoluta, cioè autosufficiente, non dipendente da un Principio, essa non sarebbe problematica, non domanderebbe di essere spiegata, sarebbe perfettamente razionale, di una razionalità già attuata, già completamente dispiegata, quindi necessaria, compiuta, perfetta», E. Berti, Introduzione alla metafisica, Edizioni UTET, Torino, 1993, p. 100.
8 - Rm 1, 20-23.
9 - T. d’Aquino, De ente et essentia, in D. Lorenz, I fondamenti dell’ontologia Tomista, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1992, p. 137.
10 - I. Kant, Critica della ragion pura, Edizioni Adelphi, Milano, 1999, p. 21.
11 - «Si può considerare la verità come pura coerenza logica, in modo idealistico e teorico, cioè prescindendo dalla conformità alla realtà, in virtù della sola forza della ragione, come ad esempio alcune delle moderne teorie scientifiche della fisica, della chimica e della biologia, basate sulla simulazione della realtà generata da soli modelli numerici. In tal modo l’intera questione della verità risulta assorbita sul piano logico, formale e matematico. In un discorso sulla verità, la coerenza interna è necessaria ma insufficiente, vera ma incompleta. Infatti, sebbene la nozione di verità come coerenza interna del pensiero è di fondamentale importanza, perché è sottoposta al principio di non contraddizione, deve però ultimarsi e completarsi attraverso il criterio di conformità con la realtà che è unica. Attraverso il solo criterio logico è possibile pervenire a molteplici proposizioni non contraddittorie ma fra loro incompatibili. È in questo caso che si può giungere all’idea della doppia verità, anzi della molteplice verità. Diviene allora importante che la verità come coerenza preveda la non-violazione: due teorie o ipotesi sono coerenti se le implicazioni dell’una non violano quelle dell’altra, altrimenti una è errata e va abbandonata», G. Tanzella-Nitti, in Dove abita la verità? Riflessioni sul vero e sul falso nell’epoca contemporanea, Edizioni Santa Croce, Roma, 2023, pp. 125-126.
12 - https://laitman.it/2016/05/02/albert-einstein-era-un-kabbalista/
13 - «Anche le scienze naturali (fisica, chimica, biologia, ecc.), la cui validità è garantita dall’adeguamento delle loro teorie alla realtà, talvolta possono incorrere in presupposti e metodi erronei che compromettono il realismo conoscitivo ed originano paradossi. Questo accade, come in certi ambiti della fisica, quando il modo di “accedere” alla realtà si fa sempre più sofisticato, attraverso, ad esempio, simulazioni computazionali che non possono essere testate nei fenomeni reali, il cui criterio non è quindi la riproduzione e verificabilità nella realtà, ma esclusivamente la loro coerenza logico-matematica. Oppure, nei casi in cui vengono sviluppati sistemi teorici, come accade, ad esempio, in alcuni ambiti della cosmologia contemporanea, quale l’astrofisica, o della paleontologia, che si basano su grandezze spazio-temporali teoriche non osservabili né al momento presente né in quello futuro», G. Tanzella-Nitti, in Dove abita la verità? Riflessioni sul vero e sul falso nell’epoca contemporanea, Edizioni Santa Croce, Roma, 2023, p. 124. Le fonti della letteratura scientifica in cui sono inseriti i risultati delle ricerche vanno, quindi, sempre considerati alla luce dei canoni e generi letterari, cioè quelli della scienza teorica o della scienza tout court.
14 - In L. Gentile, Roscellino di Compiègne ed il problema degli universali, Editrice Itinerari, Lanciano, 1975, pp. 83-84.
15 - «Locke con i suoi predecessori aveva sostenuto che ogni reale è individuale e che l’essenza universale esiste solo nell’intelletto astraente. Di qui Berkeley fa ancora un passo avanti, l’ultimo possibile in questa direzione, in quanto egli contesta la possibilità stessa di rappresentazioni astratte: come tutte le realtà sono cose singole, così tutte le idee sono rappresentazioni singole», in R. Falckenberg, History of modern philosophy, Editori progressisti, Calcutta, 1953, p. 215.
16 - C. Nitoglia, Commento alle XXIV Tesi del Tomismo, Edizioni Effedieffe, Viterbo, 2015, p. 32.
17 - L. Gentile, Roscellino di Compiègne ed il problema degli universali, Editrice Itinerari, Lanciano, 1975, p. 84.












 
marzo 2025
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