IL  MOTU PROPRIO
SUMMORUM PONTIFICUM CURA
compie un anno

Il testo: considerazioni e commenti

Ci fu abrogazione ?


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Presentazione
Le premesse
Una curiosa lettura del Breve esame critico
1988-2008 - un anniversario nell'annivesario
Il testo del Motu Proprio: considerazioni e commenti
Ci fu abrogazione ?
La lettera di accompagnamento: considerazioni e commenti
Le reazioni
Le obiezioni
L'applicazione
Le prospettive
Ultima ora
Appendice - Canon Missae
Appendice - Ritus romanus e Ritus modernus
Luoghi e orari della S. Messa
Istruzioni per l'uso



Ogni volta che si discute di questioni che contengono dei dubbi, anche lievi, si ha la cattiva abitudine di impostare una diatriba essenzialmente canonica. Non che la cosa non sia importante e necessaria, ma spesso accade che la disamina degli aspetti giuridici finisca per far perdere di vista la realtà delle cose, scambiando la teoria con la pratica.
Se vivessimo in una civiltà ancora informata prevalentemente da sani principi, lo scarto tra teoria e pratica sarebbe minimo, ma questa nostra, a volerla chiamare ancora così, è una civiltà disordinata, falsa e ingannevole che si regge solo su convenzioni umane partorite da una mentalità che rifugge da tutto ciò che non riesce a ridurre entro i limiti angusti della sua limitatezza. 
Il contrappeso tipico di tempi come questi è l’elemento normativo, il rispetto delle regole, come si usa dire oggi. Perso di vista il contenuto, è rimasto il guscio vuoto del contenitore, che ognuno riempie a suo piacimento e a seconda delle convenienze.
È quello che accade in campo religioso, per esempio. 
Non essendo più in grado di cogliere la differenza tra vera e falsa religione, si esalta il rispetto formale di tutto ciò che si autodefinisce come religioso, foss’anche una palese imbecillità.

A riguardo del Cattolicesimo, in questi ultimi 40 anni è accaduta la stessa cosa in campo pastorale, liturgico e dottrinale. L’attenzione ha finito con l’essere puntata sul rispetto delle regole: se una cosa rientrava in tale rispetto, doveva essere considerata corretta, anche se cozzava contro ogni logica elementare, anche se contraddiceva l’insegnamento impartito dalla Chiesa per duemila anni. Una volta messo per iscritto che la Messa era quella, quella nuova, non era possibile dire più niente, ogni considerazione seria sul contenuto reale di questa nuova Messa, sulla sua valenza rituale, sulla sua portata spirituale, doveva considerarsi provocatoria: il Messale è stato promulgato ufficialmente!
Questo modo poco serio di considerare questioni così importanti ha fatto sì che la misura di ogni cosa fosse la sua presentazione normativa. Una sorta di tabù.

La Messa moderna è un coacervo di riti diversi partoriti dalla fantasia dei celebranti ? dice qualcuno - è un caos regolamentato ? conferma qualcun altro. 
Errore - si risponde -, andate a leggere il Messale, andate a leggere l’Institutio generalis. Sono questi a fare testo, non gli abusi perpetrati qua e là da qualche celebrante.  E questo anche di fronte alla totale e ostentata difformità tra i testi e le celebrazioni, come è accaduto, per esempio, in tante celebrazioni papali.
In qualche modo si potrebbe dire che, in questi 40 anni ci si è proccupati  primariamente di rincorrere i mutamenti, le contingenze e le opinioni personali o di gruppo, incuranti del fatto che fossero contrari alla Tradizione, anzi pretendendo di adeguare ad essi gli stessi principi cattolici e la stessa Tradizione cattolica. Ne sono la prova le catechesi e le pratiche celebrative di tanti moderni movimenti ecclesiali, che continuano a ricevere il placet della Santa Sede.
La potenza del tabù della normativa ha permesso che si giungesse fino all’assurdo di legittimare oggi ciò che fino a ieri era dichiarato illegittimo: come è accaduto per la Comunione sulla mano.

È in questa ottica che va considerata la questione della abrogazione del messale tradizionale.
A partire da quanto dichiarato nel Motu Proprio Summorum Pontificum cura, che all’ultimo comma dell’articolo 1 contiene l’inciso, “e mai abrogato”, si è aperta la corsa a dimostrare l’esattezza di quanto così affermato, da un lato, o la sua inconsistenza, dall’altro.

Incominciamo col dire che indipendentemente da tutto, nei fatti, il Messale tradizionale è stato vietato, ed è stato vietato fino al punto di far derivare da questo divieto dei provvedimenti canonici di condanna. La volontà di abrogare il Messale, quindi, anche se non espressa nella lettera, è stata manifesta nella pratica, con il determinante sostegno delle censure e di ogni sorta di provvedimenti disciplinari.
Ora, visto che è stato Paolo VI a promulgare il nuovo Messale che, di fatto, ha lo scopo di abolire il precedente. Chiediamo a lui cosa ne pensi.

Nella famosa allocuzione al Concistoro Segreto del 24 maggio 1976 egli affermò: " Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II ", e rafforzò questa affermazione precisando che: " L’adozione del nuovo “Ordo Missae” non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo."
Questa precisazione è davvero interessante, poiché contiene delle forme espressive che ritroviamo oggi nel Motu Proprio Summorum Pontificum cura. Ma fermiamoci adesso a Paolo VI. 

Egli continua dicendo che il nuovo Messale è obbligatorio e sostitutivo di quello tradizionale secondo la stessa logica del 1570: " Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino ".
Questa affermazione aiuta a capire l’intenzione di Paolo VI e il suo personale modo di vedere le cose della Chiesa. Senza approfondire questa affermazione si rischia di infilarsi in un vicolo cieco.
Difficile dire quanto Paolo VI fosse del tutto cosciente della portata di tale dichiarazione, o quanto ci fosse di contingente e di strumentale in tutta quella allocuzione. È da tenere presente, infatti, che tale allocuzione è innanzi tutto un duro attacco contro i fedeli tradizionali, con particolare riferimento a Mons. Lefebvre, rei di opporsi alle riforme postconciliari e quindi allo stesso Paolo VI.  Egli ribadisce più volte che in quanto Papa ha l’autorità di fare quello che fa e di esigere l’ubbidienza, ma è chiaro che a leggere la predetta affermazione sorgono dei gravi dubbi sulla corretta fondatezza di queste sue pretese.

Paolo VI non poteva esigere la stessa ubbidienza di San Pio V per il semplice motivo che San Pio V, nell’applicare il Concilio di Trento, non solo ne seguì il disposto, ma non toccò neanche una parte del corpus del Messale tradizionale. Per di più, San Pio V lasciò in vigore tutti i riti che potessero vantare una vetustà di almeno 2 secoli. Paolo VI, invece, disattese il disposto della Sacrosanctum Concilium del Vaticano II, si inventò un Messale del tutto nuovo che sovvertiva quello fino ad allora usato dalla Chiesa, e vietò tassativamente l’uso del Messale tradizionale dall’oggi al domani. 
Non v’è alcun paragone tra San Pio V e Paolo VI, il primo seguì l’uso plurisecolare della Chiesa, il secondo lo ignorò deliberatamente e commise volutamente una serie di incredibili abusi. 

A queste condizioni è impossibile chiamare in causa l’autorità del Sommo Pontefice: Paolo VI non aveva alcun titolo per farlo.
In effetti, va sempre tenuto presente che un papa ha l’autorità di adattare la liturgia e la dottrina, ma non  l’autorità di cambiarle. Se è vero, come è vero, che esse derivano direttamente dagli Apostoli e quindi da Nostro Signore, non solo i papi non possono cambiarle, ma hanno il dovere di trasmetterle come le hanno ricevute, adattandone certe forme e consolidandone la sostanza.
Non v’è dubbio allora che, a questo punto, emerge una gravissima questione: o Paolo VI si sbagliava pensando che anche San Pio V avesse fatto come lui, e la cosa sarebbe grave, o sapeva come stavano le cose e riteneva opportuno presentarle a modo suo, che sarebbe molto più grave. In ogni caso, non solo il tentativo di obrogazione, non ha alcun fondamento, per la natura stessa della liturgia tradizionale, che non è neppure abrogabile, ma sono sostanzialmente illegittimi tutti gli atti che direttamente o indirettamente sono derivati da questo tentativo. 
È per questo che nel Motu Proprio Summorum Pontificum cura si afferma tranquillamente che il Messale tradizionale non è mai stato abrogato.

Questo, però, rende più complicata la questione, visto che  lo stesso Motu Proprio conferma l’anomalia del Messale e della liturgia moderne che, contro ogni coerenza, continuano a rimanere in vigore, insieme a tutte le conseguenze che ne sono derivate e che continuano a derivarne;  di cui la prima e capitale è l’impossibilità di poter parlare legittimamente di forma ordinaria e di forma straordinaria. Se il Messale tradizionale è sempre in vigore è gioco forza ritenere che il nuovo è illegittimo. Ma, anche a voler sorvolare su questo aspetto, la logica conseguenza della mai avvenuta abrogazione o della impossibile obrogazione è che la forma ordinaria del Rito Romano è inevitabilmente quella tradizionale e semmai la straordinaria potrebbe essere quella moderna. Diversamente ci si trova al cospetto di una incoerenza ingiustificata.
 


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(Ottobre 2008)


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