Tempo di ripasso

Appunti di catechismo a cura di G. L. G.
 

9.5.7.1    Carità, Legge, Autorità, Ubbidienza, Fedeltà, Coscienza.

L’uomo, in quanto creatura, è necessariamente limitato e quindi non può avere in sé tutte le doti che sarebbero necessarie per renderlo autosufficiente . 
Se però ad ogni uomo sono attribuite, nella misura in cui può riceverle, doti diverse e complementari, allora la mutua collaborazione, se presente, assicura a tutti ciò di cui hanno bisogno. 
Ogni persona, quindi, sotto certi aspetti comanda (è autorità) e sotto altri aspetti ubbidisce (è suddito) : il medico ubbidirà al prefetto per quanto riguarda l’ordine pubblico e il prefetto ubbidirà al medico per quanto riguarda la salute ed entrambi, quando guidano l’automobile, ubbidiranno al vigile urbano che dirige il traffico.

Abbiamo già visto, parlando del Corpo Mistico (paragrafi del gruppo 9.5.4), che 
… non può l’occhio dire alla mano "non ho bisogno di te", né similmente il capo ai piedi "non ho bisogno di voi" … le membra abbiano a vicenda sollecita cura del bene comune …” (I Corinti XII, 21-22, 25). 
… poiché a quel modo che in uno stesso corpo abbiamo molte membra, e nessun membro ha la stessa funzione, così tutti insieme formiamo un solo corpo in Cristo; e in particolare siamo membra gli uni degli altri …” (Romani XII, 4-5).
Nascono e si intrecciano così delle gerarchie che non vogliono dire né esaltazione né umiliazione della persona che comanda o che ubbidisce, in quanto trovano giustificazione e legittimità nel fatto che sono rivolte al bene di tutti e di ciascuno.

Un esempio sublime è dato dalla Sacra Famiglia. 
Sul piano della Grazia San Giuseppe, padre putativo di Gesù e sposo della Madonna, è certamente inferiore rispetto a Maria Vergine, piena di Grazia e Madre di Dio, ed entrambi sono certamente inferiori rispetto al Bambino Gesù, il Verbo di Dio incarnato; lo sanno e nella reciproca carità, senza esaltazione o umiliazione, gioiscono delle grazie proprie e di quelle che non hanno ma sono date agli altri.
Nella vita familiare, invece, è Gesù Bambino, che pur è Dio, che è soggetto alla Madonna e a San Giuseppe, come ai propri genitori, ed è la Madonna, che pur è Madre di Dio, che è soggetta a San Giuseppe, come al proprio marito, marito che è solo putativamente padre di Gesù Bambino Dio; lo sanno e lieti, nella reciproca carità, senza esaltazione o umiliazione, esercitano la autorità propria e ubbidiscono alla autorità altrui.
La Vergine Maria e San Giuseppe sono creature e tutto hanno da Dio, eppure in certo qual modo Dio, Verbo incarnato, ubbidisce e diventa debitore di due sue creature che lo nutrono e lo proteggono! (63

Nel paragrafo 9.5.7.1.1 “Carità e Legge” vedremo come dalla Sacra Scrittura risulti che autorità ed obbedienza fanno parte del piano divino ma devono essere vissute nella carità, (cioè nell’amore reciproco), ed entrambe nell’amore di Dio e della sua Legge.
L’autorità deve essere rivolta al Bene, (morale, prima, e materiale, poi), non essere arbitraria; deve essere effettiva, e anche caritatevole nei confronti delle eventuali deficienze di chi obbedisce. 
L’obbedienza deve anch’essa essere rivolta al Bene, cioè è dovuta nei limiti in cui il comando non va contro la legge di Dio, (la Legge Naturale, prima, e la Legge Rivelata, poi); deve essere obbedienza sincera, e anche caritatevole nei confronti delle eventuali deficienze di chi comanda.

Nei paragrafi del gruppo 9.5.7.1.2 “Autorità e Ubbidienza” studieremo, (in due situazioni diverse), i rapporti reciproci fra chi è investito del comando e chi è suddito.

Quando, infatti,  le cose vanno per il verso giusto allora l’autorità è percepita solitamente come cosa naturale, come una guida, un aiuto e una protezione nelle necessità; essa è, quindi, desiderata, ben accetta ed ubbidita; ad essa si fa ricorso con confidenza, e di buon grado si acconsente a quei sacrifici che chiedesse.
Tratteremo questo caso nei paragrafi del gruppo 9.5.7.1.2.1 “Autorità e Ubbidienza in Situazioni Normali”.

Quando, invece, c’è disordine e le autorità umane prevaricano le cose diventano difficilissime.

Occorre, da una parte, evitare che le autorità umane che tralignano siano confuse con l’Autorità, si facciano scudo di essa, (e delle relative prerogative), nell’operare il male, e, infine, le trasferiscano ingiustamente quel discredito che compete solo a loro quando tralignano. 

Occorre, d’altra parte, non ubbidire a comandi immorali e, invece, mantenersi fedeli secondo coscienza alla legge di Dio. Occorre, anche, limitare i danni e ristabilire il giusto ordine.

Tratteremo questa problematica nei paragrafi del gruppo 9.5.7.1.2.2  “Autorità e Ubbidienza in caso di tralignamento di chi è investito di autorità”. 
In particolare, il caso della resistenza alle autorità civili che tralignano (paragrafo 9.5.7.1.2.2.4.1) sarà piuttosto approfondito, anche a proposito di alcuni aspetti pratici.
Il caso della resistenza alle autorità religiose che tralignano sarà, invece, appena accennato nel paragrafo 9.5.7.1.2.2.4.2 perché l’argomento sarà trattato nel contesto, più adatto, dei poteri della Chiesa (paragrafi del gruppo 9.5.7.2), dei poteri del Papa (paragrafi del gruppo 9.5.7.3), e dei poteri dei Vescovi (paragrafi del gruppo 9.5.7.4), tuttavia certi aspetti non secondari saranno già affrontati nel paragrafo 9.5.7.1.3 “Fedeltà e Ubbidienza”.

Nel paragrafo 9.5.7.1.3 “Fedeltà e Ubbidienza” tratteremo, per così dire in una atmosfera di vita religiosa, ancora della necessità di ubbidire e di mantenersi fedeli ai comandi di Dio, nonostante eventuali comandi contrari di un superiore, e, perfino, di come si possa essere razionalmente e sinceramente ubbidienti a comandi di un superiore nonostante essi siano irrazionali (ma non contrari alla legge di Dio).

Concluderemo con il paragrafo 9.5.7.1.4 “ Coscienza e Decisioni “ in cui tratteremo della coscienza perché in tutte le problematiche sopra citate si giunge sempre al punto cruciale in cui, in date circostanze, la persona si trova sola a decidere (se comandare o no una certa cosa, se ubbidire o no a un certo comando) e, poi, a sopportarne responsabilità e conseguenze.
Un nostro atto umano è giudicato moralmente buono o cattivo non secondo l’oggetto materiale, ma secondo l’idea che abbiamo della sua bontà o della sua cattiveria quando lo compiamo. 
La coscienza è il giudizio pratico sulla liceità o meno di una nostra azione concreta che stiamo per compiere e la coscienza “certa” , sia essa vera od erronea, è la norma che si deve sempre seguire quando essa comanda o proibisce qualche cosa. 

Finiamo questo paragrafo introduttivo con una considerazione che deve essere sempre tenuta presente nel seguito, ma che non possiamo sempre ripetere. 
Essendo gli uomini imperfetti, non si potranno evitare, o per errore o per cattiveria, mutue ingiustizie fra chi è autorità e chi è suddito. 
Il bene comune, d’altra parte, e le possibilità pratiche, richiederanno spesso che la vittima accetti il sopruso e subisca.
In questi casi dolorosi e difficili da accettare occorre ricordare che Dio, in questa vita o nell’altra, saprà ripristinare la giustizia, non senza misericordia, e saprà consolare come Lui solo può: 
… Beati i mansueti perché essi erediteranno la terra, … , beati gli affamati e gli assetati di giustizia perché saranno saziati, beati i misericordiosi perché troveranno misericordia , … , beati i pacifici perché saranno chiamati figli di Dio, … , beati i perseguitati a cagione della giustizia, perché di loro è il regno dei cieli, …” (Matteo, V, 4, 6, 7, 9, 10). 
 

9.5.7.1.1   Carità e Legge

Nel piano di Dio la carità deve essere l’anima dei rapporti fra gli uomini che devono amarsi di un amore reciproco soprannaturale in Gesù Cristo, sopportandosi e perdonandosi a vicenda nelle umane debolezze.

… innanzi tutto abbiate tra voi una intensa carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati …” (I Pietro IV, 8).

… Tutti voi infatti siete figli di Dio, in Gesù Cristo mediante la fede. Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo . Non c’è più giudeo né gentile; non c’è più né schiavo né libero; non c’è più né uomo né donna ; poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù. …” (Galati III, 26-28).

… non esiste più greco e giudeo, circonciso e incirconciso, barbaro e scita, schiavo e libero, ma Cristo è ogni cosa ed è in tutti . Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza, sopportandovi e perdonandovi scambievolmente, se alcuno ha da dolersi di un altro, siccome Cristo vi ha perdonato così anche voi. Ma al di sopra di tutto questo rivestitevi della carità, la quale è il vincolo della perfezione …” (Colossesi III,  11-14).
… vi esortiamo pure, o fratelli: ammonite i neghittosi, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti. Badate che nessuno renda ad altri male per male, ma cercate sempre il bene e l’uno con l’altro e verso tutti. Siate sempre allegri. Non cessate di pregare. Per ogni cosa siate riconoscenti, poiché tale è la volontà di Dio nel Cristo Gesù a vostro riguardo. Non estinguete lo spirito: non disprezzate le profezie, ma esaminate tutto e ritenete ciò che è buono. Tenetevi lontani da ogni apparenza di male …” (I Tessalonicesi V, 14-22).

La legge di Dio non è altro che una specie di codifica di quanto la carità prescrive naturalmente e spiritualmente perciò l’amore santo completa e perfeziona la legge e chi pratica la vera carità, così facendo, adempie la legge:

… Non abbiate altro debito con nessuno se non di amarvi scambievolmente, perché chi ama il prossimo ha adempito la legge. Infatti i comandamenti “Non commettere adulterio, non ammazzare, non rubare, non desiderare ” e ogni altro comandamento si compendiano in questo detto: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. L’amore non fa male alcuno al prossimo. L’amore adunque è il compimento della legge. …” (Romani XIII, 8-10).

Quando la carità non è messa in pratica ma è violata dal peccato allora la Giustizia divina, che pur comprende la misericordia, non esclude una giusta punizione, né il peccatore, in nome della misericordia, può accampare il diritto di essere comunque esonerato dalla pena:

… è cosa giusta davanti a Dio che egli renda afflizioni a coloro che vi affliggono …” (II Tessalonicesi, I, 6).
… poiché colui che commette ingiustizia riceverà il ricambio del torto fatto, perché non vi è accezione di  persone …” (Colossesi III, 25).
… Alessandro, il fabbro in rame, mi [a Paolo] ha fatto del male assai: il Signore gli darà il fatto suo …” (II Timoteo 14).

Dio riserva a sé misura e tempi del giudizio e della punizione ultima e definitiva, mentre prescrive a chi ha subite violenza o ingiustizia di usare carità verso chi lo ha offeso (64) (fermo restando quanto significato nelle due citazioni precedenti): 

… Non fatevi giustizia da voi, o carissimi, ma lasciate il posto all’ira divina, poiché sta scritto: “A me la vendetta: ripagherò io, dice il Signore. Che anzi se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; poiché così facendo radunerai carboni accesi sul suo capo”. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci col bene il male. (65)” (Romani XII, 19-21; Deuteronomio XXXII, 35; Proverbi XXV, 21-22).
... se voi perdonate agli uomini le loro mancanze, anche a voi le perdonerà il Padre vostro celeste; mentre se non perdonate agli uomini, nemmeno il Padre vostro perdonerà a voi i vostri peccati …” (Matteo VI, 14-15). 
… se tuo fratello ha mancato verso di te, riprendilo; e se si pente (66) perdonagli. Che se mancasse contro di te sette volte al giorno e sette volte al giorno tornasse a dirti ‘mi pento’, perdonagli …” (Luca XVII, 3-4).
… Non infuriarti per coloro che fanno il male, non invidiare coloro che operano l’iniquità. … 
 … Desisti dall’ira, abbandona il furore; non irritarti affinché non ti avvenga di fare il male. Poiché coloro che  fanno il male saranno  sterminati, ma invece coloro che stanno con il Signore, loro erediteranno la terra. …”  (Salmi  XXXVI, 1, 8-9).

Dio, in via per così dire ordinaria e temporale, delega il compito di difendere i buoni e di reprimere i malvagi ad una gerarchia di autorità umane, ciascuna delle quali deve agire nel suo ambito, e sempre per e con l’osservanza della legge divina e della carità, nella misura e maniera proprie al loro campo di azione. 
Si tratta di un compito gravoso, non ricercato da chi ne comprende l’essenza, di grande responsabilità, perché le autorità umane devono agire non in proprio ma come fedeli amministratori della Autorità divina: è quanto vedremo nei prossimi paragrafi.
 

9.5.7.1.2   Autorità e Ubbidienza

Quando le cose vanno per il verso giusto allora l’autorità è percepita solitamente come cosa naturale, come una guida, un aiuto e una protezione nelle necessità; essa è, quindi, desiderata, ben accetta ed ubbidita; ad essa si fa ricorso con confidenza, e di buon grado si acconsente a quei sacrifici che essa chiedesse , (paragrafi del gruppo 9.5.7.1.2.1 “Autorità e Ubbidienza in Situazioni Normali”).

Senza volere negare o sottovalutare il “non serviam”  alla radice della ribellione di Lucifero e dell’essere umano, occorre essere consci che sarebbe semplicistico ricorrere ad esso come a spiegazione immediata, esauriente e definitiva di ogni e qualsiasi insofferenza, resistenza,o ribellione alla autorità. 

In generale l’autorità non è contrastata se non quando è percepita , a ragione o a torto, come ingiusta od illegittima, o come inadeguata alla sua funzione.
In questi casi il problema che si pone al suddito non è tanto quello pratico di salvaguardare le sue necessità e i suoi diritti, quanto quello morale di come salvaguardare la verità e la giustizia (e, di conseguenza, i suoi diritti) quando verità e giustizia sono negate proprio da quella autorità che, invece, dovrebbe proteggerle e promuoverle (67).

Le difficoltà nascono dalla necessità di dovere, prima, distinguere fra l’Autorità in astratto, che ha come fine il Bene (e che come tale nessuno contesta ma invoca), e le autorità umane che la incarnano e la dovrebbero applicare, e, poi, dalla necessità di decidere come comportarsi nei confronti di ciascuna delle due.

Quando c’è l’ordine le due autorità si sovrappongono fino ad essere percepite come identificate, e ciò semplifica tutto, sia per chi obbedisce che per chi comanda.

Quando c’è disordine e le autorità umane prevaricano le cose diventano difficilissime.
Occorre, da un lato, evitare che le autorità umane che tralignano siano confuse con l’Autorità, si facciano scudo di essa, (e delle relative prerogative), nell’operare il male, e, infine, trasferiscano ingiustamente all’Autorità quel discredito che compete solo a loro quando tralignano. 
Occorre, d’altro lato, non ubbidire a comandi immorali ma invece mantenersi fedeli secondo coscienza alla legge di Dio.
Occorre, anche, limitare i danni e ristabilire il giusto ordine.

Nei paragrafi del gruppo  9.5.7.1.2.2  “Autorità e Ubbidienza in caso di tralignamento di chi è investito di autorità” cercheremo di trattare in modo approfondito il caso in cui chi impersona l’autorità non fa il suo dovere, problema a cui, secondo noi, non è stata data sufficiente attenzione e risonanza, mentre non c’è penuria di richiami all’obbligo di una obbedienza spesso intesa in pratica come incondizionata ed acritica. 

La esperienza personale di chi scrive lo porta a ritenere che la indubbiamente scarsa popolarità odierna della obbedienza sia in gran parte dovuta al fatto che, ad ogni livello, chi comanda non immagina nemmeno più quali siano i suoi compiti e i suoi doveri, (nella lettera e, ancor più, nello spirito), provocando nel suddito una istintiva reazione di difesa che diventa rigetto.
È impossibile, moralmente e praticamente, ripristinare la giusta ubbidienza senza ripristinare prima la giusta autorità.
 

NOTE

63 - Riportiamo in proposito alcune frasi di San Bernardo (Homilia I super Missus Est  n. 7-8):
… e stava loro soggetto …”  [Gesù a Maria e Giuseppe] [Luca II, 51]
Chi a chi ? 
Dio agli uomini; Dio -  dico - a cui sono soggetti gli Angeli, a cui obbediscono i Principati e le Potestà, era soggetto a Maria, e non solo a Maria ma anche a Giuseppe a causa di Maria. Ammira dunque entrambe le cose e scegli cosa ammirare di più, se la benignissima degnazione del Figlio o l’eccellentissima dignità della Madre. In entrambi stupore, in entrambi miracolo. E che Dio obbedisca a una donna: umiltà senza esempio; e che una donna comandi a Dio: sublimità senza pari.  … Impara uomo ad obbedire …”(su)

64 - La punizione che Dio riserva al peccatore impenitente nell’inferno è ben più terribile di qualsiasi vendetta umana a cui, se non altro, la morte pone termine; l’inferno, invece, è eterno e la sofferenza del dannato senza speranza.
Non possiamo, consapevolmente e volontariamente, augurare una tale sorte nemmeno al peggiore dei nostri nemici senza renderci colpevoli a nostra volta di crudeltà, degna di castigo eterno e indegna della misericordia divina.
Dobbiamo amare i nostri nemici non perché sono cattivi (il che vorrebbe dire disprezzare la legge di Dio) ma perché la loro cattiveria li espone a un pericolo così terribile che non possiamo non pregare Dio per loro perché li converta.
Senza per questo perdere ogni merito volendo essere “buoni” non per carità ma per “interesse” non è sbagliato rilevare la razionalità anche puramente umana di quanto Dio ci prescrive, perché per noi è più facile agire in un modo che riconosciamo ragionevole; noteremo quindi ancora che:
a) un nemico che si converte anche per le nostre preghiere diventa un amico che ci vuole bene a cui volere bene, il che, per tutti, è ben meglio di un nemico giustamente dannato.
b) è più facile che un nemico si muti in vero amico se gli proviamo non che siamo più forti di lui (picchiamo più forte) ma che quando sta male, invece che approfittarne per vendicarci, lo aiutiamo; il beneficio ricevuto lo renderà più forte (con nostro pericolo) ma anche gli renderà moralmente più difficile nuocerci di nuovo (con nostro vantaggio). (su)

65 - “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci col bene il male”. 
Opponendomi al male con il male uso lo stesso metodo di chi mi fa del male e ciò mi rende eguale a lui, e così io stesso vengo vinto dal male perché lo ho adottato, sia pur per mia difesa.
A nostro avviso qui non si vuole dire tanto che non mi devo difendere con un bastone da chi mi sta bastonando quanto che, ad esempio, non devo difendermi con calunnie da chi mi sta calunniando. 
Il bastone infatti è un mezzo neutro che può essere usato sia nel male (da chi mi bastona ingiustamente) che nel bene (da me che lo uso per una giusta e proporzionata difesa) mentre invece la calunnia è un atto intrinsecamente immorale quindi è sempre un male, male  che, se lo compio, mi rende malvagio. 
Non vuol dire che non si possa usare la forza per opporsi alla violenza. (su)

66 - “ … se tuo fratello ha mancato verso di te, riprendilo; e se si pente  perdonagli. Che se mancasse contro di te sette volte al giorno e sette volte al giorno tornasse a dirti ‘mi pento’, perdonagli …” (Luca XVII, 3-4).
Questo passo di San Luca ci illumina sia contro un “buonismo” mal inteso (con cui i malvagi cercano di turlupinare i buoni creando in loro scrupoli infondati se si difendono) sia contro lo spirito di vendetta (con cui l’offeso rende all’offensore difficile e penoso il ricredersi). Da una parte il perdono è subordinato al pentimento perché offrire amicizia e immunità a chi è fiero di essere cattivo vorrebbe dire approvare il male contro il bene e dare via libera ai malvagi contro i buoni, il che sarebbe contro giustizia e contro Dio che è il Bene. D’altra parte la carità vuole che tutti noi facilitiamo il ritorno del peccatore rendendogli più facile e meno faticosa la strada del riconoscimento dei propri torti, quindi dobbiamo sempre dimostrargli che siamo sempre disposti a perdonargli “gratis” purché lui stesso riconosca davanti a Dio la malvagità del suo operato, il che si manifesta con quel pentimento sincero che porterà l’offensore a riparare spontaneamente nella misura del possibile. (su)

67 - Tutti abbiamo sperimentato che le prime parole di “ribellione” che ci vengono alla bocca sono “ Ma questo non è giusto!” e non, ad esempio, “ Ma questo va contro la mia convenienza!”; ciò è prova che la prima offesa percepita è quella al nostro senso morale e non quella ai nostri interessi. (su)
 
 
 
 




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