Tempo di ripasso
Appunti di catechismo a cura di G. L. G.
9.5.7.1.2.1 Autorità e Ubbidienza in situazioni
normali
In questo paragrafo ci limitiamo espressamente a trattare il problema
dei reciproci rapporti fra autorità e sudditi in “situazioni normali”
cioè in situazioni in cui le umane debolezza e propensione al peccato
non raggiungono livelli tali da inficiare gravemente una sostanziale retta
comprensione ed applicazione della legge di Dio nella carità.
Riserviamo al paragrafo 9.5.7.1.2.2 la trattazione
del caso in cui, invece, la situazione è seriamente degenerata.
9.5.7.1.2.1.1 Autorità e Ubbidienza nell’ambito
dei rapporti fra stato e cittadini (in situazioni normali)
Nell’ambito dei rapporti fra stato e cittadini il precetto di ubbidienza
alle autorità costituite (con la corrispettiva loro facoltà
di punire i disobbedienti) è sempre accompagnato dalla precisazione
che tali autorità hanno il compito ed il dovere di far prosperare
il Bene e di reprimere il Male, (ciò esclude, quindi, anche che
abbiano il diritto di usare dei poteri della autorità per perseguire
il proprio arbitrio, i propri fini, le concezioni proprie, e non le divine,
di bene e di male):
“ … nulla possiamo contro la verità, ma a favore della verità
…” (II Corinti XIII, 8).
“ … Ora noi ben sappiamo che la legge è buona, purché
se ne usi legittimamente e si ritenga che la legge non è fatta per
il giusto (68) ma per i cattivi e i disubbidienti,
per gli empi e gli irreligiosi, per coloro che maltrattano il padre e la
madre, per gli omicidi, per gli impudichi, per i sodomiti, per coloro che
rubano gli uomini, per i mentitori, per gli spergiuri, e per chiunque commette
qualsiasi altro delitto contrario alla sana dottrina …” (I Timoteo
I, 8-10)
“ … Ogni persona sia soggetta alle autorità costituite, perché
non vi ha potestà se non da Dio, e quelle che di fatto esistono
sono ordinate da Dio . Cosicché chi resiste alla autorità
si oppone all’ordine di Dio stesso, e quelli che si oppongono si tirano
addosso una sentenza di condanna. Poiché i magistrati non fanno
paura al bene operare, ma al male operare . Vuoi non temere l’autorità
? Opera il bene e avrai lode da essa, poiché essa è per te
ministra di Dio in vista del bene. Ma se fai il male hai da temere, perché
non invano porta la spada, essendo essa ministra di Dio, vendicatrice a
castigo di chiunque operi il male. È quindi necessario che siate
soggetti non solo per ragione del castigo, ma anche per ragione della coscienza.
Ché anche per questo voi pagate i tributi: perché essi sono
ministri di Dio che compiono con zelo questo uffizio. Rendete a tutti quanto
è loro dovuto: a chi il tributo il tributo, a chi la gabella la
gabella, a chi il timore il timore, a chi l’onore l’onore. …” (Romani
XIII 1-7).
“ … siate sottomessi a ogni istituzione umana per amore del Signore:
sia al re, in quanto sovrano, sia ai suoi ministri, in quanto inviati per
punire chi fa il male e per approvare chi fa il bene …” (I Pietro II,
13-14).
“ … rammenta loro che siano soggetti alle autorità costituite,
che siano ubbidienti, presti ad ogni opera buona …” (Tito III, 1).
“ … e siamo [noi Paolo] anche pronti a punire ogni disubbidienza
…” (II Corinti X, 6).
“ … tra costoro [che hanno ripudiato la fede] Imeneo ed Alessandro,
da me [Paolo] consegnati a Satana affinché imparino a non
bestemmiare …” (I Tito I 20).
“ … che se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo [noi Paolo] in
questa lettera, notatelo; e affinché ne abbia confusione non abbiate
niente in comune con lui; non lo riguardate però come nemico, ma
ammonitelo come fratello …” (II Tessalonicesi III, 14-15).
Facciamo notare, ancora una volta, come i ben noti, e ampiamente citati,
passi relativi alla obbedienza dovuta alla autorità costituite sono
sempre riferiti ad autorità che sono ministre di Dio con lo scopo
e il dovere preciso di attuare e fare osservare la legge di Dio, non una
altra legge, tanto meno una legge intrinsecamente contraria alla legge
di Dio.
9.5.7.1.2.1.1.1 Una confusione molto dannosa fra liceità
morale e liceità giuridica
Siccome nella pratica il suddito deve preoccuparsi di adeguare il suo
comportamento alle leggi umane allora si è diffuso un errore sottile
e molto dannoso.
Si è portati a invertire i termini del ragionamento così
da giudicare una azione buona o cattiva non secondo la sua conformità
alla Legge di Dio, ma a seconda che sia prescritta o vietata dalla legge
umana vigente.
Ad esempio : “ l’aborto è lecito quindi è buono perché
è previsto dalla legge” e “ chi è contro l’aborto va contro
la legge quindi è cattivo”, proposizioni ovviamente false.
Una prima conseguenza grave consiste nel compiere azioni moralmente
cattive credendole buone perché giuridicamente permesse, il che
però non ci salva dalle nefaste conseguenze pratiche.
Una seconda conseguenza grave consiste nel fatto che In questo modo,
sia tra chi comanda che tra chi ubbidisce, si è diffusa la erronea
concezione che la ubbidienza virtuosa sia quella incondizionata e acritica,
altrimenti diventa ribellione colpevole, (e così può accadere
di disobbedire alla Dio per ubbidienza agli uomini): ne parleremo in un
prossimo paragrafo.
9.5.7.1.2.1.2 Autorità e Ubbidienza nell’ambito dei
rapporti fra padroni e schiavi , (in situazioni normali).
Nell’ambito dei rapporti fra padroni e schiavi vale la premessa
esplicita e fondamentale che di fronte a Dio non ci sono né padroni
né schiavi ma siamo tutti suoi figli, figli che saremo giudicati
con lo stesso metro e tra i quali deve regnare la carità reciproca:
“ … Tutti voi infatti siete figli di Dio, in Gesù Cristo mediante
la fede. Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete
rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né gentile;
non c’è più né schiavo né libero; non c’è
più né uomo né donna; poiché voi tutti siete
uno in Cristo Gesù. …” (Galati III, 26-28).
“ … non esiste più greco e giudeo, circonciso e incirconciso,
barbaro e scita, schiavo e libero, ma Cristo è ogni cosa ed è
in tutti.
Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi e diletti, di sentimenti
di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza,
sopportandovi e perdonandovi scambievolmente, se alcuno ha da dolersi di
un altro, siccome Cristo vi ha perdonato così anche voi .
Ma al di sopra di tutto questo rivestitevi della carità,
la quale è il vincolo della perfezione …” (Colossesi III
11-14).
Ciò premesso, passando al rapporto fra padrone e schiavo, si
precisa ancora che il padrone è padrone solo “secondo la carne”,
cioè solo sul piano umano e temporale (e non su quello etico), e
si indicano poi i doveri di ciascuno.
Il padrone ha il dovere di trattare con equità e giustizia il
proprio schiavo; sappia anche lui, il padrone, che ha un Signore in Dio
che lo giudicherà e punirà senza fare preferenze per lui.
Lo schiavo ha il dovere di ubbidire sinceramente e di cuore al padrone,
(è sottinteso che il comando non deve andare contro la legge di
Dio, caso che considereremo in altro paragrafo), e riceverà la sua
ricompensa in cielo.
Se il padrone è duro sappia lo schiavo che Dio giudicherà
il padrone e punirà; lo schiavo si faccia forza sapendo che sarà
ricompensato nell’eternità perché è cosa meritoria
di fronte a Dio patire e sopportare l’ingiustizia così come ce ne
diede l’esempio Nostro Signore che accettò di soffrire e di morire
ingiustamente in croce per salvarci.
“... Schiavi, ubbidite in tutto ai vostri padroni secondo la carne
… Quanto fate, fatelo di cuore come per il Signore stesso, non per gli
uomini, sapendo che riceverete dal Signore in ricompensa la celeste eredità.
Servite al Cristo Signore. Poiché colui che commette ingiustizia
riceverà il ricambio del torto fatto, perché non vi ha accezione
di persone.
Voi, padroni, rendete ai vostri schiavi ciò che la giustizia
e l’equità domanda, ricordando che anche voi avete un padrone nel
cielo …” (Colossesi III 22-25; IV 1).
“ … Schiavi, ubbidite ai vostri padroni secondo la carne, con rispetto
e sollecitudine, nella semplicità dei vostri cuori, come al Cristo
; non servendo solo davanti agli occhi loro, quasi per piacere agli uomini,
ma da schiavi del Cristo, facendo di cuore la volontà di Dio. Serviteli
di buon grado, come se serviste al Signore e non agli uomini, sapendo che
ciascuno quanto avrà fatto di bene ne sarà rimeritato dal
Signore, schiavo o libero che sia.
Padroni, fate lo stesso con essi, smettendo le minacce, sapendo
che e il loro e il vostro Signore sta nei cieli e che non fa accezione
di persone [cioè: non fa differenze fra padrone e schiavo] …”
(Efesini VI 5-9).
“ … Schiavi siate sottomessi con ogni rispetto ai padroni, non soltanto
a quelli buoni e ragionevoli ma anche a quelli duri. Infatti è cosa
meritoria se per motivo di Dio uno sopporta molestie patendo ingiustamente.
Che gloria c’è infatti se sopportate qualcosa per qualche
[vostra] colpa e per questo siete stati schiaffeggiati ? Ma se, bene
operando e patendo, soffrite in pazienza, questo è merito dinanzi
a Dio.
Infatti a questo siete stati chiamati poiché anche Cristo
patì [ingiustamente] per noi lasciando a voi l’esempio affinché
seguiate le sue vestigia, lui che non fece peccato né inganno fu
trovato nel suo parlare, lui che venendo maledetto non malediceva, lui
che maltrattato non minacciava ma si rimetteva nelle mani di chi ingiustamente
lo giudicava, lui che portò egli stesso i nostri peccati sul proprio
corpo sopra il legno [cioè la croce], affinché morti
al peccato viviamo per la giustizia, per le cui lividure siete stati sanati
…
… [le parole del resto della citazione, fino alla fine, sono rivolte
a tutti i cristiani e non solo agli schiavi]
… infatti è meglio patire (se così piace al volere
di Dio) ben facendo [cioè senza colpa], piuttosto che operando
male [cioè per punizione a causa di una colpa].
Poiché anche Cristo, una volta per sempre, morì per
i nostri peccati, lui giusto per noi ingiusti, al fine di offrire noi a
Dio, essendo stato messo a morte secondo la carne ma vivificato secondo
lo spirito …
… avendo dunque Cristo sofferto nella carne, allora armatevi anche
voi della convinzione che chi con lui ha sofferto nella carne ha cessato
di commettere peccato per vivere il resto della sua vita mortale non più
secondo le passioni umane ma secondo il volere di Dio.” (I Pietro II
18-24; III 17-18; IV 1-2).
“ … tutti gli schiavi che stanno sotto il giogo stimino i loro padroni
degni di ogni onore, affinché non si dica male del nome di
Dio e della sua dottrina.
Gli altri poi che hanno padroni cristiani non li disprezzino con
il pretesto che sono fratelli, anzi li servano tanto meglio perché
sono fedeli ed amati [da Dio] e che si danno pensiero di fare del
bene …” (I Timoteo VI, 1-2).
Per riuscire nella pratica quotidiana il segreto, sia per il padrone
che per lo schiavo, sta nel ricordarsi e nello sforzarsi di agire
sempre con mutua carità, così che le sofferenze che inevitabilmente
ci si provocherà a vicenda saranno minori e, quando ci sono, saranno
più facili da sopportare e da perdonare.
Il segreto, cioè, sta nel già citato precetto: “Rivestitevi
dunque, come eletti di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia,
di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza, sopportandovi
e perdonandovi scambievolmente, se alcuno ha da dolersi di un altro, siccome
Cristo vi ha perdonato così anche voi. Ma al di sopra di tutto questo
rivestitevi della carità, la quale è il vincolo della perfezione”.
Quanto alle differenze sociali, in particolare quella fra libero e schiavo,
San Paolo insegna a non inquietarsene, accettando il proprio stato, come
disposto o permesso dalla Provvidenza per la nostra santificazione, e avendo
di fronte agli occhi l’uguaglianza che conta alla fine, quella di tutti
di fronte a Dio:
“ … Del resto che ciascuno si conduca secondo lo stato che il Signore
gli ha dato e nel quale era quando Dio lo ha chiamato [cioè
prima della conversione al cristianesimo]. Ecco l’ordine che io do in
tutte le chiese. …
… Ciascuno rimanga in quello stato in cui era quando è stato
chiamato.
Sei stato chiamato essendo schiavo? Non te ne inquietare. Ma anche
potendo diventare libero, eleggi piuttosto di servire, poiché lo
schiavo che è stato chiamato nel Signore è liberto del Signore.
Similmente chi è stato chiamato essendo uomo libero è
schiavo di Cristo.
A caro prezzo siete stati comperati; non siate schiavi degli uomini.
Ognuno dunque, o fratelli, rimanga davanti a Dio in quello stato
in cui fu chiamato . …” (I Corinti VII 17, 20-24) .
Il cristiano può considerarsi come insieme libero e schiavo:
libero, in quanto liberato dal peccato, e schiavo, in quanto appartenente
a Gesù Cristo e soggetto alla sua legge.
Nessun prezzo è paragonabile a quello pagato di persona da Nostro
Signore per redimerci, quindi apparteniamo a lui più che a ogni
padrone umano.
Essere schiavo non è di ostacolo ad essere un buon cristiano
che, anzi, preferire la schiavitù quando si può diventare
liberi può essere via verso una maggiore perfezione.
San Paolo, tuttavia, non proibisce allo schiavo di diventare libero
se può diventarlo legittimamente, ma, anzi, nella Lettera a Filemone,
mette le basi per lo spontaneo superamento della schiavitù nella
carità con l’accordo di tutti:
“[Onesimo, schiavo di Filemone, dopo avere, a quanto sembra, derubato
il padrone, per sfuggire al castigo meritato era riuscito ad evadere, e
si era recato a Roma. Ivi per sua fortuna venne a contatto con San
Paolo (siamo circa nell’anno 62) che lo convertì e lo rimandò
con un suo biglietto a Colossi al suo padrone, pregandolo non tanto di
perdonargli il castigo, che poteva essere anche la crocifissione, quanto
di accoglierlo come un fratello. Filemone era un cristiano abbastanza facoltoso,
presumibilmente convertito dallo stesso Apostolo, che era con lui in ottime
relazioni di amicizia.]
Paolo, prigione del Cristo Gesù , … al diletto Filemone, nostro
cooperatore …
… Rendo grazie al mio Dio facendo sempre memoria di te nelle mie
preghiere, sentendo la fede che hai verso il Signore Gesù e la tua
carità verso tutti i santi …
… E perciò, pur avendo pieno diritto in Cristo di comandarti
ciò che conviene [L’Apostolo, come rappresentante di Gesù
Cristo, in virtù della sua autorità avrebbe bensì
diritto di comandare, trattandosi di un cristiano, ma egli preferisce supplicare
Filemone in favore di Onesimo], piuttosto ti supplico in nome della
carità, quale io sono, Paolo, vecchio ed ora per di più prigioniero
per Gesù Cristo; ti supplico, dico, per il figlio mio Onesimo, che
tra catene ho generato [ho convertito al cristianesimo durante la mia
prigionia].
Questi altra volta fu per te inutile, ora invece è utile
per te e per me [il nome “Onesimo”, in greco, vuol dire “Utile”].
Te l’ho rimandato, e tu accogli lui come il mio cuore.
Volevo bene ritenerlo con me affinché mi assistesse, in vece
tua, nelle mie catene per causa del Vangelo . Ma nulla volli fare senza
il tuo avviso, perché il tuo benefizio non sia quasi forzato ma
spontaneo.
E forse invero egli è stato separato da te per qualche tempo
affinché poi tu lo riavessi poi per sempre, non più come
schiavo ma meglio che schiavo, come fratello carissimo, massime a me, quanto
più a te, e secondo la carne e secondo il Signore.
Se dunque mi tieni in conto di amico accoglilo come un altro me
stesso.
Che se ti ha fatto alcun torto ovvero ha qualche debito con te mettilo
pure a mio conto.
Io Paolo scrivo di mia propria mano ; pagherò io; per non
dirti che mi sei debitore anche di te stesso
[Filemone è debitore di Paolo di quanto c’è di più
prezioso, più prezioso anche della propria libertà, e cioè
di aver ricevuto per mezzo di Paolo la fede e la vita in Cristo].
Sì, o fratello, che io possa avere da te questo profitto nel
Signore; conforta il mio cuore nel Cristo.
Ti scrivo confidando nella tua docilità, sapendo che farai
anche di più di quello che dico. …
… La grazia del Signore Gesù Cristo sia col vostro spirito.
[La cosa deve essersi risolta felicemente perché sappiamo che
Onesimo divenne vescovo e successore di Timoteo a Efeso, dove si ritiene
morisse martire nell’anno 109. Nel martirolgio romano la sua festa ricorre
il 16 febbraio.]”
(A Filemone, 1, 4-5, 8-21, 24).
Sappiamo che il seme di carità gettato da Paolo è stato
fecondo e ha portando pacificamente alla scomparsa della schiavitù
tra i cristiani (69).
E questo seme anche oggi darebbe frutti non meno fecondi se informasse
i rapporti fra datori di lavoro e dipendenti.
NOTE
68 - Non ci sono “prescrizioni” o “divieti”
nel fare il bene, al massimo c’è il dovere della “prudenza”. (su)
69 - In proposito riportiamo un utile commento
tratto dal libro “Santi Dimenticati” di Rino Cammilleri, Ed. PIEMME, 1996,
pp. 22-23:
“ Questa lettera segna una pietra miliare nella storia umana perché
è l’inizio della fine di una situazione antica quanto l’uomo.
Nessuno si era mai sognato di abolire la schiavitù, nemmeno
le rivolte servili “alla Spartaco” : ogni schiavo liberato, infatti, pensava
per prima cosa a procurarsi degli schiavi. Che erano cose, non persone
(il nome Onesimo significa “”utile”).
Se il cristianesimo fosse stato una ideologia libertaria avrebbe forse
messo a fuoco l’Impero e il mondo, provocando bagni di sangue senza fine
e, magari, una apocalittica repressione che avrebbe lasciato tutto come
prima.
Invece Paolo si rivolge al cuore dell’uomo e ottiene di svuotare dall’interno
un’istituzione radicata e, all’epoca, pure economicamente essenziale, trasformandola
in una mera finzione giuridica che il tempo si incaricherà di fare
sparire senza traumi.
Un marxista parlerebbe a proposito della iniziativa paolina di “paternalismo”.
I cristiani preferiscono parlare, evangelicamente, di alberi che si
giudicano dai frutti.
La differenza fra l’uguaglianza predicata dal cristianesimo e l’egualitarismo
imposto dalle ideologie sta qui : dalla prima le rose, dall’altro le spine
.”
Si può obiettare che è di scarsa utilità a uno
schiavo il sapere che fra qualche secolo la schiavitù non ci sarà
più, al che però si risponde, (nella medesima ottica cristiana
che porta alla fine della schiavitù), che a questo schiavo nella
vita eterna, che è quella che conta, sarà restituito il centuplo
di quanto gli è sottratto in questa vita, il che è una consolazione
valida e concreta. (su)
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