Né scismatici né scomunicati

parte undicesima


Articolo della Fraternità San Pio X






Mons. Marcel Lefebvre consacra un nuovo vescovo


Nella parte precedente, la decima, abbiamo parlato dello stato e del diritto di necessità, che comporta cinque condizioni, di cui la prima è: 1) che esista veramente uno stato di necessità. Condizione che abbiamo già trattato.
Adesso trattiamo la seconda condizione: 2) che si sia cercato di porvi rimedio ricorrendo ai mezzi ordinari.


Tutti i mezzi ordinari sono stati esperiti

Per rimediare allo stato di necessità dei fedeli, Mons. Lefebvre fondò personalmente una Fraternità Sacerdotale, per assicurare alle anime la sana dottrina e i sacramenti, secondo il rito tradizionale della Chiesa cattolica.

Inoltre, seguendo l’esempio di San Paolo, egli non cessò di ricordare agli altri membri della gerarchia, anche pubblicamente, le loro responsabilità nei confronti della «verità del Vangelo» e delle anime, esponendosi così all’ostilità dei confratelli nell’episcopato, particolarmente quella dei vescovi francesi e dello stesso Paolo VI.

Per rimediare allo stato di necessità di coloro che erano chiamati al sacerdozio, Mons. Lefebvre fondò, su loro pressante richiesta, il Seminario di Ecône.

Quando questo seminario, noto e fiorente in mezzo al generale tracollo delle vocazioni e dei seminari, avrebbe dovuto chiudere in virtù di misure illecite e invalide, il suo Fondatore, vedendosi rifiutare ogni possibilità di ottenere giustizia dall’Autorità, procedette all’ordinazione dei sacerdoti, offrendosi così alla sospensione a divinis.

Per dodici anni gli fu rifiutata ogni riabilitazione e non gli fu resa la più elementare giustizia.
Dopo l’inedito «vertice» ecumenico di Assisi, Mons. Lefebvre annunciò che, data la sua età avanzata, si vedeva costretto a consacrare dei vescovi ausiliari, al fine di assicurare l’accesso al sacerdozio ai quasi 300 seminaristi che si preparavano nelle diverse case della Fraternità.

Fu allora che Roma gli fece intravedere la prospettiva di procedere alle consacrazioni con un mandato pontificio in buona e dovuta forma e senza sottoporsi, in cambio, a compromessi dottrinali.
Tuttavia, molto rapidamente, Mons. Lefebvre dovette constatare che la promessa, del tutto verbale e imprecisa, di tale mandato pontificio era solo un’esca ingannatrice.

Nella Nota diffusa il 16 giugno 1988 dalla Sala Stampa del Vaticano, si legge che, nel protocollo «destinato a servire da base» per la «riconciliazione», Mons. Lefebvre e la sua Fraternità si impegnavano «ad una attitudine di studio e di comunicazione con la Sede Apostolica, evitando ogni polemica sui punti insegnati dal Vaticano II o sulle riforme posteriori, che sembravano loro difficilmente conciliabili con la Tradizione».
Si trattava chiaramente di un «patto del silenzio».

L’esperienza di più di vent’anni aveva ampiamente dimostrato che argomentare «con una attitudine di studio e di comunicazione» col Vaticano era una cosa perfettamente inutile: il solo prevedibile risultato dell’«accordo» era la riduzione al silenzio dell’unica voce autorevole e inquietante che si sentiva nel momento di auto-demolizione generalizzata della Chiesa.

Quando poi si chiese a Mons. Lefebvre di domandare per iscritto perdono al Papa per degli errori mai commessi, i colloqui iniziati sulla promessa di «rispettare il carisma proprio» della Fraternità Sacerdotale San Pio X, apparvero chiaramente fondati su un equivoco, come dirà lo stesso cardinale Gagnon a l’«Avvenire» del 17 giugno 1988:
«Da parte nostra, noi abbiamo sempre parlato di riconciliazione, Mons. Lefebvre, invece, di riconoscimento. La differenza non è da poco. La riconciliazione presuppone che le due parti compiano uno sforzo, che si riconoscano gli errori passati. Mons. Lefebvre intende solo che si dichiari che è lui che ha sempre avuto ragione, e questo è impossibile» (1).

No, Mons. Lefebvre non voleva una dichiarazione secondo la quale solo lui avrebbe avuto ragione: il testo del «protocollo» lo dimostra; egli voleva semplicemente che non gli si chiedesse di riconoscere degli «errori» che non aveva commesso, perché questo sarebbe equivalso a rendere vana la battaglia per la Fede condotta in tutti quegli anni, battaglia che sarebbe stato meglio non iniziare mai se poi doveva concludersi con una negazione.

A questo punto dei colloqui, appariva evidente l’impossibilità di “collaborare» con una gerarchia il cui persistente orientamento avrebbe finito, presto o tardi, col chiedere a Mons. Lefebvre o alla sua Fraternità dei compromessi, degli abbandoni o quantomeno dei complici silenzi.

Fu allora che Mons. Lefebvre scrisse a Sua Santità Giovanni Paolo II: «Il momento di una collaborazione franca ed efficace non è ancora arrivato… Noi continueremo a pregare perché la Roma moderna, infestata di modernismo, torni ad essere la Roma cattolica e ritrovi la sua millenaria Tradizione. Allora, il problema della riconciliazione non avrà più ragione di esistere».

A questo punto, nell’impossibilità di ottenere un regolare mandato pontificio senza doversi piegare a dei compromessi, restava solo procedere alle consacrazioni, usando il diritto di deviare dalla legalità che si fonda sul diritto di necessità.

Attenersi alla norma disciplinare, che regge in questo dominio il potere di Ordine dei vescovi, avrebbe significato, nello stato di necessità in cui si trovavano le anime e i futuri sacerdoti, sacrificare la salvezza delle anime ad una prescrizione disciplinare di diritto ecclesiastico, cosa che significa propriamente invertire l’ordine: la disciplina infatti è ordinata alla salvezza delle anime e non il contrario.

E’ questo l’insegnamento di Gesù di fronte al formalismo farisaico: il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato (2).

La dichiarazione diffusa dalla Sala Stampa del Vaticano, secondo la quale la necessità «è stata creata» da Mons. Lefebvre, era dunque assolutamente infondata: lo stato di necessità in cui si trovavano le anime e i candidati al sacerdozio non era stato certo creato da lui; la necessità intervenuta in seguito di usare il proprio potere di Ordine al di fuori delle norme ordinarie che lo reggono per il bene della Chiesa, tale necessità era stata creata da chi aveva creduto di potere approfittare, per farlo cedere, dello stato di necessità in cui l’età poneva Mons. Lefebvre.


NOTE

1In un servizio del F. R. 3, diffuso sulla rete regionale, Jacques Devron interroga il Cardinale, che risponde: «Sta andando bene. Vediamo ovunque cose molto edificanti, eccellenti. Noi cerchiamo di andare ovunque, di vedere le opere che si stanno realizzando. Vediamo che si fa molto… Non potremmo chiedere un’accoglienza più calorosa. Si parla sempre del Papa, dell’amore che si ha per il Papa e per la Chiesa».
Come si vede, per ammissione dello stesso Cardinale, non era solo Mons. Lefebvre, ma tutti i «tradizionalisti» che desideravano essere pienamente riconosciuti.

2 - Marco 2, 27






 
marzo 2025
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