IL  MOTU PROPRIO
SUMMORUM PONTIFICUM CURA
compie un anno

La lettera di accompagnamento
Considerazioni e commenti



Il numero del giornale in formato pdf
L'articolo “La lettera di accompagnamento” in formato pdf

Presentazione
Le premesse
Una curiosa lettura del Breve esame critico
1988-2008 - un anniversario nell'annivesario
Il testo del Motu Proprio: considerazioni e commenti
Ci fu abrogazione ?
La lettera di accompagnamento: considerazioni e commenti
Le reazioni
Le obiezioni
L'applicazione
Le prospettive
Ultima ora
Appendice - Canon Missae
Appendice - Ritus romanus e Ritus modernus
Luoghi e orari della S. Messa
Istruzioni per l'uso



Sugli Acta Apostolicae Sedis,  nel fascicolo che porta la data 7 settembre 2007, alle pagine 777-781, è stato pubblicato il Motu Proprio Summorum Pontificum cura. Insieme ad esso, alle pagine 795-799, è stata pubblicata la lettera di accompagnamento che il Papa ha scritto ai vescovi.

Da un punto di vista strettamente canonico è pacifico che il Motu Proprio è un documento a sé stante, non a caso si tratta di una Lettera Apostolica data in forma di Motu Proprio. La lettera di accompagnamento, invece, è una cosa del tutto diversa: essa non ha alcuna pretesa né alcun valore normativi.
Il primo documento, normativo, non ha bisogno della lettera per essere letto e interpretato, mentre la comprensione della lettera e della sua portata esigono che si tenga sempre presente quanto prescritto e stabilito dal Motu Proprio.

Questa precisazione è importante, poiché è da un anno che si continua a citare questo o quell’articolo del Motu Proprio insieme a questo o a quel passo della lettera. La cosa è del tutto fuori luogo: se il Papa avesse voluto che i due testi dovessero compenetrarsi lo avrebbe fatto da sé, o presentando un testo solo o dichiarando apertamente che la lettera con cui ha presentato il Motu Proprio ai vescovi è parte integrante di esso.

Detto questo, è evidente che vi sono due elementi da considerare subito, uno formale ed uno pratico.
L’elemento formale è la pubblicazione contemporanea e contestuale del Motu Proprio e della lettera, quasi a ricordare che i due testi si accompagnerebbero reciprocamente. Perché non si è sottolineata la distinzione tra loro pubblicandoli separatamente? Qual è la reale volontà del Papa?
A questo può forse rispondere l’elemento pratico. Avendo il Papa presentato ai vescovi il Motu Proprio insieme alla lettera, sembrerebbe che abbia voluto dire che quel Motu Proprio andrebbe letto tenendo la lettera sotto gli occhi. Se così fosse, però, se ne dovrebbe dedurre che ognuno di questi due testi, per essere compreso, avrebbe bisogno dell’altro, essendo essi, in sé stessi, incompleti.
In verità una cosa parecchio strana.
Non sarebbe stato necessario esaminare questa lettera di accompagnamento, ma tale stranezza ci ha costretti ad andarne a verificare il contenuto, per capire come stanno realmente le cose.

Il Papa fa subito alcune precisazioni che appaiono chiaramente giustificative della sua volontà di promulgare il Motu Proprio. Egli dice che con questo Motu Proprio non si mette in dubbio “ una delle sue [del Concilio] decisioni essenziali ? la riforma liturgica ”; il Messale di Paolo VI “ è e rimane la forma normale ? la forma ordinaria ? della Liturgia Eucaristica ”.
Su questa questione delle due forme ci siamo già espressi, ma il fatto che il Papa la ribadisca qui con più enfasi ci costringe a notare che neanche in questa lettera egli spiega che cosa questo significhi con esattezza, visto che la Chiesa non ha mai conosciuto una cosa del genere e che laddove si può cogliere, nel tempo e nello spazio, qualcosa di somigliante si è sempre parlato di due Riti, com’è inevitabile. Invece, anche qui, il Papa si limita ad affermare che “ Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero “due Riti”. Si tratta,piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito ”. 
La questione rimane quindi irrisolta.

Subito dopo, riferendosi ai fedeli rimasti legati alla liturgia tradizionale, sembra voler esprimere un sommesso rimprovero ai vescovi, annotando che una delle cause dell’attaccamento all’antica liturgia sarebbe l’eccessiva creatività nella nuova. 

In realtà le cose non stanno così, e il Papa lo sa bene, tanto che continua spiegando meglio che, inaspettatamente,  “ anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia ”.
Questa affermazione del Papa, soprattutto rivolta ai vescovi cattolici, è anch’essa alquanto strana. 
Delle due l’una, o la sensibilità dei giovani coglie elementi essenziali della liturgia tradizionale, e per questo ecco che si sentono attratti da essa, o i giovani si lasciano attrarre dalle particolari forme esteriori di questa liturgia in modo del tutto ingiustificato. La seconda ipotesi non è cattolica, e ugualmente non sarebbe cattolico permettere l’uso della liturgia tradizionale per motivazioni di questo tipo. Quindi rimane solo la prima ipotesi, e cioè che ad attirare i giovani non è la forma, ma la sostanza, non una diversa forma dello stesso Rito, ma un Rito diverso.

Implicitamente è lo stesso Papa a confermare questa lettura.

Egli afferma infatti che “ L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di frequente ”. 
A chi si riferisce il Papa parlando così? 
Indubbiamente ai fedeli cattolici attratti dalla liturgia tradizionale, e cioè sia ai fedeli chierici sia ai fedeli laici. Il che può significare solo una cosa: che tale attrazione ha un fondamento articolato e ben solido, che poggia su una preparazione e una comprensione “non frequente”, come dice lo stesso Papa. In altre parole, i fedeli legati alla liturgia tradizionale non guardano alla forma del Rito, ma alle componenti liturgiche e dottrinali del Rito stesso: componenti che ovviamente non trovano nella liturgia moderna, non perché non viene celebrata bene, ma perché ne è sprovvista.
Al tempo stesso, a leggere questo passo, si rimane alquanto stupiti, poiché non si può nascondere che il Papa, dopo aver promulgato il Motu Proprio, sembra dire ai vescovi: non preoccupatevi, i fedeli che chiederanno l’uso del rito tradizionale saranno necessariamente pochi, chi volete che sappia di liturgia e di latino? 
La cosa è talmente contraddittoria che vi è una sola spiegazione possibile: quella politica; conoscendo la loro profonda avversione, il Papa cerca a tutti i costi di rabbonire i vescovi, buttando però sul tappeto una mina vagante.
La verità è che noi che seguiamo da anni la liturgia tradizionale non abbiamo mai avuto una “certa misura di formazione liturgica”, né la conoscenza della lingua latina, e al pari di noi tantissimi altri fedeli, molti dei quali sono tutt’altro che addottorati. Eppure la liturgia tradizionale siamo certi di seguirla e di capirla, anche grazie a quella actuosa participatio tanto stranamente ritenuta assente dal Vetus Ordo. Ed è seguendola e capendola che abbiamo acquisito piena coscienza del fatto che essa corrisponde a come la Chiesa ha sempre pregato e a ciò che la Chiesa ha sempre creduto. 
Sta qui tutto il segreto dell’attrazione che molti giovani provano per il Vetus Ordo, e sta qui il motivo principale perché, una volta conosciuto, molti non ne possono più fare a meno.
D’altronde, è quello che sembra sostenere lo stesso Papa quanto, prima, dice: “ è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica ”. È pacifico che costoro “scoprono questa forma liturgica” essendo digiuni di liturgia e di latino e non dopo aver frequentato  un propedeutico corso di liturgia antica in latino. 
Poco dopo il Papa esprime una considerazione che ha avuto modo di ribadire più volte quand’era solo il card. Ratzinger: “ le due forme del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda ”. 
L’allora card. Ratzinger ha sempre sostenuto la necessità della “riforma della riforma”, cioè della definizione di una ulteriore formulazione dei rituali liturgici, Ordo Missae in testa, ed è lecito ritenere che il Papa oggi parli avendo in vista la realizzazione di questo suo vecchio progetto.
La cosa andrà indubbiamente approfondita, ma non è questa l’occasione  adatta, ne riparleremo quando verrà il momento, per adesso rimandiamo all’articolo sull’argomento pubblicato in questo giornale nell’aprile 2002, a proposito de “ Il convegno di Fontgombault ” organizzato dal Card. Ratzinger per trattare la materia.
Qui diciamo che in una lettera indirizzata ai vescovi in tema di liturgia ci sembrano avventurose le indicazioni sommarie che seguono la frase che abbiamo appena citata.
Incominciamo a cambiare il Messale antico, dice il Papa, inserendo nuovi santi e nuovi prefazi, mentre per il Messale di Paolo VI basterà “ celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni ”.
Se aggiungiamo a queste indicazioni la possibilità delle letture in volgare offerta nel Motu Proprio, ci sembra davvero che qui non si parli affatto di arricchimento vicendevole, quanto piuttosto dell’arricchimento che il Messale nuovo “potrà e dovrà” fornire, dice il Papa, al Messale antico. 
La cosa è stupefacente. 
Soprattutto perché il Papa aggiunge che questo lavoro di rifacimento del Messale tradizionale verrà condotto dalla " Commissione “Ecclesia Dei” in contatto con i diversi enti dedicati all’ “usus antiquior” ".
In parole povere qui si afferma che questo antico e venerabile Messale, che “ dev’essere tenuto nel debito onore ”, verrà modificato comunque, senza alcuna spiegazione, e per di più, non da una commissione competente in materia, appositamente predisposta con persone particolarmente preparate, ma da alcuni ufficiali di Curia insieme a dei fedeli tradizionali interessati, i quali apporteranno tutte le modifiche ritenute praticabili. 
E su queste modifiche ha già messo le mani avanti l’attuale Presidente della Commissione “Ecclesia Dei”, il card. Castrillón Hoyos, invitando con chiarezza i fedeli tradizionali a dimostrarsi disponibili e flessibili in materia. 

Strano come qui non si faccia neanche cenno all’arricchimento del Messale nuovo sulla base del Messale antico.
Certo, si potrebbe pensare che non è questa lettera il contesto adatto: è possibile… e tuttavia questo richiamo alle variazioni da apportare al Messale tradizionale, rivolto ai vescovi che come si sa sono in gran parte ostili a questo Messale, potrebbe essere percepito come un via libera a mettere mano a questo Messale per “arricchirlo”.
In pratica, così facendo, si finirà col complicare le cose e con l’imboccare per il Messale tradizionale la stessa strada devastante e devastata che è stata percorsa per il Messale moderno.

È a questo punto che il Papa spiega ai vescovi che il Motu Proprio ha lo scopo di “ giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa ”.
Chi vedesse in questa affermazione un riferimento alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, si sbaglierebbe, poiché è risaputo da tutti, anche dal Papa e dai vescovi, che in questo caso i motivi della riconciliazione non si esauriscono con l’uso del Messale tradizionale. Vi sono questioni di ordine dottrinale, altrettanto complesse e fondamentali, che andranno affrontate. È chiaro allora che il Papa ha in vista i fedeli tradizionali nel loro complesso, emarginati e mal trattati in tantissime diocesi, da tantissimi vescovi, e il richiamo a fare il necessario per preservare l’unità, così come è fatto, è un chiaro rimprovero a quei vescovi che in questi anni hanno diviso i fedeli in buoni e cattivi, in conciliari e tradizionali, in moderni e retrogradi.

Ciò che lascia stupiti è l’accostamento che fa il Papa tra la situazione attuale e quella dei secoli passati. E qui sembra trapelare, forse inavvertito, un vecchio motivo anticattolico secondo il quale le grandi divisioni della Chiesa, in definitiva, sarebbero da addebitare alla Chiesa stessa.
La cosa stupisce perché è come se il Papa dicesse che nei secoli la Chiesa non ha fatto tutto quello che poteva e doveva fare per tenere nel suo seno gli eretici: Lutero e sua moglie, per esempio. 
E lo stupore potrebbe diventare indignazione se solo si sospettasse che i fedeli tradizionali vengano minimamente paragonati ai protestanti di tutte le risme, anche incidentalmente.

Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio ”, dice il Papa ai vescovi.

Chi ha letto il testo del Motu Proprio si accorge che questo passo della lettera del Papa è in totale contrasto con quanto stabilito nell’ultimo comma dell’art. 1, nonché con quanto il Papa afferma in questa stessa lettera: “ Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso ”.

Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: dichiarare chiaramente, ripetutamente e formalmente che la Legge universale della Chiesa per la celebrazione della S. Messa tradizionale è stata sempre ed è sempre vigente, significa riconoscere il diritto a questa S. Messa per tutta la Chiesa e per ogni singolo cattolico, chierico e laico; diritto che non è mai venuto meno e del cui esercizio la Chiesa e i fedeli sono stati ingiustamente privati per tanti anni.
Non c’è alcun bisogno di aprire i cuori, basta prendere atto di tale diritto e lasciare che i fedeli cattolici ne godano legittimamente, liberamente e ampiamente: è questo l’esplicito dovere dei Pastori.
E il Papa spiega perché bisogna aprire i cuori: perché “ Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura ”.
Questa seconda affermazione è sacrosanta, ma non può collegarsi alla prima, poiché il nuovo Messale non è una semplice nuova edizione dell’antico e venerabile Messale, bensì una moderna scrittura ex novo, condotta col preciso intento di realizzare proprio quella rottura che condanna il Papa. Non è nelle intenzioni di coloro che usano male il nuovo Messale la volontà di rottura, ma nel nuovo Messale stesso. È questo il motivo per cui non si può parlare di due edizioni, ma si deve parlare di due Messali, i quali non sono in contraddizione, ma è certo che sono esclusivi l’uno dell’altro.
Il Papa invece è convinto della interscambiabilità dei due Messali, tanto da scrivere ai vescovi che “ Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi ”. 
Ora, se i due Messali sono interscambiabili come fossero equivalenti, è inevitabile che sorgano gravi e numerosi interrogativi.
Innanzi tutto perché si è voluto il nuovo quanto il vecchio, suo equivalente, esisteva già?
Poi perché, dopo 40 anni del nuovo, recuperare e riaffermare la vigenza del vecchio, che però dev’essere scambiato ancora col nuovo?
E ancora, perché è ammesso che vi siano delle Comunità votate all’uso antico, alle quali però si ricorda che per una impossibile coerenza devono usare anche il Messale nuovo?
In più, perché gli stessi vescovi che usano il messale nuovo non vengono invitati e obbligati ad usare anche quello antico?
Infine, perché se i due Messali sono interscambiabili lo stesso Papa non celebra una Domenica con l’uno e una Domenica con l’altro, per esempio?
Ultimo, ma più importante, qual è il senso dell’inciso “in linea di principio”? Il Papa dice: “Non possono escludere”, non dice: “devono celebrare”. Ne deriva che, se “in linea di fatto” i sacerdoti in questione, pur vivendo la “piena comunione”, sentissero di “poter escludere”, sarebbero nel loro pieno diritto.
Il Papa sembra rispondere con una osservazione rivolta ai fedeli tradizionali, ai quali chiede: “ il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito ”. 
Una cosa simile l’abbiamo già letta nel Motu Proprio, all’art. 1, dove si dice che il Messale di San Pio V “ deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico ”.
Sembra una sottigliezza, ma vi è una notevole differenza tra il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito e il debito onore che, dall’uso venerabile ed antico, spetta alla liturgia tradizionale della Chiesa. 
Il primo è un chiaro riconoscimento a posteriori, nonostante tutto, e nonostante tutto quello che lo stesso Papa dice implicitamente nel documento e nella lettera, il secondo è l’onore spettante a ciò che è intrinsecamente venerabile, il quale, per ciò stesso, è obbligante anche in presenza di un mancato riconoscimento, di cui peraltro non ha alcun bisogno.
Intendiamo dire che il valore e la santità del nuovo rito possono anche essere riconosciuti da questo o da quel fedele, ma quasi giocoforza o per mera diplomazia, e non perché si tratti di un rito anch’esso venerabile e antico.
Queste due qualità non sono proprie del nuovo rito.
Innanzi tutto perché il nuovo rito, esso sì, conosce un numero enorme di forme diverse per la sua celebrazione: è sempre lo stesso, ma ognuno lo celebra a modo suo, anche con tanto di approvazione ecclesiastica, come si è visto ultimamente con i seguaci del señor Arguelo, i cosiddetti Neocatecumenali. La sua eventuale venerabilità, quindi, sarà qualcosa di simile alla piacevolezza personale di questo o di quel celebrante, di questo o di quel fedele.
Questo nuovo rito, poi, non è venerabile anche perché non gode di un apprezzamento e di un consenso universali, e questo non da adesso, ma da quando fu promulgato. Perfino chi lo promulgò provvide subito a stabilire deroghe. Lo stesso Papa, in questa lettera, riconosce che dall’inizio, e sempre più fino ad oggi, molti fedeli non hanno apprezzato e non apprezzano affatto il nuovo rito e hanno preferito e preferiscono rimanere legati al rito che la Chiesa ha usato da tempo immemorabile. 
Infine questo rito non è venerabile anche perché non è antico, e non essendo antico non può dirsi di esso che va “tenuto nel debito onore”.
Ora, se le cose stanno così sembra proprio che gli interrogativi posti prima rimangano senza risposta.
Di questa dichiarata equivalenza dei due Messali si può dire che si tratta solo di una dichiarazione a posteriori, ad hoc, di un curioso modo di esprimersi, che trova giustificazione trattandosi di una lettera come questa e di questo tenore, indirizzata a questi vescovi. Nient’altro.

Infine il Papa invita i vescovi a stilare un resoconto sui primi tre anni dell’applicazione del Motu Proprio, promettendo fin d’ora gli eventuali aggiustamenti. 
In una situazione normale la cosa sarebbe del tutto comprensibile e saggia. Ma la situazione reale in cui vive l’intera Chiesa non è normale. Quanto meno si deve parlare di grave crisi, e in questa crisi occupa un posto importante la questione liturgica, nei confronti della quale i vescovi hanno pesanti responsabilità. Se poi pensiamo alla situazione della liturgia tradizionale in rapporto a questi stessi vescovi, ci viene subito in mente un vecchio proverbio che ironizza sulla mal risposta fiducia: “ è come raccomandare la pecora al lupo”. 

Ma non disperiamo. 
Per intanto, con l’aiuto di Dio e l’azione meritoria del Santo Padre Benedetto XVI, abbiamo questo Motu Proprio, a riprova del fatto che Dio vede e provvede. Domani questo Motu Proprio potrebbe essere migliorato  e, perché no, anche superato. A Dio piacendo.
 
 

Il problema del nuovo Messale sta, al contrario, nel suo abbandono di un processo storico sempre continuato, prima e dopo S. Pio V, e nella creazione di un volume del tutto nuovo, sebbene compilato con materiale vecchio, la cui pubblicazione s’accompagnò a un tipo di divieto di ciò ch’era stato prima, divieto per altro sconosciuto nella storia giuridica e liturgica. Io posso dire con sicurezza, basata sulla mia conoscenza dei dibattiti conciliari e sulla reiterata lettura dei discorsi fatti dai padri conciliari, che ciò non corrispose alle intenzioni del Concilio Vaticano II.
Mons. Joseph Ratzinger
Lettera al dott. Waldstein, 
14.12.1976
La riforma liturgica, nella sua realizzazione concreta, si è allontanata sempre piú da questa origine [il movimento liturgico]. Il risultato non è stato una rianimazione, ma una devastazione. … abbiamo una liturgia degenerata in “show”, in cui si cerca di rendere interessante la religione con l’aiuto di sciocchezze alla moda e di massime morali allettanti, con dei successi momentanei nel gruppo dei fabbricanti liturgici, e con dei contraccolpi tanto piú pronunciati tra coloro che nella liturgia cercano,… l’incontro con il Dio vivente…
Card. Joseph Ratzinger
Dalla prefazione a 
La reforme liturgique en question
di Mons. Klaus Gamber, 
ed. Sainte-Madeleine, 1992

 



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(Ottobre 2008)


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