Né scismatici né scomunicati

parte settima


Articolo della Fraternità San Pio X






San Roberto Bellarmino




Situazione «straordinaria» nella Chiesa

La frattura tra unità di fede e una presunta «unità di comunione» temporanea con una gerarchia che omette, tace, o altera la dottrina ricevuta da Dio e trasmessa dalla Chiesa, crea nella Chiesa militante una situazione «straordinaria», cioè uno stato non ordinario e non regolare delle cose.

La situazione normale e ordinaria della Santa Chiesa cattolica esige che la gerarchia, nell’orientamento che essa ha la missione di proporre all’esterno, favorisca o almeno non contraddica l’orientamento che le ha dato il suo Capo invisibile inizialmente e che continua a darle per grazia (1).

Quando invece la gerarchia contraddice l’orientamento che Cristo ha dato e continua a dare e che nessuno ha il diritto di cambiare, nella cattolicità si crea inevitabilmente una situazione di conflitto e di malessere.

Di conflitto tra l’orientamento che si vorrebbe costringere ad ammettere e il sensus fidei dei cattolici; tra l’asse di governo che si impone e la coscienza che ogni vescovo ha, o almeno dovrebbe avere, della propria missione.

Di malessere nei fedeli, che si vedono aggrediti nella Fede da quelli stessi che dovrebbero esserne i custodi e i maestri, così che si trovano obbligati in coscienza a resistere a costoro, che, in tempi normali, avrebbero il dovere  di seguire come Pastori.

Di malessere nei vescovi che sentono in coscienza il dovere di resistere (che non lo facciano per i motivi più diversi è un’altra questione) all’Autorità che ha il dovere di assicurare l’unità di governo nella Chiesa, Autorità con la quale, in tempi normali, dovrebbero essere in comunione.

Questa situazione «straordinaria» nella Chiesa impone inoltre dei doveri straordinari a tutti.


Doveri straordinari dei laici

Accusati di non essere in comunione con la Chiesa militante, i laici rispondono con Santa Giovanna D’Arco: «Sì, mi unisco, ma “servo Dio per primo”».
Accusati di disobbedire al Papa, essi spiegano che «lo Spirito Santo è stato promesso ai Successori di Pietro, non perché rivelino una nuova dottrina, ma perché, con la Sua Assistenza, conservino in tutta la sua purezza ed espongano fedelmente la Rivelazione trasmessa dagli Apostoli, che è il deposito della fede» (2).

E che «il potere del Papa non è illimitato: non solo egli non può cambiare alcunché di ciò che è di istituzione divina (sopprimere la giurisdizione episcopale, per esempio), ma, posto lì per costruire, non per distruggere (2 Cor. 10), egli è obbligato dalla legge naturale a non seminare la confusione nel gregge di Cristo (3).

E in cuor loro essi gemono con Santa Caterina (4): «Santità, fate che io non mi lamenti di Voi con Gesù Cristo. Io non posso lamentarmi con altri, poiché Voi non avete dei superiori sulla terra».

In pratica, aggrappati alla dottrina e alla pratica tradizionali della Chiesa, essi resistono alle «novità» volute, incoraggiate o permesse dall’alto, credendo contro ogni apparenza umana e sperando contro ogni speranza umana, che il disorientamento passerà, perché «le porte dell’Inferno non prevarranno» e la Sposa di Cristo non «può perdere la memoria» della divina Tradizione (5).

La loro santa «obiezione di coscienza» sembra lacerare l’unità visibile della Chiesa: i cattolici ne soffrono, ma sanno di non esserne responsabili; soprattutto essi sanno che non possono agire diversamente.

Essi amano la Chiesa e professano fermamente il Primato di Pietro; essi sono pronti ad obbedire al suo Successore nella misura in cui egli agisce come Successore di Pietro; ma sanno anche che, nello stato straordinario di cose che vivono, hanno il dovere di resistere anche a lui o a chiunque agisca in suo nome, e questo «in nome di uno più grande di lui» (6).

La decisione del loro sensus fidei è confortata dalla grande teologia cattolica: Sant’Agostino, San Cipriano, San Gregorio nel commento del famoso episodio di Antiochia, Turrecremata, Bãnez, Vitoria, Suarez, Gaetano, San Roberto Bellarmino, San Tommaso d’Aquino e altri autori autorevoli insegnano che «il pericolo per la fede» e lo «scandalo pubblico», specialmente in materia dottrinale, rendono non solo lecito, ma giusto, resistere pubblicamente alla gerarchia e allo stesso Pontefice.

Lecito, perché «come è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così è lecito resistere al Papa che aggredisce le anime o turba l’ordine civile e, a maggior ragione, al Papa che tenta di distruggere la Chiesa (7).

Giusto, perché, con la fede, e in giuoco la salvezza eterna sua e di altri, e con la salvezza, la gloria che l’uomo deve al suo Creatore, secondo il piano divino; è alla Legge eterna di Dio che devono riferirsi tutti i rapporti naturali e soprannaturali tra le creature, nessuno ne è esente (8).

E’ per questo che San Tommaso scrive: Notiamo che, se ci fosse pericolo per la fede, i subordinati sarebbero tenuti a rimproverare i loro prelati, anche pubblicamente» (9).

E il Gaetano scrive: «Si deve resistere al Papa che distrugge apertamente la Chiesa» (10).


NOTE

1 – Cardinale Journet, L’Eglise du Verbe incarné, t 1, p. 525, nota I sulla chiesa «monocefala», cioè con un solo capo.
2 - Vaticano I, Costituzione dogmatica De Ecclesia Christi, Dz. 1836.
3 - Dictionnaire de Théologie catholique, t. II, col. 2039-2040.
4Lettera a Gregorio XI.
5 – Padre Calmel O.P., Brève Apologie pour l’Eglise de toujours, Difralivre [Breve apologia della Chiesa di sempre – Edizioni Piane, via Trilussa, 45 - 00041 Albano Laziale (Roma), tel. 06.62203489; posta elettronica: info@edizionipiane.it.].
6 - Cardinale Journet.
7 - San Roberto Bellarmino, De Romano Pontifice.
8 - Si veda Dictionnaire de Théologie catholique, t. IX, col. 876-877.
9 - IIa-IIæ q. 33 a 4 ad 2.
10 - De comparata auctoritate papæ et concilii.












 
febbraio 2025
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