IL  MOTU PROPRIO
SUMMORUM PONTIFICUM CURA
compie un anno

Le reazioni
Il Motu Proprio mette in pericolo il Concilio Vaticano II e i suoi frutti
Il Motu Proprio non mette in pericolo il Concilio Vaticano II, semmai i suoi frutti impropri
Il ripristino della liturgia tradizionale è una mina per l'unità della Chiesa
Il ripristino della liturgia tradizionale è un atto concreto per l'unità della Chiesa
Strumento necessario e urgente per il bene della Chiesa
Il ripristino degli insegnamenti tradizionali


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Presentazione
Le premesse
Una curiosa lettura del Breve esame critico
1988-2008 - un anniversario nell'annivesario
Il testo del Motu Proprio: considerazioni e commenti
Ci fu abrogazione ?
La lettera di accompagnamento: considerazioni e commenti
Le reazioni
Le obiezioni
L'applicazione
Le prospettive
Ultima ora
Appendice - Canon Missae
Appendice - Ritus romanus e Ritus modernus
Luoghi e orari della S. Messa
Istruzioni per l'uso



La pubblicazione del Motu Proprio ha suscitato una serie complessa e contraddittoria di reazioni. 
Per cercare di seguirle sarà bene tenere un filo conduttore che aiuti a delineare un quadro sufficientemente chiaro e, soprattutto, organico.
A tale scopo non è superfluo ricordare qui quanto scritto dal Cardinale Ratzinger negli anni 80: 
Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita “etsi Deus non daretur”: come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, il mistero del Cristo vivente, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale?” (J. Ratzinger, La mia vita: ricordi, 1927-1977, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, 1997, p. 113). 

Questo aiuta a comprendere come non potrebbe esistere una “questione liturgica” di per sé: essa è tutt’uno con la Fede, con la pratica della Fede, con la salvezza delle ànime, col bene della Chiesa. 
Per dirla col Cardinale Ratzinger, la questione liturgica o è strettamente connessa con la perdurante crisi nella Chiesa o non è affatto
Purtroppo,però, essa “è”, e lo è in tutta la sua drammaticità perché è drammatica la crisi che si è vissuta e si sta vivendo nella Chiesa da quarant’anni. Crisi che riguarda tutti i fedeli, chierici e laici, con la loro tenuta dottrinale, la loro pratica liturgica, la loro adesione agli insegnamenti del Signore, la loro condotta morale.
Sulla base di questa premessa, cercheremo di considerare le varie reazioni al Motu Proprio nelle loro linee essenziali, tenendo presenti sia l’insieme della vita cattolica, e della vita liturgica in particolare, di questi ultimi 40 anni, sia il rincorrersi di dichiarazioni e di viaggi a Roma di singoli vescovi e di intere Conferenze Episcopali nell’anno che ha preceduto la pubblicazione del Summorum Pontifcum cura. 
Precisiamo anche che parlando di reazioni ci riferiremo sia a quelle negative, dall’aperta opposizione all’incitamento alla rivolta, sia a quelle positive, dalla piaggeria ai tiepidi diventati entusiasti e ai critici riscopertisi sostenitori; fenomeno quest’ultimo quasi inevitabile, come per tutte le cose di questo mondo. In fondo noi tutti siamo solo dei meri uomini, più votati ai vizi che dediti alle virtù.

Per prima cosa va detto che il ritorno all’uso della liturgia tradizionale non ha suscitato la reazione di qualche superstite intellettuale del ’68 o di qualche residuo pseudo liturgista sopravvissuto allo sfacelo del postconcilio, né tampoco di qualche vescovo d’assalto dalla puerile pastorale socio-sanitaria, ha suscitato invece l’alzata di  scudi di intere Conferenze episcopali. Conferenze episcopali di paesi importantissimi, come Francia, Germania, Inghilterra e America, tra le altre. Dove è mancata la coralità, come in Italia, le reazioni di singoli vescovi sono state così pesantemente critiche da far riflettere non poco sulla reale cattolicità di costoro. Peraltro pari riflessione merita il diffuso silenzio di tanti altri che, insieme all’esiguo numero di coloro che si sono espressi benevolmente, è indice di un’atmosfera decisamente distante dal Motu Proprio e dallo spirito che lo ha prodotto.
A onor del vero, dopo l’esperienza di questi ultimi quarant’anni di post-concilio, non ci si poteva aspettare niente di diverso. Una così vasta opposizione rivela chiaramente che, nonostante la grave crisi che attraversa la Chiesa, per la maggior parte dei vescovi l’andamento odierno della pratica della Fede sarebbe soddisfacente, semmai, qua e là, ci sarebbe bisogno di qualche piccolo ritocco, magari innovando meglio e di più, come dice qualcuno, o recuperando qualche elemento colpevolmente accantonato, come dice qualcun’altro. 

Il Motu Proprio mette in pericolo il Concilio Vaticano II e i suoi frutti.

Come tante mamme premurose, centinaia di Vescovi e di Cardinali (e questa volta gli italiani non sono stati da meno, anzi!), dicono di volersi prendere cura della loro creatura prediletta: il Concilio. E sembra vogliano suggerire che il Papa non si renda conto della posta in giuoco.
La cosa buffa è che il Papa è proprio uno dei Padri del Concilio, così che si pretenderebbe di insegnare il bene del Concilio proprio ad uno dei suoi padri più autorevoli: quello stesso Ratzinger che lo ha portato in grembo, che lo ha partorito, che lo ha allattato, che lo ha cresciuto e che lo ha difeso per 25 anni come Prefetto dell’ex Sant’Uffizio.
Eppure la preoccupazione è legittima, poiché, la rimessa in auge della liturgia tradizionale indurrà molti fedeli a chiedersi perché essa non sia stata più usata per quarant’anni; perché per quarant’anni si è detto di essa e della Chiesa che prima la usava ogni sorta di bruttura e di indecenza.

Qualcuno prova a rimediare precisando che il Concilio non ha colpe per il quarantennale ostracismo decretato alla liturgia tradizionale, ma è palese a tutti che quando si parla di riforma liturgica e di accantonamento della liturgia tradizionale nessuno può prescindere dal Concilio. Sono migliaia le citazioni possibili, dai documenti ufficiali di questi ultimi quarant’anni, in cui si ripete lo stesso ritornello: “in ottemperanza al Concilio”.
Non c’è un fedele che non sappia che la liturgia tradizionale non è stata più usata dalla Chiesa per volontà del Concilio. Non c’è predica e non c’è esortazione pastorale che non ricordi che il rinnovamento liturgico, cioè l’accantonamento della liturgia tradizionale, è stato voluto dal Concilio. I fedeli, presto o tardi, ne concluderanno che se si è ripristinata la liturgia tradizionale è perché era necessario rivedere il Concilio.
Inevitabile!

E anche se si giungesse a dichiarare ufficialmente (come si cerca di fare più o meno apertamente) che non vi è contraddizione col Concilio, perché il Concilio non ha mai parlato di accantonare la liturgia tradizionale, non si cambierebbe la realtà di questi ultimi quarant’anni e soprattutto non si intaccherebbero i convincimenti che in questo tempo sono stati pesantemente impressi nelle menti dei fedeli. 
Quello che è stato fatto in questi quarant’anni lo si è fatto in nome del Concilio. In mala fede o in buona fede, è stato il Concilio ad ispirare decisioni e comportamenti.  È stato il Concilio la bussola che ha indirizzato e orientato la nuova pastorale, la nuova catechesi, la nuova liturgia e la nuova dottrina. E sarà sempre e comunque il Concilio anche quando si riuscisse a dimostrare, documenti alla mano, che tutto è stato fatto nonostante il Concilio, a causa della sua “cattiva interpretazione”, come si usa dire adesso.
È innegabile, infatti, che si finirà col trovarsi di fronte ad un terribile dilemma: o coloro che in questi anni si sono richiamati al Concilio erano tutti in mala fede, papi compresi, o il Concilio è stato talmente equivoco, talmente suscettibile delle più contraddittorie letture, talmente vago, impreciso e superficiale da giustificare tutto e il contrario di tutto. 
Ne consegue che il ripristino della liturgia tradizionale è impossibile che non implichi un ripensamento di quanto accaduto in questi quarant’anni e quindi un ripensamento del postconcilio e del Concilio stesso.
Chi paventa dei rischi in questo senso ha perfettamente ragione. E forse, più che di rischi si dovrebbe parlare di certezze, se non di necessità. 

D’altronde, se la liturgia tradizionale, e il suo uso, è ancora un argomento che suscita interesse all’interno della Chiesa, questo lo si deve al fatto che in questi quarant’anni vi sono stati dei fedeli, chierici e laici, che hanno tenute ferme riserve e opposizioni nei confronti della liturgia moderna, e lo hanno fatto proprio a partire dalla critica al Concilio. Senza di loro e senza questa ferma posizione critica, la liturgia tradizionale sarebbe scomparsa quarant’anni fa, o poco dopo, e nessuno ne avrebbe mai più sentito parlare, se non in qualche ristretto circolo culturale di assoluta insignificanza. Soprattutto non se ne sarebbe più parlato in Vaticano, tra i Cardinali, tra i Vescovi, tra gli esperti, tra i liturgisti, i quali è solo grazie alla tenacia e al sacrificio di tanti laici e, soprattutto, di tanti chierici fedeli alla Tradizione che oggi possono pensare di ripristinare la millenaria liturgia della Chiesa per il bene della stessa Chiesa.

Il Motu Proprio non mette in pericolo il Concilio Vaticano II,
semmai i suoi frutti impropri.

Quasi ad equilibrare i timori di questi primi, ecco che altri prelati si affannano a ripetere che il Concilio non verrà minimamente toccato. Anzi, pare che proprio a partire dal Concilio si potrebbe dimostrare che, non solo la liturgia tradizionale ha il diritto di esistere in seno alla Chiesa, ma è sulla base del Concilio stesso che la moderna liturgia riformata può e deve avvicinarsi sempre più a quella tradizionale.
Perché la si è cambiata allora ? È questo che si chiede il semplice fedele.

Come non pensare che questi convincimenti si fondino sul pregiudizio modernista e progressista della evoluzione della liturgia e della dottrina ?
Per evoluzione si è proceduto all’invenzione di una nuova liturgia, per evoluzione si è vietata la liturgia millenaria della Chiesa, per evoluzione si vorrebbe trasformare la liturgia moderna correggendola con elementi di quella tradizionale, per evoluzione si vorrebbe trasformare la liturgia tradizionale ammodernandola e ammorbandola con elementi di quella moderna. E domani, per evoluzione, sarà inevitabile riformare ulteriormente ogni eventuale “riforma della riforma”. E così via. 
Si tratta semplicemente dell’inevitabile conseguenza dell’accettazione e dell’applicazione del concetto moderno di evoluzione alla liturgia della Chiesa; esattamente come è accaduto e come accade con la dottrina della Chiesa.

L’espressione “magistero vivente” è emblematica in questo senso: poiché per “vivente” si può intendere correttamente solo “cangiante”, come è cangiante la vita organica dell’uomo.
In questo senso appare corretta l’opinione di coloro che sostengono che il Concilio non verrebbe minimamente toccato dal Motu Proprio, poiché costoro sono convinti che si tratterebbe solo di praticare questa concezione evolutiva a suo tempo fatta propria del Concilio e da allora in auge in tutta la Chiesa. 

D’altronde, è con la stessa logica che sono passati i moderni concetti di ecumenismo, libertà religiosa e separazione tra potere temporale e autorità spirituale: separazione ed equiparazione tra Stato e Chiesa. Logica che ha visto perfino certi chierici che si dichiarano fedeli alla Tradizione impegnarsi nello sforzo di trovare a tutti i costi negli antichi insegnamenti della Chiesa degli spunti atti a giustificare perfino la libertà religiosa, inevitabilmente intesa come libertà di religione, come libertà per tutti di scegliere la religione più vicina ai dettami della propria coscienza, come se il fulcro della vita presente e futura dell’uomo non fosse più Dio, ma la coscienza personale di ognuno di noi (basta leggere gli annuali messaggi per la pace di Giovanni Paolo II).

A ben pensarci, quest’ultimo fenomeno è del tutto comprensibile.
All’inizio, subito dopo il Concilio, era necessario condannare pesantemente, rigettandolo, tutto il passato liturgico e dottrinale della Chiesa. Lo scopo era quello di far accettare le novità soprattutto se in contrasto con questo passato. Una volta ottenuto questo scopo, come è adesso, la condanna non serve più, oggi è possibile dare spazio anche a ciò che si condannava ieri. Si può essere fedeli alla Tradizione e al tempo stesso sostenitori delle novità. 
Non sembri un paradosso.

Nel 2001si tenne a Fontgombault un convegno sulla liturgia, nel corso del quale si parlò proprio della “riforma della riforma”. In questo convegno, voluto dall’allora Card. Ratzinger, si affermò tranquillamente che oggi la Chiesa avrebbe due “tradizioni” liturgiche, quella preconciliare e quella postconciliare, che possono vivere d’amore e d’accordo.  Ergo, essere fedeli all’una e-o all’altra significa essere sempre fedeli alla “tradizione”.
Sembra un trucchetto lessicale, ma si tratta invece di un preciso convincimento che affonda le sue radici proprio nella concezione evolutiva della liturgia e della dottrina. 

Ora, quasi per non smentire che al giorno d’oggi si vive tranquillamente tra mille contraddizioni, c’è solo da aggiungere che in termini di persistente validità del Concilio è anche diffuso il convincimento che esso, in fondo, sarebbe ancora da applicare interamente e correttamente; ed uno degli elementi che comporrebbero questa corretta e completa applicazione sarebbe proprio il recupero di tutta quella parte della liturgia tradizionale esiliata e stracciata per quarant’anni, ma di cui tanti dicono oggi di sentire la mancanza.

Il ripristino della liturgia tradizionale è una mina per l’unità della Chiesa.

Tanti Vescovi  e tanti preti si sono sbracciati per denunciare l’attentato all’unità della Chiesa, sostenendo che il ripristino della liturgia tradizionale esalterebbe la posizione dei fedeli tradizionali che rifiutano il Concilio, determinando una grave divisione tra i fedeli e la creazione di veri e propri gruppi separati dal corpo della Chiesa. 
E queste posizioni, com’era inevitabile, sono assunte da quegli stessi chierici che hanno predicato e praticato la communicatio in sacris con gli eretici di tutte le risme, hanno fatto strame dei “loro” libri liturgici e hanno disobbedito al Papa, violato il Codice di Diritto Canonico, ignorato le Istruzioni dei vari Dicasteri, sempre in nome del Concilio Vaticano II.

Sono proprio costoro che paventano terribili sventure per la Chiesa: questa azione di Benedetto XVI finirà con l’aprire la porta alla reazione, all’oscurantismo, al Medio Evo. Bisogna resistere. Bisogna reagire. Non bisogna permettere che si faccia scempio delle conquiste prodotte dal Concilio, che si distrugga il lungo lavoro per costruire una Chiesa finalmente libera, adulta, progressista, ecumenica, aperta a tutte le istanze. Una Chiesa non più cattolica, diremmo noi!

Certo, cose del genere si qualificano da sole, e tuttavia stiamo parlando di Vescovi e di Cardinali, non di sagrestani (con tutto il rispetto per questi ultimi). Vescovi e cardinali che in quarant’anni si sono vietati di esprimere anche il minimo rimprovero nei confronti dei loro presbiteri sovvertitori della liturgia e della dottrina cattoliche, anzi li hanno incoraggiati, li hanno sostenuti e se ne sono compiaciuti, preoccupandosi spesso di rivolgere i loro strali infuocati solo contro coloro che volevano e vogliono rimanere fedeli agli insegnamenti millenari della Chiesa. Oggi, costoro si affannano ad evocare scenari apocalittici nel tentativo di nascondere il colossale fallimento della loro pastorale, della loro catechesi, del loro rinnovamento liturgico. 
Ci sono interi episcopati dove le vocazioni sacerdotali sono talmente basse da non riuscire a superare neanche quelle che può vantare un solo piccolo seminario della Fraternità San Pio X. 
Non l’unità della Chiesa sta a cuore a costoro, ma la divisione della Chiesa e soprattutto la separazione e l’allontanamento dalla Chiesa di tutti coloro che vogliono rimanere fedeli alla Chiesa.

Il ripristino della liturgia tradizionale 
è un atto concreto per l’unità della Chiesa

È stato anche scritto che, con il Motu Proprio, il Papa ha inteso compiere un atto in grado di condurre all’unità ecclesiale la Fraternità Sacerdotale San Pio X, realizzando quell’unità della Chiesa da tanti auspicata. 
Il Motu Proprio, infatti, corrisponderebbe alla esplicita richiesta avanzata nel 2001 dalla Fraternità perché fosse permesso a tutti i preti cattolici la libera celebrazione della S. Messa secondo il Rito tradizionale.

Ora, mentre questo è vero,  non bisogna dimenticare che la richiesta avanzata a suo tempo dalla Fraternità, e ribadita più volte in questi sette anni, ha essenzialmente in vista l’interesse della Tradizione cattolica e quindi il bene della Chiesa, poiché è scontato che la Fraternità non ha alcun bisogno della liberalizzazione del Messale tradizionale e quindi del Motu Proprio: essa celebra regolarmente la liturgia usando i libri liturgici del 1962, e lo ha sempre fatto non tanto violando le norme liturgiche vigenti, come si abusa credere, quanto perché la liturgia tradizionale in uso prima del Concilio non è mai stata abrogata, né la si sarebbe potuta abrogare.
Piuttosto, a considerare le cose da questo punto di vista, ci sarebbe da chiedersi come mai tanti preti e Vescovi non abbiano seguito e soprattutto oggi non seguano l’esempio della Fraternità San Pio X.

Certo, solo appena sette, otto anni fa, chi affermava questa verità elementare veniva sommerso da una valanga di dinieghi sdegnati, provenienti da questo o quel dicastero romano e perfino dagli stessi ufficiali romani preposti alla tutela dell’uso della liturgia tradizionale. 
Oggi, grazie a Dio, le cose sono cambiate, oggi è la stessa Autorità romana a sostenere che non vi fu mai abrogazione: né il Concilio intese abrogare la liturgia tradizionale, né lo stesso Paolo VI osò mettere per iscritto una cosa che sapeva essere impossibile.

Questo ricorrente tirare il ballo la Fraternità San Pio X, sembra essere la conseguenza di uno strano stato d’animo che serpeggia tra i prelati e in certi ambienti soprattutto “neo-conservatori ”: una sorta di inconfessata vergogna.
Una volta asserito a più riprese che la liturgia tradizionale non è mai stata abrogata, dovrebbe essere automatico, inevitabile, dal punto di vista logico, dal punto di vista liturgico e dal punto di vista canonico, che ogni prete cattolico possa usarla liberamente. Non serve neanche il Motu Proprio.

Ma come fare a smentire apertamente diecine di migliaia di vescovi, di preti, di liturgisti, di canonisti che per quarant’anni hanno sostenuto, predicato, gridato il contrario? Come ammettere, anche indirettamente, che per quarant’anni hanno sempre nascosta e manomessa la verità ? 

Forse è meglio tirare in ballo il bisogno di unità e la necessità di ristabilire la piena comunione con la Fraternità: per l’unità della Chiesa val bene la pena di smentire quarant’anni di post-concilio!
Nessuna meraviglia, d’altronde: poiché è con la stessa logica strumentale e con la stessa noncuranza delle contraddizioni che oggi si predica, e soprattutto si pratica, l’incredibile leggerezza che per il supposto bene supremo dell’unità dei cristiani si possono, e per certuni si debbono, accantonare duemila anni di insegnamenti.

Strumento necessario e urgente per il bene della Chiesa.
Il ripristino degli insegnamenti tradizionali.

In questa diatriba è bene sottolineare che la pubblicazione del Motu Proprio non può non essere considerata nell’ottica del bene della Chiesa, coincidente col bisogno di addivenire alla soluzione della crisi che oggi la attanaglia. 
Bene della Chiesa che è tutt’uno con la suprema legge della Chiesa: la salvezza delle ànime dei fedeli.

Torniamo quindi a quanto dicevamo all’inizio, riferendo quanto affermato negli anni 80 dal Card. Ratzinger.
Oggi sono in tanti coloro che condividono quanto affermato allora dal Card. Ratzinger, e quasi a tutti è chiaro come in materia liturgica sia necessario e urgente un cambiamento di rotta.
Resta da capire se vi è altrettanta chiarezza in materia dottrinale, se cioè si sia colta la strettissima connessione che c’è tra lo stato odierno della liturgia e quello della dottrina. 

I mutamenti e i cedimenti liturgici, in questi 40 anni, si sono accompagnati ad altrettanti  mutamenti e cedimenti dottrinali. E come dai cambiamenti liturgici si è passati in maniera inavvertita  agli abusi liturgici così si è giunti agli abusi dottrinali. Cambiamenti e abusi sono ormai dati acquisiti nella compagine ecclesiale e per molti fedeli, laici e chierici, è quasi impossibile comprendere dove finisce il lecito e inizia l’illecito. 
Inevitabilmente, questo stato di cose ha come conseguenza un vero e proprio stravolgimento della Fede. 

Per risolvere seriamente la crisi nella Chiesa non si può prescindere da questo aspetto.

Il ripristino della liturgia tradizionale è un grande passo avanti verso la soluzione della crisi, ma esso dovrà essere accompagnato da una vasta, diffusa, incisiva azione di correzione per l’esercizio di una corretta catechesi e per l’insegnamento della sana dottrina. Sostenere seriamente che il bene della Chiesa si persegue anche con l’urgente ripristino della liturgia tradizionale, significa porre mano anche al recupero degli insegnamenti e della dottrina tradizionali, anche se inevitabilmente si dovrà passare per un giudizio negativo nei confronti delle innovazioni conciliari e postconciliari. 

Non si può evitare questo passaggio, poiché, indipendentemente dal fatto che tale giudizio negativo poggi sui documenti del Concilio o solo sulla sua interpretazione, il dato certo è che in questi ultimi quarant’anni non si è fatto il bene della Chiesa. 
Non diciamo che si è fatto il male della Chiesa, perché questo a molti potrebbe apparire eccessivo, ma è certo che ciò che si è fatto non corrisponde al bene della Chiesa, per perseguire il quale, infatti, si ritiene necessaria e urgente una inversione di rotta.

Questa riflessione, condotta in maniera seria e ponderata, deve costituire il punto di partenza per ogni decisione futura. 
Facciamo solo un esempio: è impensabile che i giovani aspiranti al sacerdozio possano assicurare domani il definitivo superamento della crisi se si continua ad educarli ed istruirli privilegiando  lo studio di Freud e trascurando quello di San Tommaso. Per il bene della Chiesa è urgente che si provveda a rinnovare quasi interamente il corpo docente.
 


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(Ottobre 2008)


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