S. Ecc. Mons. Bernard Tissier de Mallerais
della Fraternità Sacerdotale San Pio X


LA FEDE IN PERICOLO PER LA RAGIONE

ERMENEUTICA DI BENEDETTO XVI

CAPITOLO 6 - PERSONALISMO ED ECCLESIOLOGIA


Questo studio è stato pubblicato sul n° 69 (estate 2009) della rivista Le Sel de la Terre - Intelligence de la foi -  Rivista trimestrale di dottrina tomista a servizio della Tradizione
La rivista, curata da Padri Domenicani collegati alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, è una pubblicazione cattolica di scienze religiose e di cultura cristiana, posta  sotto il patronato di San Tommaso d’Aquino, in forza della sicurezza della dottrina e della chiarezza d’espressione del “Dottore Angelico”. Essa si colloca nel quadro della battaglia per la Tradizione iniziata da
Mons. Marcel Lefebvre e si presenta in maniera tale da potersi rivolgere ad ogni cattolico che voglia approfondire la propria fede.


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Lo studio in formato pdf

Vale la pena soffermarsi un po’ sul modo in cui il personalismo ha penetrato l’ecclesiologia, cioè la teologia della Chiesa.

La Chiesa, comunione nella carità

Applicato alla società spirituale, la Chiesa, il personalismo di Scheler, di Buber e di Wojtyla, che ho analizzato nel capitolo 2, fa vedere la Chiesa come una semplice comunione nella carità, sfumando la comunione fondamentale nella vera fede. Da qui deriva l’ecumenismo, perfino allargato a tutte le religioni, come nell’incontro eterogeneo di Assisi del 27 ottobre 1986, che ha riunito i rappresentanti delle «religioni mondiali», se non per pregare insieme, quanto meno per «essere insieme per pregare».

«L’unità creaturale» della «famiglia umana», assicurava Giovanni Paolo II, è più grande delle differenze di fede, che derivano da un «fatto umano». «Le differenze sono un elemento meno importante in rapporto all’unità che invece è radicale, fondamentale e dominante (163)».

Certo, gli uomini sono nati tutti da Adamo, in lui riconoscono il loro padre comune e per lui formano una famiglia. Inoltre, per il fatto che l’uomo è creato a immagine di Dio, cioè dotato di intelligenza, egli è in grado, a differenza degli altri animali, di stringere legami d’amicizia con i suoi simili. Esiste dunque potenzialmente una certa fraternità universale tra tutti gli uomini (164).
Tuttavia, il peccato originale, e più tardi il peccato di Babele, hanno disgregato la famiglia umana in un ammasso di «familiae gentium peccati vulnere disgregatae (famiglie di popoli disgregati dalla ferita del peccato)», come dice l’orazione della festa di Cristo Re.
Sicché, per rendere reale la fraternità universale tra tutti gli uomini, occorre un principio riparatore che possa abbracciare tutta l’umanità.
Ora, tale principio è uno solo: Cristo. «Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo (165)» (I Cor 3, 11).
La bella orazione (colletta) del giovedì di Pasqua mette bene in evidenza il contrasto naturale e la sintesi soprannaturale tra l’universalità delle nazioni e l’unità della fede:

O Dio, che raduni i diversi popoli nella confessione del tuo nome, fa che nei rinati dal fonte battesimale una sia la fede delle menti e la pietà delle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo… (166).

Non v’è altra società universale possibile se non la Chiesa, o forse la cristianità. La bella invocazione del Veni Sancte Spiritus lo proclama:

Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore: tu che, nonostante la diversità delle lingue, hai riunito le nazioni nell’unità della fede (167).

Lo Spirito Santo, legame di carità del Padre e del Figlio, è anche il motore dell’unità di tutti i diversi popoli, che lui riunisce nell’unità della fede. Su questa unità di fede si fonda la fraternità soprannaturale dei cristiani, di cui Gesù dice: «…voi siete tutti fratelli. […] perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo» (Mt 23, 8-9) (168).
Ma la pura comunione di carità, nella quale consisterebbe la Chiesa secondo i personalisti, non si limita ad elidere la fede, ma oscura anche la gerarchia. Eppure, se la Chiesa è combattente e pellegrina in terra è perché non è ancora in uno stadio finale, essa ha sempre una finalità terrena: la salvezza eterna. È questo fine che dà la sua forma alla moltitudine dei credenti e ne fa una moltitudine organizzata; e questo fine esige anche una causa efficiente umana per la sua acquisizione: la Chiesa è dunque necessariamente gerarchica. Questo costituisce una delle sue differenze con la Chiesa celeste. La Chiesa dei beati, già pervenuti al fine ultimo dell’uomo col possedere Dio inconcepibilmente, non ha più bisogno di gerarchie. Essa conosce solo la gerarchia dei santi, dei grandi e piccoli santi, sotto la santa Vergine Maria e sotto Cristo, solo capo, che li assomma e li unisce tutti in Dio suo Padre.
Anche l’idea conciliare della Chiesa come «popolo di Dio» tende a falsificare ciò che resta della gerarchia, la quale è vista solo come una diversità di «ministeri» nel popolo di Dio, già costituito essenzialmente a mezzo della comunione di carità dei membri, e non come una distinzione di istituzione divina costitutiva della formazione stessa della Chiesa.

I fedeli – dice il nuovo Codice di Diritto Canonico – sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo (169).

Alla radice di questa democrazia religiosa che costituisce la Chiesa comunione, vi è il personalismo. Il nuovo Codice di Diritto Canonico, che ho appena citato, consacra questa rivoluzione, Giovanni Paolo II non l’ha nascosto promulgandolo, il 25 gennaio 1983. Egli descrive così quella che lui stesso chiama la «nuova ecclesiologia»:

Fra gli elementi che caratterizzano l’immagine vera e genuina della Chiesa, dobbiamo mettere in rilievo soprattutto questi: la dottrina, secondo la quale la Chiesa viene presentata come il popolo di Dio e l’autorità gerarchica viene proposta come servizio (cf. Lumen gentium, 2. 3); la dottrina per cui la Chiesa è vista come «comunione», e che, quindi, determina le relazioni che devono intercorrere fra le chiese particolari e quella universale, e fra la collegialità e il primato (170).
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La Chiesa di Cristo «sussiste» nella Chiesa cattolica

A questa mal definita comunione dei membri della Chiesa si aggiunge l’idea di una comunione più o meno piena con i non cattolici, sulla base degli «elementi ecclesiali» che questi conservano malgrado la loro separazione. Fu durante il Concilio che il Pastore Wilhelm Schmidt suggerì a Joseph Ratzinger di finirla con l’affermazione dell’identità fra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica, identità riaffermata da Pio XII nella Mystici corporis (n° 13) e nella Divini Redemptoris (DS 2319). La formula proposta dal Pastore, e che Joseph Ratzinger trasmise ai vescovi tedeschi, invece di dire: «la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica», diceva: «la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica». Il relatore della commissione dottrinale spiegò che: «Subsistit in è impiegato invece di est affinché l’espressione concordi meglio con l’affermazione di elementi ecclesiali che si trovano altrove.» «È inaccettabile, - protesta Mons. Carli nell’aula conciliare -, poiché si potrebbe credere che la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica siano due realtà distinte, con la prima posta entro la seconda come in un soggetto.»
Ormai l’insegnamento conciliare riconosceva alle «Chiese e comunità ecclesiali» separate una «natura ecclesiale» e la costituzione Lumen gentium sulla Chiesa adoperava il Subsistit in, mentre la dichiarazione Unitatis redintegratio sull’ecumenismo, contro tutta la Tradizione, riconosceva che «queste Chiese e comunità separate, […], nel mistero della salvezza non son affatto spoglie di significato e di valore. Lo Spirito di Cristo infatti non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza» (UR n° 3). – Cosa impossibile, spiegava Mons. Marcel Lefebvre al Vaticano II, in poche righe luminose depositate al segretariato del Concilio nel novembre 1963:

Una Comunità, in quanto Comunità separata, non può godere dell’assistenza dello Spirito Santo, poiché la sua separazione è una resistenza allo Spirito Santo. Esso non può che agire direttamente sulle anime o usare dei mezzi che, di per sé, non portano alcun segno di separazione (171).

Lo stesso cardinale Ratzinger spiega il subsistit in: la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, non si dice che essa sussista altrove.

Con la parola subsistit il Concilio voleva esprimere la singolarità e la non moltiplicabilità della Chiesa cattolica: esiste la Chiesa come soggetto nella realtà storica (172).

Così, il subsistit significherebbe che la permanenza della Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica. Questa spiegazione non riflette l’intenzione reale del cambiamento. Del resto, Joseph Ratzinger, nello stesso testo precisa:

La differenza fra subsistit e est rinchiude però il dramma della divisione ecclesiale. Benché la Chiesa sia soltanto una e sussista in un unico soggetto, anche al di fuori di questo soggetto esistono realtà ecclesiali: vere Chiese locali e diverse comunità ecclesiali. Poiché il peccato è una contraddizione, questa differenza fra subsistit ed est non si può ultimamente dal punto di vista logico pienamente risolvere. Nel paradosso della differenza fra singolarità e concretezza della Chiesa da una parte e esistenza di una realtà ecclesiale al di fuori dell'unico soggetto dall'altra si rispecchia la contraddittorietà del peccato umano, la contraddittorietà della divisione. Tale divisione è qualcosa di totalmente altro dalla sopra descritta dialettica relativistica, nella quale la divisione dei cristiani perde il suo aspetto doloroso ed in realtà non è una frattura, ma solo il manifestarsi delle molteplici variazioni di un unico tema, nel quale tutte le variazioni in qualche modo hanno ragione ed in qualche modo non ce l'hanno (173).

In realtà, il peccato introduce la contraddizione solo nella volontà, la quale si rivolta contro i principi – in questo caso il principio di unità: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18) -. Ma il principio resta immutato, senza alcuna contraddizione interna. È il negatore impenitente del principio di non contraddizione che introduce la contraddizione nell’intelligenza e nei principi; il peccato non c’entra, se non il peccato contro l’intelligenza dei principi primi.
La verità è che le Chiese e comunità separate non hanno alcuna «natura ecclesiale», poiché manca loro sia la comunione gerarchica con il Romano Pontefice, sia la comunione nella fede cattolica. La nozione di comunione invocata da Joseph Ratzinger a riguardo è del tutto inadeguata. Commentando ciò che dice San Giovanni sulla comunione di carità per Cristo col Padre (1 Gv 1, 3-4), il cardinale dice:

Qui emerge in primo piano il punto di partenza della “communio”: l’incontro con il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che nell’annuncio della Chiesa viene agli uomini. Così nasce la comunione degli uomini fra di loro, che a sua volta si fonda sulla comunione con il Dio uno e trino. Alla comunione con Dio si ha accesso tramite quella realizzazione della comunione di Dio con l’uomo, che è Cristo in persona; l’incontro con Cristo crea comunione con lui stesso e quindi con il Padre nello Spirito Santo (174).

La nuova nozione di comunione come «incontro», proposta da Joseph Ratzinger, è in modo evidente tributaria del personalismo di Martin Buber, per il quale la relazione soggettiva «Io-Tu» libera la verità ultima sull’umano e apre sulla vera relazione tra l’uomo e Dio, il Tu eterno. Cristianizzata da Joseph Ratzinger, questa comunione-incontro è la comunione della carità? Non si sa. In ogni caso essa non è né la comunione di fede, né la comunione gerarchica, le quali sono tuttavia le due componenti essenziali della Chiesa.
(su)

NOTE

163  - GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai cardinali di curia, 22 ottobre 1986, DC, n° 1933, anno 1987, pp. 133-134.
164  - Vedi: PIO XII, enciclica Summi pontificatus, 20 ottobre 1939, in UTZ-GRONER-SAVIGNAT, Relations humaines et société contemporaine, Friburgo, ed. Saint-Paul, t. 1, pp. 17-19, n° 26-35.
165  - «Fundamentum enim aliud nemo potest ponere praeter id quod positum est, quod est Christus Jesus
166  - Deus, qui diversitatem gentium in confessione tui nominis adunasti: da, ut renatis fonte baptismatis una sit fides mentium, et pietas actionum. Per Dominum nostrum Jesum Cristum.
167  - Veni, sancte Spiritus, reple tuorum corda fidelium, et tui amoris in eis ignem accende, qui per diversitatem linguarum cunctarum gentes in unitate fidei congregasti. (Antifona dell’ufficio di Pentecoste).
168  - Si veda: JEAN CARMIGNAC, A l’écoute du Notre Père, ed. de Paris, 1971, p. 17.
169  - Codice di Diritto Canonico del 1983, can. 204, § 1.
170  - GIOVANNI PAOLO II, Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges (25 gennaio 1983), con la quale viene promulgato il nuovo Codice di Diritto Canonico.
171  - MONS. MARCEL LEFEBVRE, J’accuse le Concile, éd Saint-Gabriel, 1976, p. 34 [Accuso il Concilio, Editrice Ichthys, 2202, p. 68].
172  - J. RATZINGER, «Conférence sur l’ecclésiologie de Lumen gentium au congrés d’études sur Vatican II des 25-27 février 2000», DC 2223 (2000), p. 311 [Intervento sull’ecclesiologia della Costituzione Lumen gentium, al Convegno internazionale sull’attuazione del Concilio Vaticano II, 27 febbraio 2000. Pubblicato sul sito della Santa Sede, nella sezione della Congregazione per la Dottrina della Fede, tra “Alcuni discorsi e interventi di S. Em. il Cardinale Joseph Ratzinger”].
173  - Ibidem, p. 311.
174  - Ibidem, p. 305.
(su)

Indice

Prefazione 
Introduzione


Cap. 1 -    Ermeneutica della continuità
Cap. 2 -    Itinerario filosofico di Joseph Ratzinger
Cap. 3 -    Itinerario teologico di Joseph Ratzinger
Cap. 4 -    Un’esegesi esistenzialista del Vangelo
Cap. 5 -    Ermeneutica dei tre grandi dogmi cristiani
Cap. 6 -    Personalismo ed ecclesiologia
Cap. 7 -    Il personalismo politico e sociale
Cap. 8 -    Cristo Re rivisto dal personalismo
Cap. 9 -    La fede personalista di Benedetto XVI
Cap. 10 -  Un supermodernismo scettico

Epilogo: Ermeneutica dei fini ultimi

Postfazione: Cristianesimo e Lumi

Ringraziamenti


febbraio 2011

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