Tempo di ripasso
Appunti di catechismo a cura di G. L. G.
7 DIO CREATORE
7.1 Ragione della Creazione
La Creazione è l’atto con cui Dio ha fatta ogni creatura, spirituale
e materiale, invisibile e visibile, dal nulla, cioè senza servirsi
né della sua propria sostanza, né di qualche cosa di preesistente,
né di intermediarii.
Dio era libero di creare o di non creare.
Nessuna necessità poteva costringere Dio a dare l’esistenza
agli esseri che sono fuori di Lui.
Non una necessità esterna, perché fuori di Lui non c’era
nulla.
Non una necessità interna, perché Egli era perfettissimo
e beatissimo da se stesso, e non poteva abbisognare di nulla, quindi :
Dio ha creato per puro movimento di amore, per il desiderio di espandere
la sua bontà sulle cose create.
La Creazione è la manifestazione della potenza e della sapienza
di Dio mosse dall’amore.
San Tommaso dice che Dio è l’essere perfettamente liberale,
(generoso), perché agisce non per sua utilità, (Egli è
perfetto e beatissimo in se stesso), ma per pura bontà. (14)
Dio, mosso dalla sua infinita bontà, volle e ama le creature
non come mezzi, ma come soggetti a cui comunicare gratuitamente la sua
stessa bontà e le sue divine perfezioni, senza nessun intrinseco
suo vantaggio.
Il Concilio Vaticano I, dogmatico, (1869-1870), dichiara :
Questo unico vero Dio, per bontà sua e per “onnipotente virtú”,
non allo scopo di aumentare o acquisire la sua beatitudine, ma allo scopo
di manifestare la sua perfezione attraverso i beni, che impartisce alle
creature, con liberissimo disegno, “insieme dall’inizio del tempo creò
dal nulla entrambe le creature, quella spirituale e quella corporale, cioè
quella angelica e quella mondana, e quindi la creatura umana costituita
dall’unione di spirito e corpo” (Conc. Lateran. IV ... ), (Denz.
3002).
Dante, nel Canto XXIX del Paradiso, da vero teologo canta :
Non per aver a sé di bene acquisto,
Ch’esser non può, ma perché suo splendore
Potesse, risplendendo, dir : Subsisto;
…
S’aperse in nuovi amor l’eterno amore.
7.2 Scopo della Creazione
Lo scopo della Creazione si articola in due fini, uno principale,
e uno secondario e subordinato.
Il fine principale è la gloria di Dio, ed è sempre
raggiunto.
Vedremo, in apposito paragrafo, come questo fine sia necessario
ed espressione della sua infinita bontà. Sempre nel medesimo
paragrafo vedremo come dal fine principale scaturisca il fine secondario.
Il fine secondario è il bene e la felicità della
creatura.
Vedremo, in apposito paragrafo, come il bene massimo e la felicità
somma della creatura consistano proprio nel dare gloria a Dio, in armonioso
accordo col fine principale della creazione.
Il fine secondario è anche un fine subordinato, in quanto
richiede il libero concorso della creatura stessa.
Vedremo, in apposito paragrafo, come il libero rifiuto a dare gloria
a Dio faccia mancare alla creatura il conseguimento del fine secondario,
ma non impedisca né diminuisca il conseguimento del fine primario.
7.2.1 La gloria di Dio, (fine principale)
Dio non è “egoista”, infatti abbiamo visto prima che la creazione
e le creature nulla possono aggiungere alla sua beatitudine, ma è
che Dio, essendo l’unico Dio, ed essendo il Dio infinitamente perfetto,
non può agire direttamente che per se stesso.
In altre parole: Dio, essendo infinito, non si può proporre
un fine limitato e finito, (cioè imperfetto), e la sua volontà
non può essere mossa che da un bene infinito, (cioè perfetto),
ma questo bene infinito non può trovarsi fuori di Lui, quindi è
il Creatore stesso che deve essere il fine della creazione.
Ne segue che il fine principale è la sua gloria, cioè
la manifestazione delle sue divine perfezioni.
La Sacra Scrittura enuncia spesso questa verità.
“Tutte le nazioni sono da Dio create per la sua lode, pel suo nome,
per la sua gloria” (et faciat te excelsiorem cunctis gentibus quas
creavit, in laudem, et nome, et gloriam suam: ut sis populus sanctus Domini
Dei tui, sicut locutus est), (Deut. XXVI, 19).
“Per se stesso Dio ha fatte tutte le cose” (Universa propter
semetipsum operatus est Dominus: impium quoque ad diem malum), (Prov.
XVI, 4).
“Tutti quelli che invocano il mio nome per la mia gloria li ho creati,
plasmati, formati!” (Et omnem qui invocat nomen meum, in gloriam meam
creavi eum, formavi eum, et feci eum), (Is., XLIII, 7).
“La gloria mia non darò ad altri, né l’amor mio ai
simulacri. Io sono il Signore, questo è il mio nome” (Ego Dominus,
hoc est nomen meum: gloriam meam alteri non dabo, et laudem meam sculptilibus)
(Is., XLII, 8).
“Io sono alfa ed omega, primo ed ultimo, principio e fine” (Ego
sum alfa et omega, primus et novissimus, principium et finis), (Apoc.
XXII, 13).
Che fine della Creazione sia la gloria di Dio è di fede, ed è
definito dal Concilio Vaticano I, dogmatico, (1869-1870),:
5. Se qualcuno… avrà negato che il mondo è stato creato
per la gloria di Dio: sia anàtema. (Denz. 3025).
Il fatto che il fine principale del creato è la gloria di Dio
comporta che il fine delle creature è dare gloria a Dio.
Di nuovo: ciò non è indice di “egoismo”, ma di massima
bontà, come vedremo meglio fra poco.
Per ora notiamo che se le creature hanno come fine ultimo il dar gloria
a Dio, allora certamente la massima gloria di Dio comporta che il Creatore
offra la felicità agli esseri liberi e razionali da Lui creati.
Vedremo piú avanti come Dio non avrebbe potuto essere piú
“altruista” o piú “generoso” che dando alle creature il fine di
rendergli gloria, (ricordiamoci che la gloria di Dio è completa
e perfetta in Lui stesso e che la gloria che gli rendiamo non accresce
la sua gloria o la sua felicità).
7.2.1.1 Necessità della creazione di creature libere
La gloria consiste in una clara cum laude notitia, (una chiara
fama accompagnata da lode); la clara notitia esige in chi dà
gloria l’intelligenza, e affinché alla notitia segua la laude
si esige in chi dà gloria anche la libertà.
Una creazione priva di persone libere - e solo per questo capaci di
riamare Iddio che ha riversato in noi una amabilità infinita, della
quale è infinitamente innamorato - non è possibile.
Un universo di pianeti e di stelle incapaci di rendersi conto di esistere,
e perciò indifferenti all’essere, non ha ragione di essere.
Un paradiso terrestre senza l’uomo non è credibile.
Le cose, gli esseri irragionevoli, sono creabili solo in quanto al
nostro servizio, come mezzi a nostra disposizione. Le cose, infatti, gli
esseri irragionevoli non sono capaci di tributare gloria al Creatore. (15)
Le cose non sono direttamente creabili: sono creabili solo subordinatamente
alla creazione di persone cui possano servire.
Solo le persone, angeliche e umane, sono direttamente creabili, perché
capaci di rendersi conto di essere, e dell’origine del loro essere, e nella
loro subordinazione all’Esistente nel quale vivono, si muovono, ed esistono:
persone che dopo essersi rese conto di tale subordinazione, coraggiosamente
la accettano, l’approvano, e si congratulano riconoscenti con Dio.
Essere contenti che Iddio sia Lui! Ecco il coraggio della verità,
l’umiltà che sboccia dalla libertà in questa vita, per durare
in Paradiso per sempre. (16)
7.2.2 La felicità delle creature, (fine secondario
e subordinato)
Il fine secondario e subordinato della creazione è la felicità
delle creature.
Lo vedremo in due modi, prima partendo, per cosí dire, da Dio,
e, poi, partendo invece dalla creatura.
Partendo da Dio: sappiamo da quanto detto prima che il fine delle creature
è il dare gloria a Dio. Per dare gloria a Dio la creatura
deve sapere su cosa tale gloria si basa. Per sapere deve vedere Dio, quindi
godere della visione beatifica di Dio, che è la massima felicità
possibile per una creatura, come vedremo in un successivo paragrafo. Ecco
quindi dedotto che Dio per fare la massima felicità delle sue creature,
(ragionevoli), non avrebbe potuto fare di piú e con maggior generosità
che assegnare loro il fine di dargli gloria.
Partendo dalla creatura: Dio per destinare la creatura, (ragionevole),
alla massima felicità la eleva con la sua grazia a un piano soprannaturale
e la fa degna del Paradiso. La felicità del Paradiso consiste nella
visione beatifica di Dio. Vedendolo ne godiamo e lo ammiriamo. Ammirandolo
lo riconosciamo e diamo gloria a Dio. Ecco quindi dedotto per altra via
che Dio ha fatta la felicità della creatura assegnandole il fine
di dargli gloria.
E siccome, come già detto, la gloria di Dio è già
piena e perfetta senza bisogno che gliela rendano le creature, l’assegnarci
il fine di dargli gloria è stato non un atto di “egoismo” ma un
atto di amore per noi che ci ha assicurata la massima felicità soprannaturale
di cui siamo capaci.
Vedendo Dio e il suo amore per noi, che giunge al punto di gradire
il povero amore che noi possiamo dargli, non potremo far a meno di riamarlo
con tutto il nostro cuore: vera felicità riamare, amati, Dio stesso!
Dio fa consistere la sua gloria nel donare, onde la Chiesa fonde nello
stesso ringraziamento il nostro bene e la gloria divina:
Gratias agimus Tibi propter
magnam gloriam tuam, (Ti rendiamo grazie per la gloria tua immensa),
(dal Gloria in
excelsis della S. Messa
tradizionale).
Tutti questi ragionamenti, e altri ancora, sono mirabilmente condensati
e spiegati nelle risposte alle domande del Catechismo di San Pio X :
13. Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita,
e per goderlo poi nell’altra, in paradiso. (17)
14. Il paradiso è il godimento eterno di Dio, nostra felicità,
e, in Lui, di ogni altro bene, senza alcun male.
15. L’inferno è il patimento eterno della privazione di Dio,
nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male senza alcun bene.
7.2.2.1 La visione beatifica
Abbiamo affermato che la massima felicità per una creatura è
raggiunta attraverso la visione beatifica di Dio: spieghiamo meglio.
La visione beatifica è una visione diretta di Dio quale Egli
è, (nella misura di cui è capace la creatura che è
finita),: non piú in specchio e in enigma, ma faccia a faccia.
(I Corinti, XIII, 12).
Questa visione diretta ci rende simili a Lui e, quindi, anche partecipi
della sua stessa felicità divina: Guardate quale immenso amore
ci ha donato il Padre, cosí che siamo chiamati figli di Dio e tali
realmente siamo… Carissimi, già adesso siamo figli di Dio, e ancora
non si manifestò quel che saremo. Sappiamo che quando si manifesterà,
saremo somiglianti a Lui, perché lo vedremo cosí come Egli
è, (I Giovanni, III, 1-2).
Osserviamo ancora che, per infinita bontà e miracolosa generosità,
Dio ci chiama a una felicità soprannaturale, cioè a una felicità
superiore a quella propria della condizione o natura di creatura creata,
creatura sia pur dotata di anima, e, quindi, capace di felicità
spirituale, ma non di visione diretta di Dio e di partecipazione alla natura
divina. (18)
7.2.2.2 Le creature dannate e la gloria di Dio
Atti di amore e di lode, (anche quelli verso chi ne è massimamente
e assolutamente degno, cioè Dio), per essere atti di vero amore
e di vera lode devono essere non obbligati o meccanici ma devono essere
volontari, cioè liberi.
Le creature razionali, (angeli e uomini), sono creature libere e quindi
possono rifiutarsi di dare a Dio l’amore e la lode che giustamente gli
spettano, (potremmo dire, con argomentare troppo umano, “che giustamente
si merita”), e possono voler staccarsi da Lui, scegliendo quindi per sé
invece del paradiso l’inferno che è, prima di tutto, rifiuto, odio,
e privazione di Dio Unico Vero Bene.
La creatura dannata non diminuisce la perfezione di Dio, (e quindi
nemmeno quella del Creato, e quindi nemmeno quella della gloria che il
Creato è chiamato a dargli), in modo analogo a quello per cui uno
specchio che riflette il mio volto non aumenta né diminuisce la
mia bellezza che in lui si specchia, sia che la rifletta bene, sia che
la rifletta male.
La creatura può perdere il suo fine, cioè la felicità,
(a causa del peccato volontario senza pentimento), ma Dio consegue sempre
il suo fine, perché se la creatura gli rifiuta omaggio e lo vuole
offendere con ostinazione sino all’ultimo respiro, Dio manifesterà
la sua gloria attraverso il rigore della sua giustizia, con una rivendicazione
eterna degli oltraggi a Lui indirizzati, mentre invece gli eletti glorificheranno
in perpetuo la sua misericordia.
Come tutto conferisce alla armonia di un concerto, sia le note luminose
che squillano dalle scale cromatiche piú alte, sia le note profonde,
i gemiti e i rantoli, che sembrano uscire dagli abissi tenebrosi, cosí
la bontà di Dio, inneggiata dai beati in giubilo, come la giustizia,
confessata dai dannati nello spasimo, sfoceranno in un unico: Santo,
Santo, Santo, il Signore Dio degli eserciti: i cieli e la terra sono pieni
della tua gloria. (19)
7.2.2.3 Le creature innocenti deformi e la gloria di Dio
A causa del peccato originale, (come vedremo piú avanti), entrarono
nel mondo la morte, la malattia, la sofferenza, la fatica, cose tutte che
possono indurre l’umana debolezza a dubitare della saggezza e della bontà
di Dio creatore e dare origine a tentativi di rimedio che rimedi non sono
perché vanno contro le leggi di Dio.
La sofferenza dell’innocente in questa vita, (ma non nell’altra), è
un mistero, mistero doloroso che Dio ci invita a sopportare come e perché
lo ha sopportato Lui sulla croce, e di cui ci ha mostrato il superamento
con la Sua gloriosa resurrezione, resurrezione gloriosa che sarà
poi anche la nostra.
Nelle circostanze in cui stiamo scrivendo il nostro pensiero va in particolare
al caso sempre piú frequente di bambini innocenti, non ancora nati,
ma di cui già si sa che sono malformati nel corpo e/o nella mente.
Per evitare ad essi una vita di pene, per porre termine allo strazio
della madre che sa di portare in grembo un figlio deforme, per sollevare
la famiglia da anni di fatiche e di sacrifici apparentemente inutili per
assisterli, per risparmiare allo stato spese ingenti, per tanti motivi
umanamente comprensibili ma, appunto, originati dalla umana debolezza tanto
da portare a decisioni disumane, sempre piú spesso si sceglie di
ucciderli provocando l’aborto, sotto la pressione di una società
atea egoista, che vuole ingannare e essere ingannata, e che addirittura
non rifugge dal considerare feti, neonati deformi, comatosi, alla stregua
di serbatoi di tessuti e di organi di riserva.
La Fede ha una risposta diversa.
Dio conobbe dall’eternità ciascuna delle creature razionali possibili
e di queste ne amò alcune al punto da dare loro l’esistenza e la
possibilità di godere di Lui nella visione beatifica, anche quelle
che a noi appaiono deformi nel corpo, (ma non lo sono nell’anima).
Il bambino mongoloide, quello anencefalico, quello con la spina bifida,
non gli sono apparsi meno belli, meno degni del Suo amore, meno degni di
esistenza, meno degni di amarlo e goderlo per l’eternità nella visione
beatifica, ma invece li ha creati, come noi.
Non ci sembri dunque indegna di essere vissuta e da sopprimere quella
vita che Dio ha amata al punto da crearla e da destinarla al Suo amore,
vita che nella vita eterna sarà consolata e compensata di quanto
ha sofferto e di quanto di meno ha avuto nella vita terrena.
Questi nostri fratelli, anzi, nella misura in cui la menomazione impedisce
loro di coscientemente peccare, sono piú sicuri di noi sani di raggiungere
il Paradiso e il fine per cui siamo stati tutti creati.
Concludiamo con un pensiero che per i genitori cristiani è di
consolazione, sia pur nell’ambito dell’eroismo cristiano.
Dio è Provvidenza e certo provvederà, non di meno ma
di piú, e con maggiore amore, alle Sue creature piú deboli.
Ciò farà prima di tutto affidandole a genitori che potenzialmente
siano migliori, piú buoni, piú capaci, piú santi,
moralmente piú forti di quelli che devono prendersi cura di bimbi
normali.
I genitori che Dio ha prescelto per il figlio piú gracile, piú
indifeso, piú povero di tutti, hanno, è vero, una croce speciale
e piú grande, ma essa non è punizione o vergogna bensí
segno di eccellenza, titolo di onore adesso, e segno di gloria futura.
NOTE
14 - Citiamo un autore a noi caro, C.S.LEWIS, I quattro amori: affetto,
amicizia, eros, carità, cap. sesto, ed. Jaca Book:
«La dottrina
secondo cui Dio non aveva necessità di creare non è una arida
speculazione scolastica; al contrario, è
essenziale.
Senza di essa non riusciremmo ad evitare quella concezione di Dio che non
posso definire altrimenti che
“dirigenziale”,
basata su un essere il cui compito, o natura, sarebbe quello di “far funzionare”
l’universo, con il quale
Egli si porrebbe
nel rapporto di un preside con una scuola, o di un direttore con un albergo.»
15 - Rendere l’uomo capace, unico fra le creature terrestri, di conoscere
Dio, di adorarlo, di pregarlo, di amarlo, gli conferisce
anche, per cosí
dire, una specie di sacerdozio regale in nome delle creature che non conoscono
Dio. “Gloria dell’uomo
è
conoscere Dio”, (Ger. 9, 24).
16 - Il testo, eccettuata la nota 15, è tratto dall’articolo
di Don Giuseppe Pace intitolato De misterio libertatis, ovvero: del
bene e del
male, pubblicato su Notizie n. 143, giugno 1989, Casella Postale
4, Torino.
17 - Si noti la progressione: goderlo, ma dopo averlo servito, servirlo,
ma dopo averlo amato, amarlo, ma dopo averlo
conosciuto.
18 - La miglior comprensione della felicità che è associata
alla visione beatifica ci dà anche una terrificante e tremenda
intuizione di
cosa sarà, simmetricamente, la sofferenza che è associata
alla dannazione eterna!
19 - I due periodi che precedono sono tratti, con qualche piccola variazione,
dal Nuovo corso quadriennale di Cultura
Teologica
- Anno II - Teologia dogmatica di Mons. Attilio Vaudagnotti
segue
Vai alle parti seguenti
8
8.3
8.4
8.4.3
8.4.5
8.4.6
9
9.3
9.4
9.5
9.5.3
9.5.4
9.5.5
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