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S. Ecc. Mons. Bernard Tissier de Mallerais della Fraternità Sacerdotale San Pio X LA FEDE IN PERICOLO PER LA RAGIONE ERMENEUTICA DI BENEDETTO XVI CAPITOLO 9 - LA FEDE PERSONALISTA DI BENEDETTO XVI
Indice
Prefazione Introduzione Cap. 1 - Ermeneutica della continuità Cap. 2 - Itinerario filosofico di Joseph Ratzinger Cap. 3 - Itinerario teologico di Joseph Ratzinger Cap. 4 - Un’esegesi esistenzialista del Vangelo Cap. 5 - Ermeneutica dei tre grandi dogmi cristiani Cap. 6 - Personalismo ed ecclesiologia Cap. 7 - Il personalismo politico e sociale Cap. 8 - Cristo Re rivisto dal personalismo Cap. 9 - La fede personalista di Benedetto XVI Cap. 10 - Un supermodernismo scettico Epilogo: Ermeneutica dei fini ultimi Postfazione: Cristianesimo e Lumi Ringraziamenti Capitolo 9 La fede personalista di Benedetto XVI La fede, incontro, presenza e amore
Sperimentazione filosofica ed esperienza mistica L’autorità divina rimpiazzata dall’autorità umana Fede, incontro, presenza e amore Quando Joseph Ratzinger parla della fede, non si troverà mai un richiamo né all’oggetto della fede (le verità rivelate) né al motivo della fede (l’autorità di Dio sovranamente verace). Queste cose non sono negate, ma non sono mai richiamate. Al loro posto si trova un choc iniziale, l’incontro, la relazione interpersonale con Gesù, e il senso che questo incontro dà alla vita. Niente di questo è falso, ma questo non è la fede, è una visione personalista della fede. Il teologo di Tubinga, commentando «credo in te» (in Gesù Cristo), dice: La fede cristiana […]
è l’incontro con l’uomo-Gesù, per cui in tal incontro
percepisce il senso del mondo come persona. […] [Gesù] è
il testimone di Dio, […] Ma c’è dell’altro: egli non è
soltanto il testimone al quale crediamo… egli è addirittura la
presenza dello stesso eterno in questo mondo. Nella sua vita, nel suo
esistere per gli uomini senza alcuna riserva, si rende presente il
senso intrinseco del mondo, che si concede a noi in veste di amore: di
un amore che ama individualmente ciascuno di noi e… rende la vita degna
di essere vissuta (195)»
Incontro, presenza, amore…, non è la fede, tutto questo occulta l’oggetto della fede. Nel nostro Credo, scrive Joseph Ratzinger, la formula centrale non è «credo in qualcosa», ma «credo in te». – L’affermazione è vera, noi crediamo in Gesù Cristo, persona vivente (e bisogna credere anche alla sua divinità), ma la negazione («non credo in qualcosa») non è eretica? Essa nega infatti l’oggetto della fede, gli articoli di fede, i dodici articoli del simbolo degli Apostoli. Diventato Prefetto della sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger descrive così il cattolicesimo: Per questo non lo si
può mai esprimere solo a parole. Si tratta di inserirsi nella
vita di una compagine vitale, che abbraccia il tracciato della nostra
esistenza nella sua interezza. […] Ovviamente si possono indicare
alcuni punti essenziali (196).
E la fede consiste nel credere in un avvenimento, non tanto in un contenuto concettuale: L’essenziale (è) […]
che io divento cristiano nella misura in cui credo a questo evento. Dio
è entrato nel mondo e ha agito, dunque è un’azione, una
realtà, non solo un insieme di idee (197).
Un amico di Benedetto XVI, già suo istitutore, ha fornito questa testimonianza molto realista sull’anticoncettualismo di Joseph Ratzinger: Lo ha sempre inquietato
l’impulso a considerare la verità come un oggetto posseduto da
difendere. Non si sentiva a suo agio con le definizioni neoscolastiche
che gli apparivano come delle barriere, per cui quello che sta dentro
la definizione è la verità, e quello che ne sta fuori
è tutto errore. […] la verità è un Tu che ti ama
per primo. Secondo lui, Dio non si conosce perché è un
summum bonum che si riesce a cogliere e a dimostrare con formule
esatte, ma perché è un Tu che viene incontro e si fa
riconoscere (198).
Questa fede senza verità di fede, senza dogmi, o che quanto meno li deprezza, è la riduzione personalista di quella che fu la fede del fanciullo Joseph Ratzinger. La sua fede è divenuta, alla maniera di Max Scheler e di Martin Buber, l’incontro col «Tu» di Cristo. La sua fede è anche la «decisione fondamentale di percepire Dio e di accoglierlo», come in Gabriel Marcel, per il quale la fede è un avvenimento strettamente personale e in questo senso incomunicabile. In tal modo la fede cattolica è messa da un lato. La fede, la ferma adesione dell’intelligenza a delle verità rivelate, è passata sotto silenzio. L’autorità di Dio che rivela è fatalmente rimpiazzata dall’esperienza religiosa di ciascuno. (su)
Sperimentazione filosofica ed esperienza mistica Peraltro, la fede incontro sarebbe un’esperienza mistica? «Dio esiste, io l’ho incontrato», titolava André Frossard per narrare la sua conversione alla fede cristiana, grazia innegabilmente autentica. Ma appoggiarsi essenzialmente al sentimento di un incontro o all’impressione di un richiamo può condurre a un’illusione. La vera mistica si astiene dall’emozione: il mistero dell’incarnazione si è compiuto nella Vergine Maria senza che ella risentisse alcunché; tutto si è svolto nella pura fede. Il gusto di Cristo trasmesso dai doni di saggezza e d’intelligenza non è percettibile ai sensi: si basa sulla vera fede e corrobora la vera fede. Quali che siano le ricchezze che le grazie mistiche apportano alla fede, occorre ribadire ciò che ha insegnato il Padre Marin Sola: L’unica fonte oggettiva di
ogni conoscenza soprannaturale è la verità di fede:
«Accedentem ad Deum oportet
credere (chi vuole accedere a Dio è necessario che
creda)», dice San Paolo (Eb
11, 6). Da qui nasce la dipendenza essenziale e la subordinazione della
teologia speculativa o della teologia mistica nei confronti del
deposito rivelato e dell’autorità della Chiesa. Per la via
intuitiva dei doni dello Spirito Santo, la teologia mistica può
cogliere prima o più verità, ma
può raggiungere con anticipo solo ciò che è
contenuto implicitamente da sempre nel deposito rivelato (199).
Detto questo, bisogna dire che la fede che vuole «sperimentare su Dio» con concetti filosofici, sia esistenzialisti sia personalisti, non ha niente a che vedere con la mistica, né con la teologia mistica! Perché, una cosa è la profondità del mistero, davanti alla quale si ferma con ammirazione la mistica, altra cosa è l’intensità emozionale a cui si ferma l’idealista nella sua relazione interpersonale con Cristo. San Pio X, nella Pascendi, aveva già sottolineato come l’emozione e l’esperienza siano più proprie ad equivocare che a fondare la fede: E per fermo, rifacciamoci
alquanto, o Venerabili Fratelli, a quella esizialissima dottrina
dell’agnosticismo. Con essa, dalla parte dell’intelletto, è
chiusa all’uomo ogni via per arrivare a Dio, mentre si pretende di
aprirla più acconcia per parte di un certo sentimento e
dell’azione. Ma chi non iscorge quanto vanamente ciò si affermi?
[…] Di più, le fantasie, quali che esse siano, di un sentimento
religioso non possono vincere il senso comune: ora questo insegna che
ogni perturbazione od occupazione dell’animo non è di aiuto ma
d’impedimento alla ricerca del vero […] Ricorrono, a vero dire, i
modernisti per aiuto all’esperienza. Ma che può aggiungere
questa al sentimento? Nulla: solo potrà renderlo più
intenso: dalla quale intensità sia proporzionatamente resa
più ferma la persuasione della verità dell’oggetto. Ma
queste due cose non faranno si che il sentimento lasci di essere
sentimento, né ne cangiano la natura sempre soggetta ad inganno,
se l’intelletto non lo scorga; anzi la confermano e la rinforzano,
giacché il sentimento quanto è più intenso tanto a
miglior diritto è sentimento (200).
La differenza tra il vero credente, mistico quanto si vuole, e il falso credente, idealista multiforme, consiste nel fatto che il mistico si ritrae davanti al mistero e si dispone in adorazione, l’idealista si afferma come «Io» correlativo al «Tu», come soggetto che entra in interazione con l’oggetto della sua fede. Il personalista si afferma anche come un soggetto che entra in correlazione con un altro soggetto, il Tutt’Altro. – Al contrario, il teologo contemplativo, e nel contempo predicatore o insegnante, come San Tommaso d’Aquino, «non ha per scopo quello di confidare agli uditori dei sentimenti che nell’animo del dottore suscita la verità rivelata, ma quello di consegnare questa verità (201)» (su)
L’autorità divina rimpiazzata dall’autorità umana Se, con i filosofi derivati da Kant, si ammette che il soggetto fa parte dell’oggetto, allora il credente fa parte della fede. Al tempo stesso, il motivo formale della fede (l’autorità divina rivelante) fa posto all’esperienza umana, sprovvista di autorità e fonte d’illusione. Si può vedere come Benedetto XVI, nella sua enciclica Spes salvi del 30 novembre 2007, al n° 7, non comprenda più la bella definizione che San Paolo dà della fede: «Fides est substantia sperandarum rerum, argumentum non apparentium (la fede è la sostanza delle cose che si sperano, la prova delle cose che non appaiono)» (Eb 11, 1). Qual è dunque questa «prova delle cose invisibili», se non l’autorità di Dio che rivela queste cose? E non è solo su questa autorità divina che riposa la certezza del credente? Noi aderiamo, dice il concilio Vaticano I, alla divina verità «propter auctoritatem Dei revelantis (per l’autorità di Dio che rivela)» (Dz1789 e 1811) [DS 3008 e 3032]. Ora, è proprio il caso di constatarlo: tutto questo sfugge a Benedetto XVI. Nelle encicliche attuali e nella predicazione moderna vi è la tentazione di presentare il messaggio evangelico come una testimonianza personale del predicatore, accompagnata dalle sue personali reazioni. Si tratta di una confusione. Solo gli Apostoli sono stati dei testimoni, solo loro hanno testimoniato di ciò che avevano toccato, visto e sentito. Si ascolti per esempio la testimonianza di San Giovanni Apostolo: Ciò che era fin dal
principio, ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo veduto
con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò
che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita
(poiché la vita si è fatta visibile e di ciò
rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso
il Padre e che si è resa visibile a noi), quello che abbiamo
veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché voi pure
siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e
col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo
perché la vostra gioia sia perfetta [1 Gv 1, 1-4].
Ma i successori degli Apostoli: i vescovi, e i sacerdoti che li assecondano nella santa predicazione, non sono dei testimoni dei fatti evangelici, come la resurrezione o l’ascensione di Gesù Cristo; essi sono dei semplici messaggeri, dei trasmettitori, di un deposito sacro che hanno ricevuto e che devono consegnare tale e quale. Certo, la forza di convinzione di fede che metteranno nel proclamare il messaggio divino è necessaria per muovere le passioni e la volontà dei loro uditori, ma, al pari del loro stato d’animo per la loro relazione intersoggettiva con Dio, essa non inficerà il contenuto di questo messaggio divino. Evitiamo - diceva Mons.
Marcel Lefebvre ai sacerdoti - di avere questa tendenza, questo difetto
di considerare la fede come una scienza e di cercare di penetrare i
grandi misteri della fede con la nostra umana intelligenza, cercando di
comprendere tali misteri come coloro che si dedicano alla medicina o ad
altre scienze umane. Sarebbe un grosso ostacolo che impedirebbe di
aiutare le anime a credere. Poiché la fede consiste nell’aderire
a queste verità in forza dell’autorità di Dio che ce le
ha rivelate e non in forza della scienza che possiamo averne (202).
Aderire ai misteri di Dio per i lumi della mia ricerca o sulla base del calore personale della mia relazione interpersonale con Cristo, del legame tra il mio «io» e il suo «Tu», significa acquisire del mistero un’opinione, piuttosto che aderirvi fermamente per fede divina: Coloro che si rivolgono alla
Chiesa per chiedere la fede, dice Mons. Lefebvre ai sacerdoti, hanno
già la convinzione che la fede che dovete dar loro viene da Dio.
Se dunque essi si sottomettono già all’autorità di Dio,
non chiedono altro che una cosa: che si insegni loro ciò che ha
detto Dio […] Occorre dunque affermare le verità di fede. I
fedeli si aspettano questo perché in questa affermazione della
fede c’è tutta l’autorità di Dio che passa attraverso di
voi. Non è una vostra opinione gratuita. Non è la vostra
autorità che mettete avanti, ma l’autorità di Dio (203).
(su)
NOTE 195 - J. RATZINGER, Foi chrétienne hier et aujourd’hui, pp. 36-37. [Introduzione al Cristianesimo, 1969, Queriniana, Brescia, nuova ed. 2000, p. 46]. 196 - J. RATZINGER, Le sel de la terre, 2° ed., Flammarion, 2005, p. 19. [Il sale della terra, Edizioni San Paolo, 2005, p. 21]. 197 - J. RATZINGER, Le sel de la terre, 2° ed., Flammarion, 2005, p. 21. [Il sale della terra, Edizioni San Paolo, 2005, p. 22]. 198 - ALFRED LÄPPLE, «Témoignage», in 30 Jours, 24° année, 2006, n° 1-2, p. 60 [«Testimonianze» «Quel nuovo inizio che fiorì tra le macerie», in inserto cultura di 30 Giorni, n° 1-2, gennaio/febbraio 2006]. 199 - MARIN SOLA O. P., L’Évolution homogène du dogma, 2° ed., Friburgo (Svizzera), Lib. Saint-Paul, t. 1, 1924, p. 375. 200 - SAN PIO X, enciclica Pascendi, n° 54, Dz 2106 [nelle edizioni successive questa parte non è più riportata. Il testo completo dell’enciclica è reperibile sul sito della Santa Sede). 201 - DTC, «Thomas d’Aquin»: vedi il § su l’«oggettività del suo insegnamento dottorale». 202 - MONS. LEFEBVRE, omelia a Jurançon, 29 luglio 1979. 203 - MONS. LEFEBVRE, omelia a Jurançon, 29 luglio 1979. (su)
Indice Prefazione Introduzione Cap. 1 - Ermeneutica della continuità Cap. 2 - Itinerario filosofico di Joseph Ratzinger Cap. 3 - Itinerario teologico di Joseph Ratzinger Cap. 4 - Un’esegesi esistenzialista del Vangelo Cap. 5 - Ermeneutica dei tre grandi dogmi cristiani Cap. 6 - Personalismo ed ecclesiologia Cap. 7 - Il personalismo politico e sociale Cap. 8 - Cristo Re rivisto dal personalismo Cap. 9 - La fede personalista di Benedetto XVI Cap. 10 - Un supermodernismo scettico Epilogo: Ermeneutica dei fini ultimi Postfazione: Cristianesimo e Lumi Ringraziamenti febbraio 2011 AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI |