Qualcosa si muove a Roma:
parte della Gerarchia sembra decisa a rivalutare la liturgia tradizionale









Quando il Card. Castrillon Hoyos (Prefetto della Congregazione per il Clero) era stato nominato da poco Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, rilasciò una intervista nella quale definí sacrosante le richieste dei fedeli legati alla Tradizione, sottolineando che questi fedeli hanno “il senso della santità, del mistero della Messa, del rispetto per le tradizioni. Perché non dare loro la libertà di celebrare anche la Messa?”.

Fino ad allora una delle poche voci autorevoli che si fosse levata a difesa della liturgia tradizionale della Santa Chiesa era stata quella del Card. Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Una voce tanto autorevole, per l’incarico che ricopre il Cardinale, che un tempo avrebbe scosso le certezze di tanti altri Prelati, ma che nel contesto odierno ha continuato a lasciare indifferenti i piú, con la scusa che si trattava, in fondo, di opinioni personali.

Dopo alcuni fatti accaduti nell’ultimo anno, pensiamo non sia azzardato considerare che qualcosa si stia muovendo sulla linea prospettata dal Card. Ratzinger.
Esaminiamo questi fatti, tenendo conto che sia verosimile considerarli non come elementi isolati, ma come fattori concordanti verso un unico fine.

Già nel giugno del 1999 la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti aveva dichiarato ufficialmente (Risposta a S. Ecc. Mons. Bonicelli, Prot. n° 947/99/L) che il Motu Proprio Ecclesia Dei non si riferisce solo alla celebrazione della S. Messa secondo il Messale del 1962, ma comporta anche la possibilità, per i fedeli legati alla liturgia tradizionale, dell’amministrazione di tutti i Sacramenti, con la costituzione di “parrocchie personali” (vedi CIC, can. 515, §1).
Una apertura del genere era certo impensabile fino a qualche anno fa, e alla luce degli ultimi avvenimenti pensiamo si debba ritenere che si trattò di una apertura voluta e meditata, soprattutto per quanto riguarda l’Italia.

Un certo compiacimento suscitò poi l’intervista rilasciata dal Card. Castrillon al Magazine Profil, e a cui abbiamo accennato all’inizio.
Ma nel novembre scorso il Card. Castrillon è ritornato sull’argomento con dichiarazioni ancora piú precise e dettagliate, rivelando che è in atto un lavoro di messa a punto sull’uso generale della liturgia tradizionale. 
Nell’intervista rilasciata al mensile 30Giorni (in italiano, novembre 2000) e in quella rilasciata a La Nef (in francese, dicembre 2000), è inequivocabile che il Card. esprima  non solo l’apprezzamento per la liturgia tradizionale e per il suo uso diffuso, ma soprattutto l’intenzione di risolvere in maniera definitiva la questione dell’uso dei libri liturgici del 1962 con una normativa riguardante la Chiesa in generale.
Per di piú, in entrambe le interviste il Card. esprime aperte critiche su come è stata celebrata fino ad oggi la liturgia moderna, e fa capire come quest’ultima questione e quella dell’uso della liturgia tradizionale siano strettamente connesse con la soluzione del problema venutosi a creare con la Fraternità San Pio X dopo la scomunica del compianto Mons. Lefébvre.
Quando il Card. dichiara che: 

«Il fenomeno del vescovo Marcel Lefébvre è, allo stesso tempo, una richiesta e un mezzo per l’esame di coscienza su come noi celebriamo l’Eucarestia, sulla maniera in cui viene espressa la fede all’inizio del terzo millennio e sulla misura di quanto siamo davvero vigilanti sempre e dovunque circa la doverosa ortodossia di ciò che affermiamo nelle omelie e nelle diverse istruzioni o per il tramite degli strumenti di comunicazione. Se la santa messa e gli altri sacramenti vengono celebrati in maniera degna, osservando scrupolosamente le norme e le indicazioni contenute nei libri liturgici, se il Santissimo Sacramento viene custodito con amore e con la dovuta riverenza, se le nostre omelie sono eco fedele del Catechismo della Chiesa cattolica e delle dichiarazioni dell’ininterrotto Magistero, allora avremo già stabilito i migliori presupposti per far avvicinare alle nostre parrocchie e diocesi tutti quei fedeli che pensano che nella Chiesa sia stata operata una rottura fra passato e presente.»
è fuori di dubbio che prospetta una revisione critica di quanto è stato fatto in questi ultimi trent’anni in materia di liturgia e di pastorale.

Nel contempo, dopo la pubblicazione della nuova Institutio Generalis del Messale Romano (settembre 2000), la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (che ha curato questa nuova edizione dell’Institutio) ha pubblicato due risposte ufficiali (almeno per quello che ne sappiamo) circa il significato di alcune variazioni riportate nel nuovo testo. Una relativa alla posizione dell’altare e del celebrante nel corso della S. Messa (di cui abbiamo già parlato, si veda: risposta al quesito posto circa l'orientamento dell'Altare, del celebrante e dei fedeli) ed una relativa ai segni di rispetto e devozione dovuti al SS. Sacramento (sul rispetto e la deferenza dovuti al SS. Sacramento), sia quando viene custodito sia quando viene amministrata ai fedeli la S. Comunione.

Con la risposta relativa alla posizione dell’altare e del celebrante si è determinata una svolta clamorosa circa l’applicazione della riforma liturgica di Paolo VI. In questi ultimi trent’anni tutti i fedeli e i preti sono stati convinti che l’altare e il celebrante rivolti al popolo fossero una necessità basata su una sorta di “ritorno alle origini” della celebrazione liturgica: la Congregazione precisa invece che non è mai stato cosí, che la corretta posizione è quella dell’essere “rivolti al Signore”, tutti, celebrante e fedeli, in coerenza con quanto la Chiesa ha fatto da sempre. 
Ora, per quanto la risposta possa apparire una semplice e scontata precisazione di una importanza del tutto relativa, non v’è dubbio che essa dimostra la presenza di una precisa volontà di ritorno ad elementi essenziali della liturgia che in questi ultimi anni sono stati trascurati e spesso stravolti.
Lo stesso dicasi per quanto riguarda la distribuzione della Santa Comunione. La Congregazione precisa che nessuno deve proibire la ricezione della Santa Comunione in ginocchio, e si comprende facilmente come un particolare del genere finisca con l’abolire tutte le cattive abitudini adottate da preti e Vescovi negli ultimi trent’anni.


Certo, parlare di riforma della riforma è ancora prematuro, ma non v’è dubbio che qualcosa si muove nella giusta direzione; non tanto sulla base delle esigenze dei fedeli legati alla Tradizione, ma quanto sulla base della sentita necessità di porre fine a trent’anni di caos, di improvvisazione e di estrema umanizzazione del Santo Sacrificio della Messa, il quale, come precisa la Congregazione, 

«… è offerto a Dio Uno e Trino, e che il prete principale, Sovrano ed Eterno, è Gesú Cristo. È Lui che opera attraverso il ministero del prete che presiede visibilmente come Suo strumento. L’assemblea liturgica partecipa alla celebrazione in virtú del sacerdozio comune dei fedeli, e quest’ultimo, per esercitarsi nella Sinassi Eucaristica, ha bisogno del ministero del prete ordinato. È necessario distinguere la posizione fisica, particolarmente relativa alla comunicazione tra i diversi membri dell’assemblea, dall’orientamento spirituale e interiore di tutti. Sarebbe un grave errore supporre che l’azione sacrificale sia orientata principalmente alla comunità. Se il prete celebra versus populum, cosa legittima e spesso consigliata, il suo atteggiamento spirituale deve sempre essere rivolto versus Deum per Iesum Christum, in rappresentanza dell’intera Chiesa. È la stessa Chiesa, che assume la sua forma concreta nell’assemblea dei partecipanti, ad essere tutta volta versus Deum, cosa questa che costituisce il suo primario moto spirituale.»


Ultimamente, a questi elementi se ne sono aggiunti due che abbiamo rilevato dalla stampa quotidiana, e che certamente sono da mettere in stretta relazione con la pubblicazione della Dichiarazione Dominus Iesus della Congregazione per la Dottrina della Fede e con le reazioni che ne sono derivate in seno al mondo cattolico (si veda a titolo d’esempio la dichiarazione di 53 teologi belgi).
Nel gennaio scorso il quotidiano Il Giornale Nuovo ha pubblicato un lungo articolo (con un vistoso richiamo in prima pagina) sulla vicenda del Rev. Padre Louis Demornex, parroco di Fontanaradina di Sessa Aurunca, che da febbraio 2000 ha deciso di officiare la S. Messa solo secondo il rito tradizionale (si vedano le lettere scritte in proposito dal Rev. Padre Demornex ai suoi parrocchiani). L’articolo, a firma del vaticanista de Il Giornale (Andrea Tornielli), ha presentato la vicenda con toni di apprezzamento che richiamano súbito alla mente una certa atmosfera che si respira in certe stanze del Vaticano. 
Per di piú, nell’articolo viene citato il giudizio espresso dal Card. Ratzinger allo stesso Padre Demornex, dal quale si capisce chiaramente come il Cardinale, fatte salve le prerogative giurisdizionali dei Ordinari del luogo, sia solidale col parroco.

Dopo tre giorni lo stesso giornale ha pubblicato un altro articolo riguardante la liturgia (sempre redatto dallo stesso vaticanista e sempre richiamato fortemente in prima pagina), questa volta citando esclusivamente il Card. Ratzinger e il suo nuovo libro Introduzione allo spirito della liturgia (ed. San Paolo, in libreria a febbraio), nel quale l’alto Prelato prospetta anch’egli una definitiva soluzione per risolvere il contrasto tra la liturgia attuale e la liturgia tradizionale, per di piú esprimendo forti critiche su certi elementi rilevanti della nuova liturgia e richiamando l’urgenza di abolirli ritornando, per esempio, all’antico “orientamento” dell’altare, del celebrante e dei fedeli.

Tutti questi fatti inducono a ritenere che sia finito il lungo e infausto periodo di demonizzazione delle istanze dei fedeli legati alla Tradizione, anzi, è proprio sul recupero di queste istanze che la Gerarchia può basare i suoi richiami e i suoi inviti alla riflessione «sulla maniera in cui viene espressa la fede all’inizio del terzo millennio e sulla misura di quanto siamo davvero vigilanti sempre e dovunque circa la doverosa ortodossia di ciò che affermiamo nelle omelie e nelle diverse istruzioni o per il tramite degli strumenti di comunicazione.», come dice il Card. Castrillon.

Se è finito il tempo dell’improvvisazione e della “voglia matta” di innovazione a tutti i costi, occorre riflettere parecchio sul fatto che, 
da parte dei fedeli legati alla Tradizione, dev’essere considerato finito anche il tempo della “timidezza” e della eccessiva circospezione. 
Tutti coloro che hanno ritenuto di non poter seguire la Fraternità San Pio X e hanno cercato di convivere con le inaccettabili sperimentazioni della nuova liturgia, 
oggi hanno il dovere di stimolare i propri parroci a muoversi su una ritrovata linea di condotta liturgica e pastorale, 
in conformità con quanto sollecitato ultimamente dalla Gerarchia.

Da parte loro, i preti 
che fino ad oggi hanno ritenuto che fosse impossibile operare un mutamento di rotta, hanno il dovere di uscire allo scoperto, abbandonare ogni remora e, se è il caso, 
seguire l’esempio del Rev. Padre Louis Demornex, 
non tanto per attuare una impossibile e inaccettabile  ribellione, 
ma quanto per affermare i principi immutabili della liturgia e della dottrina 
della Santa Chiesa, 
in conformità con quanto sollecitato ultimamente dalla Gerarchia.

Per tutti i fedeli alla Tradizione, siano essi laici o chierici, 
si impone il dovere di mettere in essere ogni possibile tentativo per rompere definitivamente il muro di omertà che si è costruito intorno alla liturgia tradizionale, muro che per molti versi oggi sembra fare crepa da tutte le parti.
È necessario intensificare le richieste di celebrazione della S. Messa 
secondo i libri liturgici del 1962, 
e laddove il numero dei fedeli è cospicuo è necessario chiedere 
la costituzione di parrocchie personali, 
cosí che si possano amministrare tutti i Sacramenti sempre 
secondo i libri liturgici del 1962.









Suggeriamo a parte alcune tracce per avanzare le richieste agli Ordinari del luogo (Petizioni).
 

(gennaio 2001)


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