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Né scismatici né scomunicati parte quattordicesima Articolo della Fraternità San Pio X Parte prima
Parte seconda Parte terza Parte quarta Parte quinta Parte sesta Parte settima Parte ottava Parte nona Parte decima Parte undicesima Parte dodicesima Parte tredicesima Parte quattordicesima Pubblicato sul sito informazioni della Fraternità San Pio X ![]() Mons. Marcel Lefebvre Tutto quanto abbiamo detto fin qui, fa comprendere chiaramente: - che non esiste uno «scisma» di Mons. Lefebvre, come fu decretato con un’estrema superficialità, non senza una buona dose di malafede è – bisogna aggiungere – con una fretta sospetta; - che la scomunica non può colpire Mons. Lefebvre, perché «uno stato di necessità fonda un diritto di necessità, il quale, sia per il vecchio sia per il nuovo Diritto Canonico, rende non imputabile la violazione materiale della legge; - che la scomunica non colpisce neanche i fedeli che «vogliono aderire allo scisma di Mons. Lefebvre» (1): 1° perché non vi
è scisma;
2° perché i «tradizionalisti» non «vogliono» affatto aderire ad uno«scisma», al contrario: la loro ferma intenzione è di resistere a chiunque per poter rimanere nella Chiesa cattolica: essi non seguono la «persona» di Mons. Lefebvre, essi seguono Cristo e la Sua Chiesa, decisi a non deviare «né a destra né a sinistra» (Esodo). Se essi continuano a seguire Mons. Lefebvre è perché «sciunt vocem Eius» (Gv. 10, 4): essi riconoscono nelle parole di questo Pastore la Parola del loro Pastore Eterno, Colui sul quale i Pastori che si succedono nel tempo hanno l’obbligo di regolare il loro governo. E quando questi fedeli resistono agli altri Pastori nella Chiesa, non è per il piacere della ribellione, della disobbedienza o peggio: è perché «le pecore non seguono un estraneo, ma lo fuggono, perché non conoscono la voce degli estranei» (ibidem). Se vi è oggi una crisi nella Chiesa, come hanno riconosciuto Paolo VI e Giovanni Paolo II, e come ha ammesso il cardinale Ratzinger, è proprio perché la voce dei Pastori si è mutata in voce di estranei e perché le pecore non riconoscono più nella loro voce quella del loro Unico Pastore, la voce della Chiesa loro Madre. Il Signore, dicendo ai suoi Apostoli: «Chi ascolta voi, ascolta me», non ha conferito alla gerarchia la facoltà di farGli dire ciò che piace loro; come Lui ha insegnato quello che aveva appreso dal Padre (2), così la Chiesa insegna solo quello che ha appreso da Cristo (3). Qualsiasi distorsione, qualsiasi aggiunta, qualsiasi deviazione, qualsiasi contraddizione, in breve, ogni indebita ingerenza «personale» dei Pastori, nulla di tutto ciò appartiene alla Chiesa, e i suoi figli hanno il dovere di non aderirvi, se non vogliono uscire – questa volta realmente – dalla comunione con la Sposa del Verbo Incarnato. Conclusione Noi speriamo, e chiediamo con la preghiera, che questi ultimi avvenimenti siano un’occasione per tutti di riflessione e di illuminazione: - Per i fedeli, perché riprendano coscienza sia del loro dovere di glorificare Dio e di santificarsi, sia del loro corrispondente diritto – assolutamente inalienabile – di ricevere dai Pastori della Chiesa tutti i mezzi necessari per ottenere tale fine: una dottrina pura ed intera, dei Sacramenti correttamente amministrati e una liturgia che sia una confessione senza equivoci della Fede cattolica. - Per i Pastori, perché riprendano coscienza del loro dovere di dare alle anime tutti i mezzi necessari per raggiungere la salvezza eterna, perché è solo questo dovere che fonda il corrispondete diritto di essere ascoltati e seguiti dal gregge. - Per tutti, infine, perché venga ristabilito l’esatto concetto di «obbedienza», in virtù del quale si obbedisce a degli uomini perché si vuole obbedire a Dio, di modo che, in caso di conflitto, «si obbedisce a Dio piuttosto che agli uomini» (4). Da cui deriva che, se i Pastori si arrogano, come fanno da circa vent’anni, un potere di cui Cristo non li ha dotati e che è in contraddizione con il loro dovere di Pastori: di tacere, sminuire, cancellare anche un solo punto della verità ricevuta da Cristo e trasmessa dalla Sua Chiesa, di alterare l’amministrazione anche di un solo Sacramento, di imporre un unico rito liturgico ambiguo, il cattolico, il cui dovere è preferire la morte alla negazione di una sola verità di Fede o alla trasgressione di un solo Comandamento divino, ha il dovere di resistere in nome di Dio all’Autorità. Diversamente, nessuna «obbedienza» basterà a giustificarlo davanti a Dio per l’apostasia più o meno latente. NOTE 1 - Cfr. L’Osservatore Romano del 2.7.1988, Decreto della Congregazione per i Vescovi. 2 – Gv. 8, 28. 3 - Matteo 28, 20. 4 – Atti 5, 29; cfr. Roberti-Palazzini, op. cit., voce obbedienza. |