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Appendice
Ritus romanus e Ritus modernus


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Presentazione
Le premesse
Una curiosa lettura del Breve esame critico
1988-2008 - un anniversario nell'annivesario
Il testo del Motu Proprio: considerazioni e commenti
Ci fu abrogazione ?
La lettera di accompagnamento: considerazioni e commenti
Le reazioni
Le obiezioni
L'applicazione
Le prospettive
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Appendice - Canon Missae
Appendice - Ritus romanus e Ritus modernus
Luoghi e orari della S. Messa
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Appendice
Riteniamo utile presentare infine due importanti testimonianze di quegli infausti anni ‘70, che permettono di far comprendere come la “Battaglia per la Tradizione” fosse fin dall’inizio, non solo ben fondata, ma soprattutto legittima e del tutto conforme alla 
Tradizione bimillenaria della Santa Chiesa. 
Gli articoli che presentiamo furono pubblicati in due dei notiziari che con grandi sacrifici i fedeli tradizionali approntavano e distribuivano in tutto il mondo, nel tentativo di frenare la deriva modernista e anticattolica che come un ciclone imperversò a partire dal Concilio Vaticano II.



Ritus romanus e Ritus modernus
Estratti dall’opuscolo di Mons. Klaus Gamber, Die Reform der Römischer Liturgie. Vorgeschichte und Problematik (1979, presso l’autore). 
Tradotto in italiano nel supplemento del Notiziario Una Voce, giugno-dicembre 1980, 
col titolo La riforma della Liturgia Romana. Cenni storici e problematica.
In chiusura abbiamo riportato la conclusione scritta dallo stesso Mons. Gamber per un articolo (Ritus Romanus et Ritus modernus) pubblicato nel n° di marzo-aprile 1977 
della rivista francese Una Voce, sullo stesso argomento.


Mons. Klaus Gamber morì il 2 giugno 1989. 
Fondatore e direttore fino alla morte dell’Istituto Liturgico di Ratisbona, venne universalmente apprezzato per i suoi studi di storia della Liturgia occidentale ed orientale, sui quali pubblicò più di 360 titoli. 
Reso noto in Italia e all’estero dall’opera infaticabile dei fedeli tradizionali, ha ottenuto anche il sostegno formale dell’allora Card. Ratzinger, che ha redatto alcune introduzioni ai suoi testi.

 
 
 

Ritus Romanus et Ritus modernus

In un articolo pubblicato su molte riviste religiose, intitolato  «Quattrocento anni di Messa Tridentina», il Rennings ha tentato di presentare il nuovo Messale come il frutto dello sviluppo naturale e legittimo della Liturgia Occidentale. 
La «Messa di San Pio V» sarebbe durata solo 34 anni, perché sin dal 1604 i Papi avrebbero apportato modifiche al Messale del 1570. 
Così, sarebbe del tutto conforme a questo processo evolutivo il fatto che anche Paolo VI abbia a sua volta riformato il Missale Romanum, affinché ? come diceva il Rennings ? i fedeli «possano intravedere maggiormente l’incommensurabile grandezza del dono che il Signore ha fatto alla Sua Chiesa nell’Eucarestia».

Nel suo articolo il Rennings è abilmente partito da un punto debole dei tradizionalisti: dalla espressione «Messa Tridentina» o «Messa di San Pio V». 
Ebbene, non esiste in senso stretto una Messa Tridentina per il fatto che non è mai stato promulgato un nuovo Ordo Missae in seguito al Concilio di Trento. 
Il Messale che San Pio V fece approntare non fu in realtà nient’altro che il Messale della Curia, in uso a Roma da molti secoli e che i Francescani avevano già introdotto in gran parte dell’Occidente: un Messale, tuttavia, che non era mai stato imposto universalmente in modo unilaterale. Le modifiche apportate da San Pio V al Messale della Curia si rivelano talmente modeste da poter essere scorte soltanto dallo specialista.
[…]
Dunque, noi parliamo piuttosto di Ritus Romanus e lo contrapponiamo al Ritus modernus
Come abbiamo mostrato, il Rito Romano risale, in parte considerevole, almeno al IV secolo. Il Canone della Messa, salvo piccole modifiche effettuate sotto San Gregorio Magno (590-604), già sotto Gelasio I (492-496) risultava nella forma che ha conservato fino ai nostri giorni. L’unico punto su cui tutti i papi, dal V secolo in poi, hanno sempre insistito è stata l’estensione alla Chiesa Universale di questo Canone Romano, sempre ribadendo che esso risale all’Apostolo Pietro. 
[…]
Le cose erano a questo punto quando fu indetto il Concilio di Trento a difesa dal protestantesimo. 
Esso decretò la pubblicazione di un Messale perfezionato e uniforme per tutti. Cosa che fece San Pio V. Egli prese, come già detto, il Messale della Curia in uso a Roma e in molti altri luoghi e lo perfezionò, riducendo, fra l’altro, il numero delle Feste dei Santi. Ma non impose l’obbligo di questo Messale a tutta la Chiesa; rispettò bensì le tradizioni locali risalenti a soli duecento anni addietro. Tanto bastava per essere dispensati dall’obbligo dell’adozione del Missale Romanum. Il fatto che la maggioranza delle diocesi abbia ben presto adottato questo Messale è dovuto ad altre cause. Da Roma non venne esercitata alcuna pressione, e ciò in un’epoca in cui, contrariamente a quanto avviene oggigiorno, non si parlava né di pluralismo né di tolleranza.

Il primo Pontefice che abbia apportato un vero e proprio cambiamento al Messale tradizionale fu Pio XII, con l’introduzione della nuova Liturgia della Settimana Santa. Riportare la cerimonia del Sabato Santo alla notte di Pasqua sarebbe stato possibile anche senza grandi modifiche. A lui seguì Giovanni XXIII, con il nuovo ordinamento delle rubriche. Anche in queste occasioni, comunque, il Canone della Messa restò intatto, non venne minimamente alterato, ma dopo questi precedenti, è vero, furono aperte le porte a un ordinamento della Liturgia Romana radicalmente nuovo.

Noi l’abbiamo vissuto, e ora ci troviamo davanti alle rovine, non già della “ Messa Tridentina ”, bensì dell’antico Rito Romano, che in un lungo periodo di tempo si era sviluppato fino alla piena maturazione. Possiamo ammettere che non fosse tutto perfetto, ma con appena alcuni miglioramenti lo si sarebbe potuto facilmente adattare al tempo nostro.

Il Papa ha il diritto di cambiare il Rito?

Dopo le considerazioni sin qui fatte sembra indispensabile porsi un tale quesito. 
Occorre però chiarire innanzitutto che cosa intendiamo qui per “Rito”. 
Esso si può definire come l’insieme delle forme obbligatorie del Culto che, risalenti in ultima analisi a Nostro Signore Gesù Cristo, si sono sviluppate nei dettagli a partire da una Tradizione comune, e sono state più tardi sancite dall’Autorità ecclesiastica. 
Da questa definizione discendono le seguenti osservazioni.
Se un rito nasce da una tradizione comune ? e a questo riguardo non possono sussistere dubbi in chi conosce la storia della nostra Liturgia ? esso non può essere rifatto ex novo nella sua globalità.
[…]
Se nel corso del tempo un rito si evolve è possibile e lecito un suo ulteriore sviluppo, a patto però che esso rispetti la qualità intemporale di ogni rito e si effettui organicamente.
[…]

S’impone a questo punto il quesito se il Rito “moderno” sia un Rito nuovo oppure un ulteriore sviluppo organico del Rito Romano tradizionale.  La risposta risulta dal fatto che ogni rito costituisce una unità cresciuta organicamente. Modificazioni di alcune sue parti sostanziali significano pertanto la distruzione dell’intero rito.
[…]
E ora veniamo al nostro quesito: ha il Papa il diritto di mutare un Rito che risale alla Tradizione Apostolica e che si è formato nel corso dei secoli?
La nostra indagine ha fin qui mostrato come in passato l’Autorità ecclesiastica non abbia mai influito in misura cospicua sullo sviluppo delle forme liturgiche. Essa ha solamente sancito il Rito formatosi nel solco della consuetudine e, oltretutto, lo ha fatto relativamente tardi, in particolare dopo la comparsa dei libri liturgici a stampa: in Occidente solo dopo il Concilio di Trento.
A ciò fa riferimento, seguendo il codice di Diritto Canonico (Can. 1257), l’art 22 della Costituzione conciliare sulla S. Liturgia, che recita: “ Regolare la Sacra Liturgia compete unicamente all’Autorità della Chiesa…”.
Il Concilio non ha spiegato meglio che cosa significhi “ regolare la Sacra Liturgia ”  (Sacrae Liturgiae mederatio). Ma, rifacendoci alle consuetudini e al costume ecclesiastico, non è possibile che con questa espressione esso abbia inteso un così radicale rifacimento del Rito della Messa e di tutti i libri liturgici, qual è quello che abbiamo visto di recente.
[…]

I riformatori non possono neppure rifarsi all’art. 25 della medesima Costituzione, in cui si legge: “ I libri liturgici siano riveduti (recognoscantur) quanto prima ”.  Come una revisione del Rito della Messa fosse concepita in conformità con le decisioni del Concilio, lo mostra l’Ordo Missae del 1965.
[…]
Nulla a quel tempo lasciava supporre che fosse da attendersi una complessiva riforma del Messale.
Erano però passati appena quattro anni quando Paolo VI sorprese il mondo cattolico con un nuovo Ordo Missae, che porta la data del 3 aprile 1969. Mentre la revisione del 1965 aveva lasciato inalterato il Rito tradizionale, pur avendo eliminato, a norma dell’art. 50 della Costituzione sulla Liturgia, alcune tarde aggiunte all’Ordinario della Messa, con l’Ordo Missae del 1969 è stato creato un nuovo Rito. 
L’Ordo tradizionale, dunque, non è stato riveduto nel senso voluto dal Concilio: è bensì stato totalmente abolito e, alcuni anni dopo, addirittura proscritto.

Ci si domanda: un così radicale rifacimento è ancora nel quadro della Tradizione della Chiesa?
Alla luce di quanto abbiamo esposto, è da escludere che ci si possa richiamare alle disposizioni conciliari. 
Che alcune parti dell’antico Messale siano passate nel nuovo non basta perché si possa parlare di continuità del Rito Romano, benché si tenti ripetutamente di dimostrarla tale continuità.
Un diritto esclusivo del Papa di introdurre un nuovo Rito anche senza una disposizione conciliare nascerebbe, così si ragiona, dalla sua “ piena e suprema autorità ”  (plena et suprema potstas), di cui parla il Vaticano I, in quelle materie “ quae ad disciplinam et regimen Ecclesiae per totum orbem diffusae pertinent ” (Denz. 1831). Ma nel termine “ disciplina ” non è assolutamente compreso quel Rito della Messa che tutti i Papi hanno sempre detto e ribadito risalire alla Tradizione Apostolica. Tale coerenza del Magistero pontificio è sufficiente da sola a escludere che quel Rito rientri nel concetto di “ disciplina e governo della Chiesa ”. A ciò si aggiunga che nessun documento, neppure il Codice di Diritto Canonico, dice espressamente che il Papa, in quanto Supremo Pastore della Chiesa, ha il diritto di abolire il Rito Tradizionale. Nemmeno si parla in alcun luogo di un suo diritto di modificare singole consuetudini liturgiche. Tanto silenzio è, nel nostro caso, di estrema importanza.

Alla “ plena et suprema potestas ” del Papa sono chiaramente posti dei limiti. È indiscutibile che egli, nelle questioni dogmatiche, deve attenersi alla Tradizione della Chiesa Universale, ossia a “ quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est ”, come dice San Vincenzo di Lerino. 

Più di un autore esprime l’opinione che non rientri nei poteri del Papa l’abolizione del Rito Tradizionale.
Il famoso teologo Suárez (+ 1617), rifacendosi a precedenti autori, tra cui il Cajetano (+ 1534), sostiene che un papa diventerebbe scismatico “ se non si volesse mantenere, come è suo dovere, in unione e collegamento con l’intero corpo della Chiesa, al punto di tentare di scomunicare l’intera Chiesa o di mutare i Riti confermati dalla Tradizione Apostolica” ( Et hoc secundo modo posset Papa esse schismaticus, si nollet tenere cum toto Ecclesiae corpore unionem et coniunctionem quam debet, ut si tentat et totam Ecclesiam excomunicare, aut si vellet omnes Ecclesiasticam caeremonias apostolica traditione firmatas evertere. Tract. De Charitate, Disput. 12, 1).

[…]
Di certo non è compito della Sede Apostolica introdurre mutamenti nella Liturgia. Il dovere primario del Sommo Pontefice in quanto Supremo Vescovo (Episcopo, ossia ispettore) è quello di vigilare sulla Tradizione sia nel campo dogmatico, sia in campo morale e liturgico.

Nei pieni poteri della Sede Apostolica rientrano invece, dal Concilio di Trento in poi, la revisione dei libri liturgici, ossia la verifica delle edizioni a stampa, e l’introduzione di piccole modifiche: per esempio, l’introduzione di nuove Feste. 
Così, per disposizione del Concilio di Trento, San Pio V sottopose a revisione il Messale della Curia Romana, già in uso a Roma e in molte parti della Chiesa d’Occidente, pubblicandolo nel 1570, come Missale Romanum. Come dimostrato più sopra, non si può assolutamente parlare di un Messale nuovo a proposito di questo Messale detto di “ san Pio V ”.
Va inoltre tenuto presente che non solo nella Chiesa Latina, ma nemmeno in Oriente un Patriarca o Metropolita ha mai intrapreso e imposto d’autorità una sua riforma liturgica. Nel corso dei secoli, in Oriente come in Occidente, ha avuto bensì luogo un’organica evoluzione delle forme liturgiche.
[…]
Occorre altresì aggiungere che, rispetto ad un organico sviluppo a lungo termine, non vi sarebbe stato nulla a ridire se per esempio il Papa, in seguito ai decreti del Vaticano II, avesse consentito a qualche novità “ ad libitum ” o l’avesse permessa “ ad experimentum ” senza che ciò comportasse un mutamento del Rito.
Il mutamento del Rito non è avvenuto soltanto attraverso l’Ordo Missae del 1969, ma anche attraverso una riforma di vasta portata del calendario liturgico. L’aggiunta o l’eliminazione della Festa di un Santo di certo non avrebbe di per sé modificato il Rito. Lo hanno invece modificato la quantità e la qualità delle innovazioni introdotte nell’ambito complessivo della riforma liturgica, per cui ben poco è rimasto com’era prima.
 
 

[ dalla rivista francese Una Voce]

Viceversa [la Messa Romana] la si volle sopprimere e sostituire con una liturgia nuova, tirata insieme frettolosamente e, diremmo, artificialmente: il Ritus Modernus. E in modo sempre più chiaro ed allarmante si vede apparire lo sfondo teologico di questa riforma!
Era facile ottenere una più attiva partecipazione dei fedeli ai Santi Misteri, secondo le disposizioni conciliari, senza bisogno di sconvolgere il Rito tradizionale. Ma i riformatori non miravano ad ottenere detta più attiva partecipazione dei fedeli, miravano a fabbricare un Rito che interpretasse la loro nuova teologia, quella stessa che sta alla base dei nuovi catechismi scolastici.
Già ora se ne vedono le conseguenze disastrose, che si riveleranno appieno solo nel giro di cinquant’anni.
Per arrivare ai loro fini, i progressisti hanno saputo molto abilmente sfruttare l’obbedienza alle prescrizioni romane dei sacerdoti e dei fedeli più docili. La fedeltà e il rispetto dovuto al Padre della Cristianità, non esigono tuttavia una accettazione, sprovvista del dovuto senso critico, di tutte le novità introdotte nel nome del Papa. 
La fedeltà alla Fede, prima di tutto! 
Ora, la Fede mi sembra messa in pericolo dalla nuova liturgia: anche se non oso dichiarare invalida la Messa celebrata secondo il Ritus Modernus.
Non vediamo forse la Curia Romana e i Vescovi, quegli stessi che ci vorrebbero costringere, con le loro minacce, ad adottare il Ritus Modernus, trascurare il loro specifico dovere di difensori della Fede, permettendo a dei professori di teologia di scalzare i dogmi più fondamentali della nostra Fede, e ai discepoli dei medesimi di propagare dette opinioni ereticali in periodici, libri e catechismi?

Il Ritus Romanus resta l’ultimo scoglio sicuro in mezzo alla tempesta. I novatori lo sanno benissimo. Da qui il loro odio forsennato contro il Ritus Romanus, che combattono sotto pretesto di combattere una mai esistita Missa Tridentina.

Conservare il Ritus Romanus non è questione di estetica: è per la nostra Santa Fede questione di vita o di morte.
 


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(Ottobre 2008)


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